giovedì 18 ottobre 2007
“Lucia s'addormentò d'un sonno perfetto e continuo".
“Lucia s'addormentò d'un sonno perfetto e continuo.
Ma c'era qualchedun altro in quello stesso castello, che avrebbe voluto fare altrettanto, e non poté mai”
Con queste parole Alessandro Manzoni introduce la notte insonne dell’Innominato, la sua notte tragica in cui, come nell’animo di qualunque paziente depresso e insonne, passa di tutto, financo l’idea del suicidio come liberazione da questa sofferenza indescrivibile ed inimmaginabile per chi non l’abbia provata.
Ci siamo lasciati con il medico che, avendo ascoltato le lamentele riguardanti il sonno espresse dal nostro paziente immaginario ed avendo concluso non esserci alcuna patologia organica, come plausibile responsabile dell’insonnia, messo sull’avviso dalle caratteristiche stesse del disturbo del sonno, quali sono state descritte dal paziente e quindi definibile come una insonnia lacunare e terminale, ma anche insospettito dalla sintomatologia vaga ed aspecifica, multiforme e variegata da questi denunciata, senza per altro averla messa in relazione con il problema riguardante il suo sonno, inizia a sospettare che il suo paziente stia soffrendo di una forma iniziale di depressione, non ancora conclamata ed evidente, ma purtuttavia presente e già fortemente disturbante la sua esistenza.
Come abbiamo detto in precedenza e per questo motivo sarebbe un grave errore ed una pericolosa leggerezza somministrare al paziente, sic et simpliciter un ipnotico, una benzodiazepina, in genere, che raggiungerebbe certo lo scopo, rapido e apparentemente soddisfacente di permettere al paziente di dormire una notte dopo tante insonni, ma che agendo come solo sintomatico, non risolverebbe certo il problema nella sua eziologia, lasciando incurata la causa e quindi condannerebbe il paziente a soffrire di nuovo di notti insonni, nel momento stesso in cui la benzodiazepina venisse sospesa, o, al contrario e come purtroppo nella maggior parte dei casi accade, ad essere condizionato ad un uso continuo e costante di ipnotici serali, pena di nuovo, in caso contrario, la ripresa dell’ insonnia, come e peggio di prima.
Si otterrebbe così una sequela di molteplici errori e di conseguenze negative per il paziente: prima fra tutte che la depressione iniziale e non ancora conclamata, resterebbe così non riconosciuta e non diagnosticata, rimanendo così, di conseguenza non curata, fino a quando, inevitabilmente, spesso dopo anni, si manifesterebbe in tutto il suo fulgore, venendo quindi finalmente solo allora e tardivamente riconosciuta; in secondo luogo purtroppo avremmo condannato il nostro paziente ad un bisogno ed un conseguente uso continuativo ed inalienabile di ipnotici, divenuti indispensabili per conseguire il risultato di una notte di sonno soddisfacente, per ultimo, ma non meno importante si verrebbe a creare ed avvalorare il falso mito della temuta e paventata dipendenza dai farmaci, divenuta ormai un pregiudizio ed un luogo comune diffusissimo e difficilmente eradicabile, con il risultato di allontanare e tenere lontano da terapie necessarie, indispensabili ed utili, moltissimi pazienti che ne avrebbero bisogno e se ne gioverebbero, ma vi rinunciano per paura, per cattiva conoscenza, per disinformazione, per pregiudizio, di cui spesso siamo noi medici inconsapevoli responsabili ed artefici, con una condotta terapeutica purtroppo superficiale e solo sintomatica.
Cosa deve fare, a questo punto il nostro medico? Prima di tutto e come sempre una diagnosi precisa, indispensabile per una corretta ed adeguata terapia.
Abbiamo visto che il paziente si è da lui recato per una incoercibile insonnia, ritenendo questo il suo disturbo fondamentale che gli arreca grande disagio e dal quale vorrebbe giustamente essere liberato, ma assieme all’insonnia ha denunciato vaghi malesseri, difficilmente definibili e altrettanto difficilmente riconducibili ad una patologia specifica, sintomi che isolati hanno scarso significato clinico, ma che associati ad una insonnia lacunare e terminale, assumono un valore ed un peso specifico ben superiore e debbono necessariamente suggerire nel medico il legittimo sospetto che siano riconducibili alla depressione.
A questo punto il medico, messo sull’avviso deve procedere con estrema cautela nell’indagine, ponendo delle domande specifiche, che non possano e non debbono in alcun modo influenzare, con la loro formulazione, le risposte del paziente, muovendoci in un ambito delicato ed irto di difficoltà, ben diverso da quello dell’indagine clinica in ogni altro ramo della Medicina, ambito in cui nulla vi è di definito ed assoluto, in cui ci si muove per sfumature di significato e per sensazioni soggettive, per nulla quantificabili ed obbiettivabili. Ciò rende la dimensione della psiche così complessa e ardua, ma anche così affascinante e mai per nulla noiosa e scontata.
Se il medico non psichiatra, per sua attitudine e sensibilità si sente disponibile ad investigare questo campo, forte anche della sua esperienza umana, della conoscenza personale e familiare del paziente, e quindi della sua fiducia ed affidamento, può certo anche procedere autonomamente, ma se solo ha il sospetto di non essere adeguato, allora è bene ed opportuno che fin da ora e non dopo, successivamente e tardivamente, si rivolga e chieda aiuto ad uno specialista al quale indirizzare il suo paziente per una valutazione specifica ed una eventuale terapia specifica, sempre nell’interesse del suo assistito.
Nulla di peggio, in questi casi che prescrivere una terapia solo sintomatica, aspecifica, in assenza di una diagnosi molto precisa, terapia che fallendo il suo scopo, sarà inevitabilmente responsabile dell’insorgenza nel paziente di sfiducia e scetticismo, verso le terapie in genere e la possibilità di guarire.
Come procedere allora? Lo vedremo nella prossima puntata.
Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it www.studiomazzullo.com
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