lunedì 31 marzo 2008

Il Grande Fratello

Non amo trasmissioni televisive quali "Il Grande Fratello" e simili e abitualmente non le guardo ritenendo vi siano modi migliori per occupare il mio tempo libero, anche se inizialmente mi era apparsa interessante l'idea di studiare i comportamenti di un gruppo di persone, isolate dal mondo esterno e costrette a vivere in una innaturale continuità, ma nel corso degli anni l'interesse è rapidissimamente scemato non essendo per nulla attratto dalle vicende erotico-sentimentali dei protagonisti e risolvendosi il programma, ahimè solo e pedissequamente in questo, con l'unica variante dei personaggi diversi, nelle diverse edizioni .
Ierisera ho ceduto, contravvenendo ai miei principi, alla curiosità avendo letto sulla stampa dei giorni trascorsi notizia della polemica sorta a proposito della sanzione disciplinare che l'Ordine dei Medici di Napoli avrebbe intenzione di comminare ad una collega, una dottoressa "rinchiusa" nella casa del Grande Fratello e protagonista di qualcosa di censurabile sul piano della dignità professionale, qualcosa di cui non conosco la natura, ma facilmente immaginabile, alla luce delle occupazioni privilegiate e abituali in quella casa.
Ierisera, mosso dalla curiosità di vedere il viso della collega imputata, ho avuto la fortuna di assistere proprio alla puntata in cui alla collega incriminata, veniva comunicata la notizia del probabile provvedimento dell'Ordine dei Medici e conseguentemente la reazione di lei.
Calando un velo pietoso sul contenuto del fatto che avrebbe provocato l'accusa, come medico sono rimasto sfavorevolmente colpito, anzi indignato dalla autodifesa pronunciata, anzi urlata dalla collega, che superato brillantemente un primo momento di comprensibile stupore e smarrimento si è esibita in una perfetta reazione isterica di pessimo gusto davanti alle telecamere e quindi
resa pubblica.
E proprio su questa distinzione tra vita pubblica e vita privata si è basata l'autodifesa della collega, sostenendo questa che quanto avvenuto nella casa e oggetto di accusa e biasimo, riguardava la sua dimensione privata e quindi non passibile di censura da parte dell'Ordine preoccupato di salvaguardare la dignità e la onorabilità di chi esercita la professione di medico, producendosi lei successivamente in una patetica, quanto sgradevole e poco dignitosa autocelebrazione delle proprie virtù di medico.
Forse la dottoressa non ha tenuto conto che quanto riguarda la vita privata, ma viene esibito davanti alle telecamere, diventa di dominio pubblico ed è obbligo preciso di ogni medico che compare, o si esibisce in pubblico, tener conto che...i nostri pazienti ci guardano e vorrebbero continuare a vedere nel proprio medico, anche se in TV, una persona di cui aver fiducia, a cui potersi affidare, rispettosa di loro e delle loro sofferenze.
Nel 1800 i medici vestivano di nero, in segno di rispetto nei confronti delle sofferenze dei loro pazienti.
Le sofferenze dei pazienti non sono mutate, ma il rispetto dei medici nei loro confronti?
Domenico Mazzullo
d.mazzullo@tiscali.it
www.studiomazzullo.com

domenica 30 marzo 2008

Anziani


In un'epoca in cui si muore con estrema facilità, in un mondo in cui ogni giorno muoiono migliaia di persone, per guerre, malattie, incidenti, catastrofi naturali e indotte dall'uomo, omicidi, suicidi e la morte degli altri è così comune, così abituale, così usuale e anonima da lasciarci indifferenti, vi sono morti però di persone comuni, qualsiasi, non famose, sconosciute, anonime, che invece ci toccano il cuore e che risvegliano in noi quel poco di umanità, quel poco di sentimento umano che ancora ci è rimasto, sepolto sotto cumuli di indifferenza, di freddezza, di crudele ipocrisia.
Il fatto è avvenuto alle porte di Roma, in un appartamento al quinto piano di uno stabile anonimo di edilizia popolare.
Quando i vigili del fuoco sono entrati per soccorrerla era ormai troppo tardi. La donna, 88 anni era morta ormai da più di dodici ore, ma nell'appartamento non era sola. In un'altra stanza un uomo e una donna, entrambi ultraottantenni, invalidi immobilizzati nei loro letti, ma vivi, la sorella della donna defunta di 86 anni e il suo compagno più giovane di lei di cinque anni.
Nonostante fosse la più anziana del gruppo, la donna defunta accudiva da sola gli altri due, invalidi ed immobilizzati a letto essendo lei l'unica ancora valida ed autosufficiente, in grado di svolgere in qualche modo le faccende e provvedere alle necessità dei familiari più giovani, ma immobilizzati.
In una società cosiddetta civile, in un paese apparentemente progredito ove abbonda il superfluo ed oltre, questi episodi di solitudine, di abbandono degli anziani lasciati a loro stessi, debbono farci riflettere, debbono farci temere il futuro prossimo, i tempi vicini che verranno, perchè si prospettano scenari ed immagini terrifiche, che solo pochi anni fa sarebbero apparse di macabra fantascienza. Siamo ancora in tempo per scongiurarle?
Domenico Mazzullo

