giovedì 27 agosto 2009

Dei delitti e delle pene



Da quando lo lessi la prima volta nei tempi lontani del Liceo, ho sempre considerato come una delle espressioni più alte, più nobili e più illustri dell'Illuminismo, l'aureo libretto "Dei delitti e delle pene" del nostro Cesare Beccaria.
Non fu un grande scienziato, Cesare Beccaria e neppure un grande condottiero di eserciti, neppure un grande esploratore di terre lontane, un grande navigatore, un santo, un grande politico, un poeta, un uomo di Lettere, eppure fece fare all'Umanità tutta, un grandissimo, incommensurabile passo in avanti nel lento, lunghissimo, faticosissimo cammino verso la Civiltà, che ancora stentiamo a percorrere, che ancora ci rifiutiamo di percorrere.
Cesare Beccaria fu un grande rivoluzionario, Che non salì sulle barricate, Che non sparò su sovrani, che non ordì complotti eppure compì, con un Suo scritto semplice, leggibilissimo, chiaro ed accessibile a tutti la più grande delle rivoluzioni, quella delle coscienze.
Dopo Roma antica, che aveva fatto del Diritto la sua forza morale, da cui scaturiva, come conseguenza, la forza materiale, quello stesso Diritto era stato distrutto, si era perso, era stato dimenticato nei meandri della Storia e l'Umanità aveva fatto un terribile passo indietro, una drammatica retrocessione nel baratro dell'arbitrio.
In un tempo in cui la tortura, nei processi, era ampiamente praticata, riconosciuta come mezzo valido e legittimo per ottenere confessioni, ove anche il potere religioso non disdegnava, anzi utilizzava a piene mani questo strumento, la limpida e inconfutabile voce di Cesare Beccaria veniva ad illuminarci con concetti, che ancora oggi molti dimenticano, o si rifiutano di applicare, con matematica logica di ragionamento ci spiegava, che nessun imputato può essere ritenuto colpevole e quindi è da considerarsi innocente, fino a che non è stato condannato in giudizio, ma soprattutto sosteneva la finalità, non tanto punitiva, ma piuttosto riabilitativa della pena.
Ovvia quindi la assoluta opposizione alla pena di morte.
Devo sinceramente confessare che questo ultimo passaggio del pensiero di Beccaria, più che legittimo, in linea teorica, mi appare, come psichiatra, un po' ostico da accettare e piuttosto ottimistico, almeno per certi tipi di reati, quelli ad esempio compiuti con grande efferatezza, crudeltà e spesso per futili motivi.
A questo tipo di reati è da ascrivere, per venire ai tempi nostri, quello compiuto da un tristo terzetto di ragazzi della Roma bene, nel settembre del 1975, Gianni Guido, Andrea Izzo e Andrea Ghira, che in una villa del Circeo torturarono barbaramente e violentarono, per tutta una notte, due giovani ragazze che ingenuamente avevano accettato la loro compagnia, uccidendone una, la diciannovenne Rosaria Lopez e riducendo in fin di vita la amica diciassettenne, Donatella Colasanti, che riuscì a salvarsi fingendosi morta.
Le due ragazze, o meglio, il cadavere di una e il presunto cadavere dell'altra ,furono rinchiusi poi nel bagagliaio dell'auto di uno dei tre, parcheggiata in strada, mentre loro erano al ristorante a festeggiare l'impresa.
Donatella Colasanti riuscì ad attirare l'attenzione di un vigile notturno e così riuscì a salvarsi. E' morta nel 2005 per un tumore al seno.
Del terzetto criminale, Andrea Ghira, fuggito subito in Spagna e arruolatosi nella Legione Straniera spagnola, sembra sia morto, ma tuttora non è certo, nel 1994.
Angelo Izzo si trova in carcere, per scontare un altro ergastolo, dopo che nel 2005, in regime di semilibertà, concessogli in quanto aveva mostrato evidenti segni di pentimento, uccise a Campobasso due donne, madre e figlia.
Gianni Guido da ieri è libero avendo scontato la pena.
Condannato all'ergastolo, la pena fu ridotta, in appello a 30 anni. Dal 2006 aveva usufruito di permessi premio, quindi nel 2007 la semilibertà, infine dall' 11 aprile 2008 affidato ai servizi sociali e ora completamente libero.
I Giudici del Tribunale di sorveglianza di Roma hanno scritto che Gianni Guido ha compiuto una "revisione critica dei trascorsi devianti e un silenzioso pentimento, rispetto alle condotte violente del passato".
Non mi permetterei mai di mettere, neppur minimamente, in dubbio la competenza dei Giudici nel valutare ed accertare il silenzioso pentimento di Guido e la loro assoluta affidabilità di giudizio, ma mi chiedo se questo silenzioso pentimento si sia giovato, per maturare ed esplicarsi nell'animo penitente dell'assassino e sia avvenuto durante le due fughe di questi dal carcere e durante la lunga, lunghissima latitanza.
Per dovere di cronaca è necessario ricordare, infatti, che l'assassino nel gennaio del 1981 riuscì ad evadere dal carcere di San Gimignano e fuggì a Buenos Aires. In Argentina fu arrestato, ma in attesa della estradizione, nell'aprile del 1985, riuscì di nuovo a fuggire rifugiandosi a Panama, ove si creò una nuova identità dedicandosi al commercio di auto.
Solo nel 1994 fu riconosciuto e arrestato di nuovo.
Queste fughe e questa evidente e indiscutibile volontà di sottrarsi alla giusta pena, sono da considerarsi parte integrante del silenzioso pentimento e della incoercibile e incontenibile volontà di espiazione?
Ma forse Gianni Guido ha solo l'unica, deprecabile colpa di non aver mai letto, negli anni di latitanza, "Delitto e castigo" di Dostoevskij.
Con tutto il sommo rispetto per Cesare Beccaria, a Cui va tutta intera la mia immensa ammirazione, stento a credere che di fronte a tali crimini e tali criminali, anche Egli non avrebbe almeno un poco dubitato della Sua fede sulla funzione riabilitativa della pena.
Domenico Mazzullo

