domenica 30 maggio 2010

41 bis



Si chiama "41 bis" l'articolo del nostro codice penitenziario attualmente in vigore, applicato nei confronti e temuto anche dai più pericolosi mafiosi, altrimenti detto "carcere duro", che naturalmente, seppur nella sua durezza, nulla ha a che vedere con il "carcere duro" cui fu condannato e che patì il nostro patriota Silvio Pellico allo Spielberg, tristemente noto e conosciuto attraverso le sue "Le mie prigioni" lette, almeno un tempo, da ogni bambino delle elementari.
Conoscemmo, attraverso queste ,le severità, ma anche le umane pietà del carceriere Schiller, le grazie della sua figliuola, e pure il profumo della "rosa di Maroncelli", altro patriota e costretta a dividere con Lui le angustie del carcere austriaco.
Orbene, se fino ad ora eravamo certi che in Italia esistesse il regime di "41 bis", ossia di carcere duro, per i nostri detenuti particolarmente pericolosi, da oggi sappiamo, con ragionevole certezza e soddisfazione che un "41 bis" esiste anche.......all'Inferno, per i sacerdoti che in vita si sono macchiati del crimine efferato e vergognoso di pedofilia.
Lo apprendiamo, non senza stupore e sconcerto, ma anche con una certa soddisfazione e rassicurazione sulla equità della pena e della giustizia, direttamente dalla viva voce di Monsignor Scicluna, il quale, presiedendo una celebrazione di preghiera e riparazione per le vittime della pedofilia in San Pietro, ha commentato il noto passo del Vangelo di Matteo che contiene le severissime parole di Gesù per chi scandalizza i bambini:"E' meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato in mare".
Facendo salva ogni considerazione sulla pietà cristiana per i peccatori, Monsignor Scicluna ha affermato, con assoluta e totale convinzione, che questi peccati sono molto più gravi, se commessi da un religioso, tanto che per loro anche le punizioni dell'inferno saranno più dure.
E di Monsignor Scicluna c'è da fidarsi perchè, per dirla con Shakespeare, "è uomo d'onore" ma soprattutto è persona ben informata dei fatti essendo Egli, non un Monsignore qualunque, ma nientepopodimeno che il Promotore di giustizia della Congregazione per la Dottrina della Fede, l'ex Sant'Uffizio presieduto dal Cardinale Ratzinger prima che divenisse Papa, e quindi, in parole povere e in termini profani, il Pubblico Ministero incaricato di indagare su tutti i casi di pedofilia che coinvolgono esponenti del clero.
Quindi il messaggio è chiaro ed inequivocabile, severo e tale da far tremare i vivi:"Inferno
ancor più duro per i preti pedofili".
E noi che pedofili non siamo e neppure preti ,r imaniamo impressionati ed attoniti per la severità della pena, seppur giusta e sacrosanta e la sua caratteristica di ineluttabilità e di condanna definitiva per la vita eterna, ma più modestamente e prudentemente, desidereremmo che le porte del carcere terreno si aprissero, per tutti coloro i quali, preti e non, si macchiano di un crimine così vergognoso, e rimanessero chiuse dietro le loro spalle, per molti e lunghi anni.
Sulla condanna eterna nell'Aldilà non osiamo pronunciarci.
Domenico Mazzullo

martedì 18 maggio 2010

Si dice il peccato....





