venerdì 31 dicembre 2010

Ma Loro non hanno festeggiato


Proprio no. Non credo che Loro abbiano festeggiato.
Gli Alpini tutti, ma soprattutto i Familiari, i Genitori dell'Alpino morto in Afghanistan, l'ultimo nostro soldato Che ha perso la vita servendo il nostro paese.
Doppiamente sfortunato il nostro Alpino, dico nostro perchè è di tutti noi, o almeno così dovrebbe essere; doppiamente sfortunato perchè prima di tutto ha perso la vita, anche se a scuola ci avevano insegnato che dulce et decorum est pro patria mori, ma i tempi sono cambiati così come la lingua, ma ancor più sfortunato perchè quella Sua vita, quasi appena iniziata, ancora quasi non vissuta, l'ha persa proprio in questi giorni di festa, quando tutti pensano a divertirsi, a festeggiare il Natale e ancor più il Capodanno, tra veglioni, botti, fuochi d'artificio, cenoni, auguri sciocchi e di maniera, abiti firmati da indossare la notte di San Silvestro, mutande rosse e altro che non voglio nominare per decenza.
E in mezzo a tali festeggiamenti preparati da tempo, non c'è tempo per fermarsi, per riflettere, per un attimo di silenzio e di dolore.
Non c'è tempo per pensare, per accorgersi che non c'è nulla, proprio nulla da festeggiare, quando un nostro soldato, in un paese lontano ha perso la vita, è morto lontano da casa, per noi, anche per noi.
Eppure questa notte, dal letto ove mi ero rifugiato, cercando di proteggere e rassicurare i miei animali terrorizzati, ho sentito gli stessi botti, il rumore degli stessi razzi, degli stessi fuochi d'artificio, le stesse urla della gente in strada e ho immaginato gli stessi rumori dei tappi di spumante che saltavano e il tintinnare delle coppe nel rituale sempre presente del cin cin di mezzanotte e oltre.
Avevo sperato, mi ero illuso di non sentirli.
Avevo sperato che il dolore, la costernazione il raccoglimento, la vicinanza ideale con i familiari del giovane Alpino caduto, avrebbe frenato e trattenuto i festeggiamenti, anche se da tempo preparati, per mostrare la solidarietà di tutti noi verso Chi certamente non ha festeggiato, non ha stappato lo spumante, non ha mangiato il panettone, non ha brindato al nuovo anno.
E penso anche ad un'altra casa, quella di Yara, ove i suoi genitori non hanno certo festeggiato l'inizio del nuovo anno, senza la Loro figlia.
E invece il mio sogno di solidarietà non si è realizzato e tutto è rimasto pedissequamente eguale agli anni trascorsi.
Soliti botti, soliti feriti, mi sembra anche due morti, uno morto per proiettili vaganti, un altro gettatosi dalla finestra della casa in fiamme, soliti ustionati, solite raccomandazioni del giorno dopo per i petardi inesplosi.
A Roma si è svolto regolarmente il concerto di Baglioni con grande affluenza di pubblico festante e così allo stesso modo è avvenuto per gli altri concerti nelle altre città.
A Venezia il tredizionale bacio collettivo in piazza San Marco e nella capitale il solito tuffo nel Tevere. Tutto secondo copione.
Anche a Napoli, sepolta dalla mondezza, si è festeggiato e si sono sparati i botti, nonostante le raccomandazioni alla ragionevolezza e ad evitare manifestazioni pirotecniche che avrebbero potuto incendiare la spazzatura.
Ma il maggiore sconcerto, il maggiore stupore, il maggiore dolore, la maggiore indignazione l'ho provata questa mattina quando, appena levatomi dal letto, come al solito ho ascoltato il primo giornaleradio, quello delle 5 e naturalmente anche i successivi per avere una conferma, purtroppo, ma che speravo caldamente di non avere.
Mi sembrava di aver capito e mi sembrerebbe logico, che la prima notizia riferita fosse quella più importante e via via a seguire, le altre in ordine decrescente di importanza, almeno così procederei io.
E così forse è stato, secondo la logica di chi stabilisce la priorità delle notizie da comunicare.
E la prima notizia, quella più importante riguardava, ahimè, proprio le modalità dei festeggiamenti per il capodanno secondo come si sono svolti nelle varie città con priorità assoluta per Napoli e dintorni.
A seguire il bollettino di guerra di feriti, ustionati e morti, caduti sul fronte dei festeggiamenti e, impossibile a mancare, uno sguardo panoramico sul Capodanno nel mondo, con privilegio per le capitali europee.
Immediatamente a seguire il messaggio alla nazione del Presidente della Repubblica a reti unificate, con lunga lista delle reazioni, una tantum uniformemente concordi, dei nostri politici che hanno tutti espresso il loro grande apprezzamento per il messaggio.
Ancora dopo, la notizia del rifiuto da parte del Brasile alla estradizione del delinquente comune, pseudoterrorista, Cesare Battisti e solo successivamente a questa, la notizia e poche parole di commento sulla morte del nostro Alpino in Afghanistan.
Lo stesso schema è stato seguito, più o meno dal telegiornale di Rai 2 che ha preceduto il Concerto di Capodanno da Vienna.
Sinceramente mi sarei aspettato qualcosa di diverso. Mi sarei aspettato maggior rispetto nei confronti di un giovane di ventiquattro anni morto in Afghanistan per compiere il proprio dovere, mi sarei aspettato una maggiore solidarietà, spontanea, corale per i genitori e i familiari di questo Ragazzo, mi sarei aspettato una diserzione dolorosa e volontaria dai festeggiamenti programmati, in segno di lutto, per questa vita finita.
Invece nulla di tutto ciò.
Era un sogno, ma i sogni spesso non si realizzano.
Ma poi mi chiedo, in un attimo di resipiscenza, come avessi potuto ingenuamente coltivare questo sogno, se lo stesso Presidente della Repubblica, nel suo sopracitato discorso di fine anno alla nazione, trasmesso a reti unificate e che ha avuto, ironia del destino, come argomento precipuo e principale proprio i giovani, le loro aspettative deluse, la nostra responsabilità verso di loro, la loro importanza per il futuro del nostro paese, non ha fatto argomento principale del suo sermone, la morte per la Patria del nostro Alpino.
Forse non era Questi un giovane come tutti gli altri, con pari dignità e meritevole di pari attenzione?
Forse l'Italia tutta non avrebbe dovuto essere in lutto, per non rovinare i festeggiamenti di fine anno?
O forse era troppo tardi, per modificare un discorso già scritto da tempo e magari addirittura improvvisarlo, sulla scia della emozione e dei sentimenti del momento?
Ne è risultato il solito sermone, analogo a quello di tutti gli anni precedenti e anche dei suoi predecessori, che ha suscitato il plauso e il consenso di maniera di tutti i politici, anche di opposte fazioni, perchè sarebbe stato impossibile non essere d'accordo con ovvietà scontate e sempre ripetute, con verità lapalissiane, con moniti ed esortazioni, evidenti quanto inutili, con raccomandazioni alla buona volontà e a fare meglio che tutti, nessuno escluso potrebbe non sottoscrivere.
Il solito scontato copione.
Ma questa volta c'era qualcosa in più, c'era la morte di un giovane soldato di ventiquattro anni che ha perso la vita per la Patria, per tutti noi.
Sinceramente dal Presidente della Repubblica ci saremmo attesi qualcosa di più.
Signor Presidente della Repubblica, non conta nulla, ma non sei il mio Presidente.
Addio caro Alpino, Ti perdoniamo, a causa della Tua giovane età, di aver disturbato, scegliendo di morire proprio ora, i nostri festeggiamenti di capodanno.
Domenico Mazzullo
d.mazzullo@tiscali.it
www.studiomazzullo.com