sabato 22 agosto 2009

Priorità

Mi sveglio molto presto, al mattino e in bagno, mentre compio i primi doveri verso me stesso, anche piaceri naturalmente, mentre mi rado, soprattutto, amo ascoltare la radio, per avere una anticipazione vocale di quanto leggerò, poco dopo sui giornali.
Dedicando a queste pratiche molto tempo, riesco ad ascoltare i primi tre giornali radio del mattino, su Radio 1, a ore 5; 5.30 e in fine a ore 6, quello preceduto dalle note dell'Inno d'Italia, già citato in un precedente blog.
Ne avevo avuto già sentore ierisera al telegiornale, ma sinceramente, considerando la Radio, più seria della TV, mi illudevo e speravo che il fenomeno, forse legato ad una svista del giornalista addetto, non si ripetesse, e invece si è puntualmente ripetuto anche in Radio, nei tre notiziari suddetti.
Cosa di tanto grave è avvenuto in questa calda Estate che ci riporta, con pedissequa monotonia, le notizie dell'esodo, con immancabile e insostituibile controesodo, la conta delle vittime sul fronte della guerra delle vacanze, le classifiche delle città più calde d'Italia?
Nulla di importante per me, ma evidentemente di molto importante, per chi si occupa di decidere la priorità da dare alle notizie che ci vengono comunicate, o propinate. E' un modo comune di dire, un motto ormai entrato nei meccanismi automatici del nostro parlare, il termine "Prima pagina", per alludere e significare la notizia più importante, la più eclatante, quella appunto da comunicare per prima.
Ebbene sì, purtroppo già da iersera in Televisione e anche questa mattina in Radio, la notizia in prima pagina era rappresentata dalla tanto attesa, vagheggiata, sognata uscita di un numero importante al superenalotto, con conseguente vincita astronomica, seguita da tanto di intervista al gestore della ricevitoria e suo conseguente ed ammiccante riserbo sulla identità del vincitore, non si sa ancora se fortunato o sfortunato.
Alcune, tante persone sono morte in mare, in circostanze ancora oscure, ma certamente tragiche, cercando di raggiungere le nostre coste, infiamma la polemica sui mancati aiuti da parte di Malta, il Vaticano lancia accuse, gravi, molto gravi, senza destinatari specifici, almeno nelle apparenze, Bossi risponde a tono, si sono tenute, in un clima non certo sereno le elezioni in Afghanistan, ma ciò che è ancora più grave, un elicottero del 118 con a bordo un medico e altre tre persone si schianta presso Cortina, mentre era impegnato in una missione di soccorso, provocando la morte dei quattro soccorritori, e la notizia più importante, da prima pagina è rappresentata dal superenalotto.
Sono allibito, sconcertato, indignato, ma soprattuto terrorizzato, perchè se questo particolare è lo specchio, un esempio, dell'universale nel quale ci troviamo a vivere, allora io, tuttora vivente, provo invidia per quelle quattro persone che hanno perso la vita ieri, compiendo il proprio dovere.
Chi avrà il coraggio di raccontare ai familiari dei caduti, che la morte dei Loro Cari, conta meno della vincita al superenalotto?