Si dice il peccato....ma non il peccatore, recita un vecchio proverbio di quella acuta e inalienabile saggezza popolare fatta spesso di luoghi comuni e di sentenze ovvie e lapalissiane, mai sottoposte a critiche e riflessioni e come tali accettate per buone e vere, espressione di quella verità che conforta e rassicura gli spiriti semplici bisognosi di certezze e nemici del dubbio, che invece insinua interrogativi pericolosi e sconcertanti, togliendo il sonno e disturbando il placido scorrere della nostra esistenza.
Come tale mi è sembrato il discorso del Papa domenica scorsa a piazza San Pietro, di fronte ad una folla osannante e giunta da ogni dove, a rendergli omaggio in questo momento difficile per lui e per la Chiesa che rappresenta e comanda, a sostenerlo e confortarlo, a proteggerlo e difenderlo dagli attacchi che da tante parti riceve in questo momento, a proposito del ben noto scandalo pedofilia in seno alla stessa Chiesa.
Eppure a ben leggerne le parole, da lui pronunciate e pubblicate su tutti i quotidiani di ieri, lunedì, qualcosa non mi convinceva, qualcosa mi suonava stonato, stridulo, pretestuoso, inappropriato e non convincente, dietro una apparente ovvietà e quasi banalità di contenuto, prevedibile quanto prevista ed attesa.
Solo oggi, a mente fresca, tanto per usare un altro luogo comune, ho scoperto, ho compreso la ragione, la logica di quel sottile fastidio, di quell' impalpabile disagio che ho provato e continuo a provare di fronte alle "innocenti" sue parole di domenica e che riporto integralmente per chi non le rammentasse:" Il vero nemico da temere e combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa. Viviamo nel mondo, ma non siamo del mondo, anche se dobbiamo guardarci dalle sue seduzioni. Dobbiamo invece temere il peccato e per questo essere fortemente radicati in Dio, solidali nel bene, nell'amore e nel servizio. E' quello che la Chiesa e i suoi ministri, unitamente ai fedeli, hanno fatto e continuano a fare con fervido impegno per il bene spirituale e materiale delle persone in ogni parte del mondo.....Proseguiamo insieme, con fiducia questo cammino, e le prove, che il Signore permette, ci spingano a maggiore radicalità e coerenza.".
"Voilà il gioco è fatto" direbbe un provetto prestigiatore, o illusionista come si sarebbe chiamato nell'ottocento, di fronte ad una platea gremita di allibiti e stupefatti spettatori rapiti dai rapidi gesti dell'artefice del giuoco di prestigio, che avrebbe fatto miracolosamente sparire, volatilizzare un oggetto fino ad allora presente e visibilissimo, concreto e indiscutibile nella sua materialità.
Con la stessa maestria, il Papa nel suo discorso ha operato un giuoco di prestigio ben più difficile ed affascinante adoperando la ben più ardua e complessa, sottile arte delle parole a confronto con quella dei gesti, arte delle parole che la Chesa ha esercitato ed affinato in più di duemila anni di pratica del potere.
In un attimo infatti, di fronte ad una platea rapita ed attonita, osannante ed adorante il Santo Padre, con un abile quanto sottile discorso, ha fatto il miracolo, di far scomparire improvvisamente e mirabilmente le colpe e le responsabilità personali dei sacerdoti rei di essersi macchiati del crimine più abietto e riprovevole per chi si arroga il diritto di educare, di indicarci la strada, di assolvere e perdonare, o di condannare i fedeli, ossia il crimine della pedofilia, ai danni di bambini ed adolescenti loro affidati e con esso le colpe e le responsabilità di coloro che sapendo hanno taciuto e coperto, per difendere e proteggere il buon nome della Chiesa.
Come è potuto avvenire tutto questo? Semplice e d elementare.
Nel discorso del Papa sono scomparse le responsabilità personali e le colpe gravissime dei singoli sacerdoti, sostituite dal "peccato" in generale, entità astratta, incorporea, ineffabile, che permea e pervade l'umanità intera e che a mo' di virus di una temibilissima epidemia, contagia tutti gli uomini e tra questi anche, purtroppo, talvolta i membri della Chiesa.
Dai miei ricordi degli studi di Medicina, mi sembra di rammentare che il contagio per opera di un agente patogeno, avvenga nei confronti di una vittima che passivamente, involontariamente lo riceve, lo subisce, ammalandosi e non piuttosto con una attiva e volenterosa partecipazione di un artefice, che lungi dal subirlo, lo agisce e lo esercita, facendo egli invece delle vittime innocenti.
Analogamente mi sembra che i sacerdoti pedofili e coloro che in seno alla stessa Chiesa li hanno protetti e coperti, si siano attivamente prodigati ed affaccendati alacremente per essere contagiati da questo virus del "peccato", per usare le parole del Papa, così diffuso nella umanità intera e anche in quegli ambienti che, arrogandosi il compito di curare le anime, dovrebbero esserne immuni.
Così, con un'abile e sottile manovra dialettica il Papa ha trasformato i volenterosi colpevoli di pedofilia, da consapevoli e coscienti peccatori, in vittime anche esse del contagio, da parte del misterioso morbo denominato "peccato", privandoli d'un sol colpo di ogni responsabilità e colpevolezza, capovolgendo il loro ruolo da quello di artefici, in quello di vittime.
Non contento di questo però, il Santo Padre, con un brillante guizzo di ingegno, nell'ultimo passo delle sue parole, sopra riportate , ha anche trasformato le precise e ingenti, incontestabili e inconfutabili responsabilità della Chiesa, per opera dei suoi membri e dei suoi rappresentanti, in "prove che il Signore permette", e che quindi il Signore propone alla Sua Chiesa per spingerla a "maggiore radicalità e coerenza", citando le parole testuali del Papa.
Mi chiedo a questo punto se le vittime innocenti dei preti pedofili e dei loro consapevoli
protettori siano felici e soddisfatte, orgogliose di essere ritenute dal Papa inconsapevoli e involontarie "prove", che il Signore utilizza per stimolare la Sua Chiesa a "maggiore radicalità e coerenza".
Domenico Mazzullo

martedì 4 maggio 2010

W l'Italia unita



Per fortuna la mia nevrosi di conservare tutto, in opposizione, così mi ha spiegato lo psicoanalista, alla compulsione di mia madre buonanima di disfarsi di tutto per far spazio non si sa a cosa, in questa particolare occasione mi è giunta in aiuto e mi è stata utile per risolvere un angoscioso quesito e dubbio che da questa mattina mi attanagliava pressante ed inquietante, da quando la lettura alla pallida luce dell'alba dei quotidiani del giorno, almeno tre, per esercitare un dovuto confronto, mi ha gettato e precipitato nella più angosciante e destrutturante incertezza della memoria non ancora, spero, senile.

