venerdì 12 gennaio 2007

I sacerdoti laici

Caro Cesare,

torno a disturbarti a proposito di un argomento che mi vede interessato in qualità di psichiatra.
All'indomani della confessione piena, esaustiva e raccapricciante dei coniugi Romano, autori materiali di un pluriomicidio premeditato e per futili motivi, ci si interroga e si interrogano come al solito psichiatri, psicologi, sociologi alla ricerca di un "perchè", quasi che la verità fosse, con certezza assoluta, appannaggio di alcune professioni, i cui rappresentanti hanno assunto il ruolo di sacerdoti laici di una umanità senza più riferimenti religiosi.
Questa mattina, prima dell'alba, come al solito, radendomi, ascoltavo la radio e ho potuto così conoscere, attraverso le onde di RAI 1 il pensiero di un mio illustre collega, reso famoso dalle apparizioni televisive e da una Sua seduta fiume addirittura su un'isola famosa.
Non differentemente dal parere di altri colleghi, interpellati in occasioni simili, o analoghe Egli, con dotte e affascinanti parole, si è espresso, a proposito dei coniugi assassini, come dei pazzi, dei malati di mente, non dei criminali, perchè questa sarebbe a Suo dire una definizione "lombrosiana", ovviamente con una accezione negativa del riferimento all'illustre nostro predecessore, caduto purtroppo in disgrazia.
La logica del mio collega citato e di altri colleghi con stessa impostazione culturale sarebbe che, chi commette a freddo e senza una ragionevole, seppur criminale motivazione dei delitti così efferati e che suscitano lo sdegno, ma ancor di più la incomprensione degli altri, debba essere un pazzo, un malato di mente, perchè una mente sana, non riesce a comprendere e quindi nemmeno riuscirebbe a concepire e mettere in atto una azione criminale di tale crudeltà e soprattutto senza una ragionevole motivazione.
Ragion per cui non si chiama in ballo la malattia di mente per spiegare l'azione di un criminale mafioso che ordina e commette stragi, o di un terrorista, mentre si invoca quella stessa malattia di mente per i coniugi Romano.
Con una deduzione logica tutta da spiegare, si diagnostica la pazzia di alcune persone, solo per la crudeltà immotivata e la efferatezza delle loro azioni, nonchè per la freddezza dimostrata e la mancanza assoluta di sentimento, o di pentimento.
In questo modo, a mio modesto parere non si serve la Scienza e la ricerca della verità, ma si rassicura l'opinione pubblica dei sani, che nell'orrore del crimine e nella sua efferatezza, può riconoscere così, con un respiro di sollievo, l'incomprensibilità della malattia mentale, a noi aliena e lontana da ogni logica e non piuttosto la crudeltà congenita e diffusa nella stessa natura umana e presente e largamente rappresentata in alcuni, non pochi di noi. La crudeltà non sempre è sinonimo di malattia mentale.
Hitler, Stalin, Saddam Hussein, i criminali nazisti che facevano il tiro al bersaglio con i bambini ebrei, nei campi di concentramento e subito dopo divenivano padri amorevoli dei loro figli, non erano pazzi, ma semplicemente crudeli.
Ma forse la dichiarata e ostentata fede cattolica del mio succitato collega, gli impedisce di vedere questo particolare discordante dalla raffigurazione dell'uomo creato a immagine di Dio?

Domenico Mazzullo


venerdì 5 gennaio 2007

aforisma

Pensiero del giorno
Molte donne trovano la loro ragione di vita nel complicare la vita degli uomini

Laicità

Inizio questo mio blog con un argomento che mi è particolarmente a cuore e che ha segnato entro di me, ma credo anche nella coscienza di tanti altri, questa ultima fine di anno.Riporto il testo della lettera inviata al mio amico Cesare Lanza e pubblicata nella Sua rubrica sul qutidiano Libero. Caro Cesare,