Domenico Mazzullo
d.mazzullo@tiscali.it
www.studiomazzullo.com

domenica 16 agosto 2009

Dimissioni







Dimissioni. Una parola ormai desueta e quasi scomparsa, almeno dal vocabolario degli italiani, che comunque sempre poco l'hanno conosciuta, certamente assente e inesistente nello scarno vocabolario del signor Umberto Bossi, mi ripugna chiamarlo Senatore, per il rispetto che il sostantivo mi impone.
Dimissioni: "lasciare, abbandonare volontariamente una carica, quando essa non ci corrisponde più", così recita il mio dizionario, così ho imparato dai tempi di scuola, quando le prime dimissioni importanti che conobbi e che mi rimasero impresse, furono quelle dei Romani della età repubblicana, gente seria e coraggiosa, capace di dare le dimissioni, anche dalla vita stessa, quando essa non era più degna di essere vissuta, come fece Catone, quando il venir meno della libertà, Gli rendeva moralmente impossibile sopravvivere, come più tardi ci ha insegnato Seneca nei Suoi "Dialoghi" e nelle "lettere a Lucilio".
Tutte cose che , il signor Umberto Bossi, a scuola non ha imparato, ammesso che di scuola ne abbia frequentato qualcuna, perchè altrimenti ne avrebbe conosciuto e compreso il semplice ed elementare significato, evidente a chiunque, anche il più sprovveduto.
Se infatti una carica, un lavoro, una situazione qualsiasi non più mi corrisponde, nessuno mi trattiene, posso andarmene quando voglio, con dignità, manifestando così esplicitamente il mio dissenso.
Ho sempre considerato le dimissioni, anche quelle estreme, dalla vita, come un gesto di grande dignità e come l'espressione massima di libertà.
Ma come dicevo e mi ripeto per tema di non essere ben compreso, evidentemente il signor Umberto Bossi, questo termine non lo conosce e neppure evidentemente quello di dignità, mi sembra chiaro e lapalissiano.
Perchè, e mi sembra, ripeto, evidente, se nel suo vocabolario, questi termini fossero presenti e conosciuti, si affretterebbe a rassegnare le dimissioni dalla sua carica istituzionele di Senatore di una Italia che non riconosce, di una Nazione che odia, di un Paese di cui non si sente cittadino.
Nessuno lo trattiene. E' libero di andarsene, quando e come vuole, rinunciando naturalmente al cospicuo emolumento economico che la carica di Senatore comporta.
Ma questa, credo, sia una giusta rinuncia, dovuta alla coerenza con se stesso.
Il signor Bossi, dopo aver oltraggiato il Tricolore, la nostra Bandiera, il nostro Simbolo nazionale, per difendere il Quale, per conseguire il Quale, tanti Italiani sono morti, ora ci dice che nessuno conosce l'Inno di Mameli, l'Inno d'Italia.
Sinceramente non so e non riesco ad immaginare da dove abbia tratto questa constatazione, dalla quale scaturisce la sua affermazione.
Io e come me tantissimi della mia generazione, L'ho imparato a scuola, in prima elementare, a sei anni, quando il nostro Maestro, personaggio da libro Cuore, ce lo faceva cantare, in piedi, sugli attenti, prima dell'inizio delle lezioni.
Lo ascolto e Lo canto ancora, a bassa voce per non disturbare, tutte le mattine, quando alle ore 6 puntualmente, le trasmissioni di Radio 1 iniziano proprio con L'Inno di Mameli.
Ma forse a quell'ora il signor Bossi ancora dorme. Basta accendere la radio, per ascoltarlo e rammentarlo.
Vorrei anche rammentare al signor Bossi, ma per rammentare bisogna prima conoscere, che Goffredo Mameli, l'Autore del nostro Inno d'Italia, ha perso la vita a soli 22 anni, tra atroci sofferenze durate più di un mese e dopo aver subito l'amputazione della gamba destra in cancrena, per una ferita ricevuta in combattimento, al Gianicolo, nella difesa della Repubblica Romana dei Triumviri Mazzini, Saffi e Armellini, il 6 Luglio del 1849, sacrificando la propria giovanissima vita per creare e difendere quell'Italia che lui non riconosce.
Ho allegato, per conoscenza del signor Bossi, le immagini della Bandiera di guerra della Repubblica Romana e della Tomba di Goffredo Mameli al Gianicolo.
I fiori sono quelli che noi, che ancora crediamo in questi valori e ricordiamo l'Inno d'Italia deponiamo, ogni anno sulla Sua tomba, quando ricorre il giorno della Sua morte.
Il signor Bossi può leggere, incise sulla tomba, le dignitose parole della madre di Goffredo Mameli, orgogliosa di aver donato un figlio all'Italia.
Perchè il signor Bossi non viene a leggerle? Forse potrebbe imparare qualcosa.
Domenico Mazzullo