In occasione infatti dell'inizio delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario della Unità d'Italia, ricorrenza che il nostro paese si accinge a festeggiare con non unanimi entusiasmi, la freddezza della Lega, anticipata ed in un certo senso coerente, non mi ha affatto stupito in quanto attesa e annunciata, mentre invece mi ha stupito, emozionato e commosso l'entusiasmo patriottico con cui si è espresso il Presidente della Cei, Cardinale Bagnasco, capo dei vescovi italiani da Lui esortati ad unirsi festosi all'anniversario:"Io credo che l'Unità d'Italia sia nel cuore di tutti. Credo fermamente che sia opportuno partecipare con tutte le nostre energie culturali e nelle forme più varie alle celebrazioni del prossimo anno. La ricorrenza dovrebbe trasformarsi in una felice occasione per un nuovo innamoramento del nostro essere italiani".
A queste parole fanno da eco quelle del Presidente Giorgio Napolitano che ricorda grato "il grande contributo dei cattolici e della Chiesa per l'Unità d'Italia".

Emozionato, irretito, commosso, infiammato di ardore patriottico dalle parole unanimi dei due Presidenti, ma roso da un dubbio atroce, da una inquietante incertezza ed esitazione della memoria, sono corso giù in cantina a consultare i miei libri di scuola, di Storia per l'appunto, delle classi elementari, delle medie e del liceo, per non correre il rischio di lasciare qualcosa di intentato e rinverdire i miei lontani ricordi della materia.

Grande è stato il mio stupore, lo sconcerto e la delusione nel leggere su detti testi, ma la mia memoria così ricordava, che il Papa e la Chiesa tutta, sono stati tra i più fieri oppositori, avversari e nemici dell'Unità d'italia, conclusasi il XX Settembre 1870 con la presa, manu militari, di Roma, ultimo baluardo del potere temporale della Chiesa, e che costò a Vittorio Emanuele II, rè d'Italia, la scomunica papale.
Ma facendo un salto temporale indietro leggo su detti libri di Storia di Angiolo Targhini e Leonida Montanari, entrambi carbonari e il secondo anche framassone, giustiziati per ordine del Papa Leone XII e per mezzo di decapitazione a Roma in Piazza del Popolo il 23 Novembre 1825, da Mastro Titta, il boia papale, che così annotava a proposito dei due patrioti nelle "Memorie di un carnefice scritte da lui stesso":
"Decapitai al Popolo Angiolo Targhini e Leonida Montanari due cospiratori contro il governo di Sua Santità appartenenti alla setta dei Carbonari".
Ma leggo ancora avanti della "Repubblica Romana" nel 1849 dei Triumviri Mazzini, Saffi e Armellini, e del Generale Giuseppe Garibaldi, uno degli esempi più fulgidi e gloriosi del nostro Risorgimento, che strappò al Papa Pio IX il potere temporale per soli cinque mesi, dal 9 Febbraio al 4 di Luglio del 1849, pochissimi, ma sufficienti per donare a Roma una Costituzione, che avrebbe fatto da modello alla Costituzione attualmente vigente in Italia.
Ogni anno il 6 di Luglio mi reco al Gianicolo, luogo sacro alla Patria, al Sacrario dei caduti per la difesa di Roma, a rendere omaggio alla tomba di Goffredo Mameli, morto a soli 22 anni per difendere Roma contro le truppe francesi di Napoleone III giunte in soccorso del Papa e con l'occasione mi inchino davanti alle lapidi che riportano i nomi dei patrioti caduti per Roma tra i quali Angelo Brunetti detto Ciceruacchio giustiziato per ordine del Papa, assieme al figlio Lorenzo di soli 13 anni.
Penso con commozione ai fratelli Enrico e Giovanni Cairoli morti il 23 Ottobre 1867 a Villa Glori, a Giuditta Tavani Arquati patriota romana trucidata assieme a tutta la Sua famiglia il 25 Ottobre 1867 dagli zuavi pontifici e ai patrioti Monti e Tognetti ultimi giustiziati dallo Stato pontificio, per ordine del Papa Rè il 24 Novembre del 1868 e in ultimo ai caduti il XX Settembre 1870 a Porta Pia.
Ma allora, mi chiedo con stupore e costernazione, a cosa si riferiscono le parole del Cardinale Bagnasco?
Forse al merito della Chiesa di essere stata una fiera e feroce oppositrice della Unità d'Italia, tanto da rendere questi Patrioti degli Eroi ?
Domenico Mazzullo