siamo prossimi al S. Natale e ti scrivo, non solo per farti gli auguri, come è piacere e regola di questi tempi, ma anche per proporti una riflessione, pubblica, su un tema che è a me particolarmente caro e sul quale molte volte abbiamo discusso in privato.
Come dicevo è Natale, siamo tutti più buoni, per la strada ci si saluta e automaticamente ci si scambia gli auguri, con un sorriso stampato sulle labbra, si odono le note melanconiche degli zampognari, i negozi sono pieni di inviti a donare agli amici e conoscenti, dalla radio si moltiplicano gli appelli alla generosità, a non lasciare, in questi giorni di festa gli anziani soli, addirittura ad invitare alla nostra tavola di Natale uno sconosciuto meno fortunato di noi, per non dire povero, nel cuore ci sentiamo tutti più buoni, in tempi di guerra addirittura venivano sospese le ostilità tra belligeranti, per onorare la ricorrenza eppure.......eppure oggi ho appreso che il Vicariato di Roma ha negato i funerali religiosi a Piergiorgio Welby, reo di aver desiderato la morte ed aver più volte pubblicamente e ostinatamente chiesto, non potendo farlo autonomamente, di essere liberato dalla prigione fisica del proprio corpo sofferente.
Eppure mi risulta per certo che la Chiesa, dopo averli negati per secoli, ora conceda, con grande magnanimità, i funerali religiosi ai suicidi, concedendo loro anche di essere sepolti in terra consacrata, privilegio prima ostinatamente negato. Dove è la differenza?
Quale colpa ha in più, secondo la logica della Chiesa, Piergiorgio Welby, che la morte liberatoria non è stato in grado neppure di concedersela autonomamente con le proprie mani, ma solo l'ha desiderata e richiesta? Forse di essere divenuto, suo malgrado, un personaggio troppo famoso, per concedere in extremis il perdono? Quello stesso perdono cristiano di cui la stessa Chiesa ostentatamente si fa sostenitrice e portabandiera e che richiede a tutti i Suoi fedeli. Dove è finita la Carità Cristiana e tutta la coreografia allegata?
Ancora una volta alla Chiesa non è sfuggita l'occasione per mostrare il Suo vero volto, dopo, per citare solo l'ultima, l'Infelice discorso del Papa all'Università di Ratisbona.
Mi vien fatto di pensare, che nei secoli sono cambiati i modelli culturali, sono cambiati i codici morali, evolutisi nel tempo, sono cambiate le ideologie, ma la Chiesa no, con la sua morale vendicativa e miopemente retriva. Sono cambiati i modi, ma la morale e i principi informatori sono rimasti gli stessi. Forse non si fanno più processi agli scienziati come Galileo Galilei, costretto a rinnegare il proprio pensiero e solo di recente riabilitato dal passato Papa, forse non si erigono roghi ai critici, come Giordano Bruno, forse non si bruciano più gli eretici, colpevoli solo di pensarla diversamente, non si bruciano più le donne come streghe, non esistono più i tribunali della Santa Inquisizione, per coercizzare e reprimere il libero pensiero, merito dei tempi moderni, ma si negano i funerali religiosi a Piergiorgio Welby, membro comunque di questa Chiesa e figlio di una madre religiosissima, alla quale non si sa come annunciare il diniego della Sua Chiesa. Dove è finito il perdono alla "pecorella smarrita"?
Come laico e coerentemente con le mie idee, ho già da tempo dato disposizione ai miei familiari, che spero vivamente mi sopravvivano, perchè non mi vengano tributati funerali religiosi, ma da oggi questo mio desiderio è divenuto un imperativo categorico insopprimibile.
Come tanti di noi e prima che potessi esprimere la mia volontà, sono stato battezzato e appartengo quindi formalmente a questa Chiesa che nega i funerali religiosi a Piergiorgio Welby. Cercherò di informarmi circa le modalità per non appartenere più a questa Chiesa che non sa perdonare.
Ti auguro Buon Natale.
Domenico Mazzullo