mercoledì 12 agosto 2009

Bieco illuminismo











« L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! – è dunque il motto dell'illuminismo. Sennonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: — Non ragionate! — L'ufficiale dice: — Non ragionate, ma fate esercitazioni militari. — L'impiegato di finanza: — Non ragionate, ma pagate! — L'uomo di chiesa: — Non ragionate, ma credete. »
(
Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?)
Ricordo molto bene questa "Risposta" di Immanuel Kant, dai tempi, ormai molto lontani del Liceo.
Ricordo l'emozione che suscitò in me, già da allora, per la Sua lucidità e incisività di forma e di contenuti, contenuti che ancora ispirano ed illuminano il mio pensiero e le mie azioni, i miei ideali, nella vita e nella mia professione, che poi coincidono.
In questi anni ho molto letto e ascoltato a proposito di Illuminismo, ho visto molti aggettivi associati a Questo, a illuminarlo, esplicarlo, inserirlo storicamente, giudicarlo, criticarlo anche in alcuni Suoi aspetti e conseguenze, ma mai, dico mai avevo sentito, o visto associare al sostantivo "Illuminismo", l'aggettivo "bieco", come invece ha fatto ora la Cei, Conferenza Episcopale Italiana, che non rinunciando ancora una volta ad intromettersi negli affari nazionali della nostra Italia, ha violentemente criticato e censurato la sentenza del Tar del Lazio del 17 Luglio scorso, che sostanzialmente ha accolto il ricorso di ventiquattro soggetti, tra cui le Chiese evangeliche, valdese, luterana e l'unione comunità ebraiche, contro l'ordinanza dell'allora ministro Fioroni della PI (governo Prodi), ritenuta discriminatoria.
Secondo tale ordinanza del 2008 l'insegnamento della religione avrebbe concorso alla attribuzione dei crediti per l'esame di maturità.
La sentenza del Tar del Lazio sancisce, in poche parole, che l'ora di religione non fornirà crediti e i docenti non potranno partecipare, a pieno titolo agli scrutini.
Anche se non sono esperto di Diritto, ma con la logica terra terra di uomo qualunque, mi sembra evidente che tale sentenza del Tar, riporti la questione nell'ambito e nell'alveo di un lapalissiano concetto di giustizia, che però sfugge, o vuol essere proditoriamente ignorato, come molte altre volte, dalla Chiesa cattolica, che per bocca della Cei, rappresentata dalla voce di monsignor Coletti, ha definito vergognosa la sentenza del Tar, mentre il ministro Gelmini, attuale titolare del Dicastero della Pubblica Istruzione, ha annunciato il ricorso al Consiglio di Stato.
Sinceramente non conosco, nè immagino le ragioni del ministro Gelmini, mentre sono certo di conoscere e immaginare le ragioni della Chiesa cattolica, che si oppone strenuamente e proditoriamente ad ogni tentativo legittimo e sacrosanto di laicizzazione dello Stato italiano e di realizzazione di quella eguaglianza di ogni cittadino, credente o meno, sancita dalla nostra Costituzione.
Espressione e prodotto di "bieco Illuminismo" è stata definita dalla Chiesa cattolica tale sacrosanta sentenza, Chiesa cattolica, che quando si sente minacciata nelle proprie prerogative, nel proprio potere e nella propria volontà di coercizzare e soffocare le libere coscienze e il libero pensiero, cala finalmente la maschera e rinunciando agli ipocriti sorrisi e alla ipocrita e falsa benevolenza, cui è abituata e ci ha abituato, finalmente, dicevo, cala la maschera e mostra i denti, pronti a mordere e ad azzannare chi a lei si oppone con la forza della ragione e del diritto.