giovedì 30 dicembre 2010

Capodanno



Capodanno

La signora Eunice da anni viveva sola, non rammentava nemmeno lei da quanti anni ciò accadesse.
Ricordava solo che la sua solitudine era iniziata da quando una volta aveva discusso animatamente, non sapeva neppure più perché, con la sua unica sorella, unica parente vivente e questa abbandonandola, vivevano assieme, le aveva detto:
“ Non ti sopporto più. Sei una egoista fredda e crudele. Meriti di vivere sola”
Ed Eunice si era adattata, abituata rapidamente alla sua solitudine, trovandola anche gradevole, permettendole questa di disporre a piacimento del proprio tempo e della propria libertà.
Eunice sapeva che la notte del 31 di dicembre, l’ultimo giorno dell’anno, la tradizione vuole che si saluti l’anno vecchio che va via, gettando dalla finestra una cosa vecchia, inutile, di cui non abbiamo più bisogno e di cui vogliamo disfarci.
Quest’anno Eunice aveva deciso di rispettare la tradizione e si mise alla ricerca di quel “qualcosa”, certa di trovarlo facilmente.
Pensò alla vecchia caffettiera “napoletana” che non usava più da tempo, da quando aveva acquistato una più comoda e più rapida caffettiera elettrica, ma ancora funzionava perfettamente e poi in fondo le era affezionata.
Pensò anche ad una vecchia stufetta elettrica, che le aveva riscaldato i piedi nei freddi inverni, ora sostituita da un più efficace calorifero, ma la stufetta le ricordava Temistocle, il vecchio gatto, ormai morto da anni, che si accoccolava ai suoi piedi, forse per affetto verso di lei, o forse per il calore che emanava dalla stufetta.
Pensò anche ad una vecchia cornice tarlata ed ormai inservibile, senza più nulla dentro.
Ma aveva contenuto il ritratto della sua mamma da anni defunta e le sarebbe sembrato blasfemo ed irriverente disfarsene.
Eunice cominciava ad essere preoccupata; la mezzanotte si avvicinava a grandi passi e per quanto si aggirasse per casa, non riusciva a trovare nulla, proprio nulla che fosse vecchio, inutile, inservibile, non legato ad alcuna affetto, o ricordo e di cui disfarsi.
Intanto la vecchia pendola che dominava una parete del salotto buono, cominciava a battere i dodici rintocchi della mezzanotte.
Eunice ebbe una idea improvvisa e meravigliosa, finalmente aveva trovato la cosa inutile di cui disfarsi.
Aprì la finestra di colpo…..e si lasciò cadere giù dolcemente.