EX SALUMIERE

Non leggo mai i necrologi sui giornali; e non perché mi ripugni e mi sconvolga l'idea della morte; che anzi, a volte, accarezzo con curiosità, con calma, con interesse, ma mai, per fortuna con paura o con panico; non leggo i necrologi, perché la scomparsa delle persone che fanno parte o facevano parte della mia vita, mi è annunciala, mi è stata annunciata per altre vie, molto più personali e dirette: la dipartita di altre persone, di quelle che nella mia vita non sono mai entrate, mi dispiace sul piano umano, ma se Esse persone nella mia esistenza non sono mai entrate, non possono uscirne ora, sic et simpliciter. per opera di un piccolo annuncio su una pagina di un giornale.
Ma a volte il caso. la sorte, o una precisa volontà, di Colui o Colei, Che non conosciamo e regola e comanda le nostre vite ed i nostri destini, ci obbliga, ci impone, ci costringe ad occuparci, a prendere in considerazione cose, fatti o persone, di cui, non avremmo mai pensato, ci saremmo preoccupati.
L'occhio attento ad un articolo di giornale che mi interessava, mi avvinceva grandemente, è scivolato, così. per caso, è caduto, si è lascialo andare ad una deviazione laterale, ad una svista sinistra, ad un raptus incontrollato di lateropulsione, ed è stato rapito, captato, magnetizzato, stregato, da un piccolissimo, microscopico, quasi insignificante trafiletto, un necrologio appunto, che, senza la difesa, il baluardo, il vallo di righe nere orizzontali e verticali in "grassetto" che lo proteggessero e lo delimitassero, dagli altri, simili, ma molto più imperiosi ed ipertrofici, restava schiacciato, compresso, costretto, tra questi fratelli maggiori, più violentemente presenti e denunciami la propria importanza.
Forse è stata proprio questa umiltà, questa sottile modestia, questo desiderio quasi di scomparire, di nascondersi, di non mostrarsi, di annullare con la propria "non esistenza", la notizia in esso contenuta, di donare, con la propria morte, la vita. a Colui il Quale, la Vita aveva abbandonato, e la Cui dipartita era da esso annunciata, comunicata, forse è stato questo altruistico desiderio di suicidio, questo generoso quanto inattuabile conato di sacrificare se stesso, per far rivivere l'Altro, che ha attratto l'attenzione del mio occhio altrimenti attento e più prosaicamente interessato.
Il modesto necrologio, ma forse questo nome, questa roboante quanto specifica denominazione, gli era aliena e di fastidio, non era sormontato da nulla; nessun simbolo, cristiano o di altra confessione, nessuna corona, nessuno stemma nobiliare, di casata o affini, denunciante l'appartenenza di "Chi era stato", a qualche religione, a qualche famiglia nobile, a qualche partilo politico, club esclusivo, organizzazione culturale, campeggiava su di esso e lo sormontava, a dargli tono ed importanza, serietà e pregnanza.
Solo poche, pochissime parole, scritte in piccolo, assolute, essenziali, di quella essenzialità e parsimonia che solamente la economia dei denari possono dare e conferire; nessuna elargizione, nessuna concessione, nessuna liberà a giri di frase, o di parole, a formule di rito, a convenzioni sociali, nessuna manifestazione di soverchio dolore, o di cristiana rassegnazione, di sottomissione alla ineluttabilità della morte, o di speranza e fiducia nella resurrezione; nessuno: «Strappato all'affetto dei suoi cari» oppure «improvvisamente colto da una morte crudele e prematura», oppure «munito dei conforti religiosi si è definitivamente addormentato», oppure «dopo lunga e penosissima malattia si è cristianamente spento-.», ma solamente: «E' mancato G. A. - (ometto il nome completo per doveroso rispetto a Chi non è più)-ex salumiere. Funerali in G. ore 14.15 partendo da via V. n. 17». Non Ti ho conosciuto in vita, caro G.A. ex salumiere, ma Ti ho sentito subito a me vicino e mi dispiace che Tu sia morto, senza poterTi essere amico.Nella Tua Esistenza non sei stato Commendatore, Grande Ufficiale, Cavaliere di Gran Croce, Difensore del Santo Sepolcro o Conestabile dell'Ordine di S. Giovanni e Lazzaro; neppure Medaglia d'Oro al Valor Militare, o Cavaliere di Vittorio Veneto; neppure Professore emerito o Decano di qualche Università; o almeno Capo Divisione o Capo Sezione in pensione, presso un qualsiasi Ministero; la Vita non Ti ha concesso di essere Vice Brigadiere dei Carabinieri o della Guardia di Finanza o Maestro elementare "vivo imperituramente nella memoria dei suoi allievi»; non Ti ha permesso di far seguire al Tuo nome nel necrologio, uno di quei tanti astrusi titoli, che a Te defunto non servono più per nulla, ma contano ancora per coloro i quali Ti sono sopravvissuti e quel necrologio hanno scritto. I Tuoi Cari non hanno trovato nulla di più, nulla di meglio, per onorarTi e ricordarTi agli altri, che quel brevissimo, conciso e lapidario "ex salumiere" il quale sintetizza, conchiude e conclude tutta intiera la Tua Vita. in due sole parole. Ma mentre rifletto su di esse, mi sorge subitaneo, improvviso un dubbio: una incertezza, una paura: «cosa significa quell'"ex" posto avanti a salumiere? Se è perché sei morto, non sei più tra noi, tra i vivi, allora esso è una assurda, inutile, quasi offensiva precisazione, a voler significare che la Morte, compendiata e simboleggiata, nonché sintetizzata in quel banale "ex" Ti ha cancellato, sottratto, alla memoria dei superstiti per ciò che sei stato, lasciandoTi solo per ciò che sei ora, un "ex salumiere"». E se invece, un "ex salumiere" Tu lo fossi diventalo già in vita? Se nella vita stessa, Tu avessi deciso di abbandonare la Tua specifica, precipua attività, per dedicarTi ad un'altra differente? Quale potrebbe essere stata quest'altra- questa ultima, non altrettanto dignitosa e qualificante della precedente, tale da non poter essere ricordala e menzionala nel necrologio dai Tuoi Cari? Forse un'attività illecita? Oscura? Squallida? O forse, e più semplicemente, nessuna attività? Forse stanco e provato dal lavoro, hai deciso di ritirarTi ed andare in pensione, per godere in pace i frutti della Tua onesta occupazione di salumiere, «prima che Morte non sopraggiunga». Ma essa è sopraggiunta puntuale, inesorabile, forse non crudele a strapparti alla Tua attività di "ex salumiere". Addio G.A. «mancato l'il marzo 1994, i Cui funerali si sono svolti alle ore 14.15 partendo da via V. n. 17 - Ex salumiere».