lunedì 24 marzo 2008

Philippe Pinel


“Occorre stare in guardia e non mischiare discussioni metafisiche, o alcune disquisizioni degli ideologi, con la scienza che consiste di fatti attentamente osservati”.
Philippe Pinel (1792-1826)
Psichiatra illuminista
Direttore dal 1792 del manicomio di Parigi

venerdì 21 marzo 2008

Chantal

da: Corriere della sera di giovedì 20 marzo 2008
Plombieres-Les-Dijon (Francia) - Chantal non soffre più. Le serrande del suo appartamento, piano terra sul canal de Bougogne, erano tutte abbassate, ieri mattina.
«Ho 52 anni, sono malata da quasi otto. Ho tre figli: Virginie, Vincent e Mathilde. La più piccola ha tredici anni. Mi sono sottoposta a tutte le cure possibili. Mi sono battuta per guarire, ho lottato, ho sperato, ho desiderato riuscirci. Ma ora che vita è quella che mi resta?»
Chantal Sébire è stata trovata morta nella sua casa di Plombieres-lès-Dijon. «Le cause del decesso sono ancora sconosciute. Faremo i prelievi e le analisi», dice il procuratore di Digione Jean-Pierre Allachi. La verità è che lei non voleva più vivere. Affetta da un tumore terribile che le aveva deformato il volto e le procurava dolori tremendi, si era rivolta al Tribunale di Digione per ottenere il suicidio assistito. I giudici lunedì gliel'avevano negato.
«Le mie sofferenze psicologiche potrete immaginarle. I miei dolori fisici sono insopportabili. Allergica alla morfina, non ho modo di alleviarli. I medici propongono di indurmi nel coma farmacologico. Ma che proposta è? Come posso costringere i miei figli a vedermi in queste condizioni?», aveva spiegato Chantal. Era difficile guardarla in faccia. Il tumore che l'aveva aggredita al setto nasale, un neuroblastoma olfattivo, aveva stravolto il suo viso. Lei, già minuta, era smagrita. Non vedeva, non sentiva più i sapori, non riconosceva più gli odori. Ma era viva. «Come si può essere così ipocriti dal negarmi l'iniezione letale, e permettermi invece di rifiutare le medicine, i sedativi, l'alimentazione e l'idratazione artificiale, per morire in dieci-quindici ore, dopo un'agonia terribile per me e i miei figli?», si era sfogata.
«Io domando di essere accompagnata alla morte come se fosse un atto di amore. Vorrei morire nella mia casa, circondata dai miei figli. Non voglio smettere di respirare dentro una stanza anonima di un hotel di Zurigo, né voglio impiegare mezzi che possano mettere a repentaglio la vita di altre persone o traumatizzare la mia famiglia», era stata la supplica di Chantal ai giudici.
Alle sette della sera di martedì, nel condominio basso di rue Weotenga, è entrata anche una ragazza con i capelli neri raccolti, il completo bianco da infermiera, un sacchetto in mano. «Vengo dalla farmacia, ho la medicina», ha detto al citofono. Dentro, Chantal Sébire si preparava a morire.
Riecheggiano nella mia mente le parole recenti di Piergiorgio Welby:
“Morire dev’essere come addormentarsi dopo l’amore, stanchi, tranquilli e con quel senso di stupore che pervade ogni cosa”
e le parole diBruno Bettelheim, psichiatra ottantenne morto suicida in una casa di riposo per anziani:
“Voglio morire con le scarpe allacciate”

Ma quante Chantal Sébire, quanti Piergiorgio Welby, quanti Bruno Bettelheim dovranno ancora morire prima che, a chi chiede di essere aiutato a dare le dimissioni dalla vita, perchè questa gli è divenuta insostenibile, possa essere concesso di morire con dignità?

Domenico Mazzullo

d.mazzullo@tiscali.it

www.studiomazzullo.com

giovedì 20 marzo 2008

Tempestività


Con insolita, sconcertante tempestività il Santo Padre, cedendo alle sollecitazioni che da tante parti si sollevavano, invitandoLo a prendere posizione sui tragici eventi che si stanno verificando in Tibet, finalmente ha sciolto gli indugi, consigliati da un prudente e diplomatico esame della situazione e ha pronunciato un forte invito al "dialogo e alla tolleranza tra tutte le parti in causa".
Una ipocrita, inutile, vergognosa pronunciazione che mette sullo stesso piano le proteste dei tibetani vittime di una assidua, assurda violenza e la durissima repressione dei cinesi.
Ancora una volta la ipocrita ragion di Stato, di cui la Chiesa è maestra, sacrifica sull'altare della opportunità politica, la difesa e la tutela dei diritti umani, così violentemente ed evidentemente calpestati, pronunciandosi tardivamente ed ambiguamente per non scontentare un potente e appetibile interlocutore quale è la Cina.
Eppure quella stessa Chiesa, non ha tardato un attimo a stigmatizzare la repressione militare dello Stato di Israele, nei confronti dei palestinesi, per difendere il proprio territorio dal continuo lancio di razzi da parte di questi. Ma i "perfedi ebrei" non godono naturalmente della stessa amorosa considerazione, negli ambienti vaticani, di cui godono i buoni cinesi, con i quali si vuole aprire un solido, proficuo, vantaggioso dialogo.
Ringraziamo ancora una volta la Chiesa ed i suoi rappresentanti per una ulteriore manifestazione e prova della sua "lungimirante" ipocrisia.
Domenico Mazzullo
www.studiomazzullo.com