Natale è da poco trascorso e anche in Esso, come in ogni umana cosa, quando questa è finita, si possono stilare bilanci, tracciare consultivi, cercare significati a posteriori.
A Natale viene spontaneo e quasi d'obbligo il computo dei regali e la loro classifica, o meglio suddivisione in belli e brutti, in buoni e cattivi, come a scuola, in regali da trattenere, o da riciclare nel prossimo anno, ma se andiamo solo un poco oltre le apparenze, se ci spingiamo solo un poco oltre il confine del visibile e percepibile con gli occhi, allora ci accorgiamo che sono tutti belli, quando scopriamo, in essi, l'affetto di chi ce li ha donati.
I miei sono stati tutti belli, segno che per fortuna, non per merito, ho goduto di molto affetto, ma tra questi uno mi è particolarmente caro ed è unico nella sua specificità: una lettera proveniente da una città della Sicilia.
In essa con una grafia che non ho tardato a riconoscere, avendo ricevuto altre lettere dalla stessa persona, accanto, anzi successivamente ai classici auguri di buon Natale e felice Anno Nuovo, quasi a voler sottolineare, modestamente, umilmente, la minor importanza della notizia rispetto agli auguri, quasi in sordina, sommessamente, vergognosamente, l'annuncio, il racconto, di quello che, immagino, certamente è stato uno degli eventi più emozionanti, commoventi, felici e significativi della propria vita.
La persona da cui ricevevo la lettera era una persona ora definitivamente trasferitasi in Sicilia, sua terra natia, ma che avevo seguito per anni, come psichiatra, qui a Roma, ove era fuggita e aveva trovato rifugio dopo esser stata rifiutata, disconosciuta, ripudiata dalla Sua famiglia.
Seguito dicevo, o forse meglio accompagnato, nel Suo lento, difficile, doloroso e coraggioso cammino di cambiamento di sesso, da quello maschile a quello femminile.
Il nostro rapporto è iniziato, ormai molti anni fa, quando, fuggita dalla Sua Sicilia e rifugiatasi a Roma, apparteneva ancora al sesso maschile, è proseguito per tutta la difficile e complessa fase di avvicinamento e di preparazione fisica e psichica, all'intervento chirurgico di cambiamento di sesso ed è continuato dopo questo, quando una nuova vita cominciava per la mia paziente, finalmente stabilitasi e riappropriatasi del sesso che da sempre sentiva come il suo.
L'intervento, che ha rappresentato certo uno spartiacque tra due frammenti di vita, che ha segnato inequivocabilmente un "prima" e un "dopo", nella esistenza dolorosa della mia paziente, ha rappresentato contemporaneamente un punto di arrivo e un punto di partenza per una nuova vita, comunque ancora irta di difficoltà, di incertezze, di dolori, di ingiustizie e di incomprensioni, di solitudine e di momenti di drammatico sconforto.
Di tutto questo io sono stato inadeguato, imperfetto, impreparato testimone e partecipe, nel tentativo di arrecare quel poco aiuto che la Scienza e la umana solidarietà può fornire a situazioni così disperatamente difficili e dolorose, di cui chi è vittima non è minimamente responsabile e spesso soffre, in aggiunta, della incomprensione di chi è vicino e anche un po' meno vicino, di chi dovrebbe capire e aiutare e invece si gira dall'altra parte per non vedere, per non essere costretto a vedere, ciò che disturba i nostri sensibili sensi e si trincera e si difende, dietro pregiudizi e giudizi frutto di ignoranza, che offendono chi li formula e non chi li riceve.
Di tutto questo è stata vittima per anni la mia paziente, cresciuta e vissuta in una famiglia del profondo sud, ove il concetto di mascolinità, come attribuzione e diritto di superiorità è ancora molto presente e duro a morire. Tutto questo La costrinse, quando la Sua decisione era ormai stata presa e comunicata, a fuggire da una famiglia che, lungi dall'appoggiarLa e confortarLa, La aveva al contrario rifiutata e abbandonata, disconoscendoLa e ripudiandoLa come causa e espressione di vergogna e scandalo.
Tutto questo rappresentava il motivo di maggior dolore e disperazione per la mia paziente, nei lunghi e difficili anni romani, tutto questo rappresentava oggetto dei nostri colloqui, che spesso, purtroppo, si riassumevano in un lungo, continuo, inarrestabile pianto dirotto e incontenibile; tutto questo portò la mia paziente a tentare, per fortuna senza riuscirvi, di por fine alla Sua vita e con essa alle Sue sofferenze. Tutto questo era riassunto, nella lettera che ho ricevuto, in una sola parola, "passato", intendendo Lei con questo, tutti gli anni trascorsi e sofferti.
"Carissimo dottore il mio passato è finito; i miei genitori e i miei fratelli hanno capito e ora faccio parte di nuovo della mia famiglia, seppur con un nome diverso".
Per uno psichiatra ormai sessantenne, forse non è dignitoso commuoversi, ma nel leggere quelle semplici, poche parole, che riassumevano il dramma di anni, non ho potuto, non ho voluto trattenere la commozione e l'emozione. Per mia fortuna ero solo nel mio studio.
E leggendo quella frase, semplice eppure così profonda e significativa, non ho potuto fare a meno di ripensare, con sdegno e con vergogna alle parole che il Papa, solo pochi giorni prima aveva pronunciato, a questo proposito, sull'argomento e che riporto testualmente perchè chi non le abbia ascoltate, o non le ricordi, possa riflettere, se lo vuole, sul loro significato:"La Chiesa ha una responsabilità verso il creato e deve farla valere anche in pubblico. Ha la responsabilità di proteggere anche l'uomo contro la distruzione di se stesso. E' necessaria una ecologia dell'uomo. Non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell'essere umano, come uomo e donna e chiede che quest'ordine della creazione venga rispettato. Disprezzare quest'ordine, sarebbe un'autodistruzione dell'uomo e una distruzione dell'opera stessa di Dio. Ciò che viene inteso con il termine "gender" è il tentativo dell'uomo di autoemanciparsi dal creato e dal Creatore. L'uomo vuole farsi da solo e disporre sempre esclusivamente da solo ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità e contro lo spirito Creatore".
Belle parole, teologicamente perfette, ma distanti mille miglia dalla realtà umana, semplice, spesso drammatica, dolorosa, complessa e molte volte incomprensibile.
Benedetto XVI, il Papa teologo, è certamente molto esperto di Dottrina, ma lontanissimo dalla umana comprensione, dall'umana solidarietà verso chi, meno fortunato e non certo per sua colpa, cerca di dare alla propria vita un assetto migliore, cerca, con dolore e con fatica, una propria identità, perduta o mai conosciuta. Benedetto XVI chiuso nella torre d'avorio della sua teologia, chiuso nelle soffuse atmosfere del Vaticano, nulla conosce delle sofferenze e delle nobiltà di quel gregge che pretende di custodire.
E questa sarebbe una Chiesa vicina agli uomini?
Vergognatevi.
Domenico Mazzullo