Comprendo bene e credo non sia necessario possedere la acuta intelligenza di un Einstein, di un Galileo, di un Newton, di un Leonardo, di un Giordano Bruno, di un Voltaire, per intuire come per tale chiesa il vero, grandissimo, acerrimo nemico, sia rappresentato, non dall'ateismo e dal materialismo, come invece si vorrebbe far credere, ma da quell'Illuminismo, da quel libero pensiero, da quella libertà e volontà di usare liberamente la propria ragione, da quella "assurda pretesa" dell'uomo di ragionare con la propria testa, di determinare liberamente il proprio destino e non piuttosto dover soggiacere alla volontà di altri che, senza nessun merito e nessun valore in più, vorrebbero insegnargli come e cosa pensare, sostituendosi, anche con l'uso della forza, alla propria libera coscienza.
Ecco allora spiegato facilmente il significato dell'aggettivo "bieco", fatto precedere al sostantivo "Illuminismo".
Per chi vuole coercizzare la libertà di coscienza, l'Illuminismo è sempre stato, è, e sarà bieco, nella sua volontà e determinazione, di illuminare e liberare il pensiero e la coscienza dell'Uomo.
Alla luce di tali pronunciamenti dobbiamo pensare che la battaglia di Galileo Galilei, di Giordano Bruno, di Keplero, di Lutero, di tutti gli "eretici" che sono finiti sui roghi della Santa Inquisizione, di Cavour, con il suo concetto di "libera chiesa in libero stato", noto anche ai bambini delle elementari, di Garibaldi, di Giuseppe Mazzini, dei Patrioti della Repubblica Romana, Repubblica Che solo per pochi mesi riuscì a liberare Roma dall'iniquo potere temporale del Papa, ma la cui Costituzione, promulgata quando Essa era già caduta, ha fornito il modello ispiratore della nostra attuale Costituzione repubblicana, dobbiamo pensare che la Loro battaglia per la Libertà non è ancora finita, anche se si combatte sugli stessi fronti, ma con modalità diverse.
Si combatte con modalità che la rendono più difficile, più sottile, più complessa, più insidiosa, perchè il nemico, come suo solito, non combatte in campo aperto, ma si insinua, si nasconde, si mistifica, si mimetizza e assume vesti e sembianze che lo rendono meno riconoscibile e per questo più temibile, si serve di alleati sottomessi e asserviti che a volte addirittura inconsapevolmente, ne assecondano gli intenti.
Pensavamo che i Bersaglieri a Porta Pia, il XX Settembre 1870, avendo liberato Roma e avendo posto fine, di fatto al potere temporale della Chiesa, avessero posto le basi di uno Stato italiano finalmente libero e laico, ma così non è stato purtroppo, anzi ci rendiamo conto ora che, liberata dalle pastoie di un potere temporale, la Chiesa è ancora saldamente detentrice di un potere ben più forte e temibile, quello sul pensiero e sulle coscienze, che ancora ahimè stentano e faticano a liberarsi e a rendersi autonome e indipendenti.
Non ci stupisce quindi che la Chiesa tenga tanto a far sentire la propria presenza e la propria influenza sul mondo della scuola e della educazione. E' lì che si formano le coscienze. E' lì che essa cerca di esercitare per prima il proprio pesante condizionamento.
Una coscienza che in quei primi anni di vita non impara ad essere libera, ben difficilmente riuscirà a farlo in seguito.
Per questo la nostra vigllanza e la nostra opposizione ad ogni forma di asservimento e condizionamento, proprio lì deve essere particolarmente attiva e presente, proprio lì deve essere presente il nostro "bieco" Illuminismo.
In uno Stato laico, in uno Stato in cui tutti i cittadini dovrebbero essere uguali, secondo quanto dettato dalla Costituzione, perchè gli insegnanti di religione, nominati direttamente dal Vescovo, debbono essere de jure, considerati di ruolo, mentre gli insegnanti di tutte le altre discipline debbono sostenere dei selettivi concorsi, rimanendo spesso precari a vita?
E' bieco Illuminismo opporsi a questa ingiustizia?
Domenico Mazzullo