Domenico Mazzullo

mercoledì 15 dicembre 2010

Impariamo da Loro

Quando ero bambino rimasi molto impressionato da un film rigorosamente in bianco e nero dati i tempi, "La tragedia del Titanic"e ne ricordo con emozione e raccapriccio le immagini, ma una soprattutto è rimasta impressa nella mia mente infantile, quella del comandante che
rifiutando di mettersi in salvo in una scialuppa, rimane sul ponte di comando, mentre la nave affonda e viene inghiottita dai flutti.
Al termine del film mio padre mi spiegò che si usa così, anche se non è una legge scritta.
Il comandante non abbandona mai la nave che affonda, ma si inabissa con lei, quasi fosse una persona cara, sopra le altre, che non può essere lasciata sola mentre muore.
L'immagine, la spiegazione mi fece una grande, grandissima impressione, ma ricordo, ne compresi bene il significato ed il sentimento in essa racchiuso.
La nave, con la quale affrontiamo tante avventure, con la quale corriamo, assieme tanti pericoli, la nave alla quale ci lega un sentimento di affetto profondo ed inalienabile, non può essere lasciata sola nel momento in cui affonda, nel momento in cui muore e il suo comandante deve affondare, deve morire con lei rimanendole vicino.
Ma ora i tempi sono cambiati, certi sentimenti non fanno più parte di noi, non ci appartengono più, sono fuori moda e desueti, anacronistici e quasi patetici, ma per fortuna a ricordare a noi esseri orgogliosamente umani, che esistono ancora, che da qualche parte ancora ci sono, che sono sopravvissuti alla distruzione da noi provocata, ci sono gli animali che con la loro semplicità con la loro spontaneità, con la loro istintualità, non contaminata e distrutta dal "progresso", come per noi è avvenuto, ci forniscono un esempio e un monito una memoria, forse anche un rimprovero, se ancora siamo in grado di comprenderne il significato.
L'ultimo è di pochi giorni addietro e ci proviene da un cane, guarda caso, di nome Athos, uno dei tre moschettieri.
Tutti abbiamo seguito in ansia le vicende della nave mercantile Jolli Amaranto con i motori in avaria, per giorni in balia del mare in tempesta, senza la possibilità di essere soccorsa, per le avverse ed insostenibili condizioni del mare.
Per fortuna la vicenda si è conclusa felicemente, almeno in parte, la nave è stata raggiunta da un rimorchiatore, rimorchiata in porto, ma si è incagliata in prossimità di questo ed è stato necessario abbandonarla.
L'equipaggio è sano e salvo al completo, no mi correggo, meno un membro di esso, appunto il cane Athos, che faceva parte integrante dell'equipaggio della nave stessa anzi ne era il membro più fedele e indispensabile, non abbandonando mai la nave, nemmen nei porti, a differenza naturalmente degli altri membri. E Athos non ha voluto abbandonare la sua nave neppure questa ultima volta, quando l'ha vista in difficoltà estrema, fedele alla consegna ed anche all'affetto.
Quando, come dicevo prima, la nave è stata abbandonata dal suo equipaggio al completo, che si è trasferito in sicurezza sul rimorchiatore, Athos naturalmente, è stato messo in salvo anche lui, ma non resistendo al dolore di allontanarsi, di separarsi dalla sua nave, sfuggendo all'abbraccio di chi lo teneva con sè, si è gettato in mare cercando di raggiungere a nuoto la sua nave, la sua casa, nuotando contro corrente verso di lei, ma l'onda sollevata dalle eliche del rimorchiatore lo ha tradito facendolo sparire all'improvviso sott'acqua.
A nulla è valso il coraggioso eroismo di un marinaio che si è tuffato in mare per salvarlo.
Athos era sparito, risucchiato dall'acqua.
Non potendo abbandonare a se stessa, non potendo lasciare sola la sua nave che è sempre stata la sua casa Athos ha perso la vita.
Mi rimane solo un dubbio: Non potendo, o non volendo?
Addio Athos eroico Comandante della nave.
Domenico Mazzullo