venerdì 23 novembre 2007
Melancholia
Nella puntata precedente ci siamo lasciati con un interrogativo: ”Come avrà risposto a tutte queste domande, prima generiche e poi sempre più precise, da parte del medico, il nostro paziente?”, interrogativo al quale è giunto il tempo di dare una risposta.
Con buona probabilità visto che il sintomo della insonnia lacunare e terminale è patognomonico della depressione, il sospetto del medico è fondato e il suo paziente avrà risposto affermativamente a tutte, o circa tutte, le domande rivoltegli dal medico, tese a confermare, o smentire il suo sospetto diagnostico.
Tengo a precisare che gli interrogativi del medico riguardano e toccano argomenti ed aspetti della vita del paziente, ai quali egli stesso forse non ha fatto neppure caso e forse non avrebbe neppure denunciato, richiamato e preoccupato dal sintomo più eclatante e disturbante per il suo equilibrio personale, ossia l’insonnia.
Se torniamo, infatti, per un attimo alla puntata precedente e scorriamo rapidamente i quesiti proposti dal medico, vediamo subito come loro siano rivolti ad investigare aspetti personali della vita del paziente che, se non attivamente e intenzionalmente esaminati, rimarrebbero inosservati, perché ritenuti da questo stesso non particolarmente importanti ed attribuendo egli eventuali modificazioni, variazioni, o disturbi, a fattori normali quali la stanchezza, la monotonia della vita, l’età che avanza, problematiche familiari, la consuetudine di un rapporto coniugale divenuto abituale e stantio, difficoltà sul lavoro e tante altre “cause” apparentemente normali, che il nostro desiderio di razionalizzazione ci porta a considerare responsabili e causali alla genesi del nostro malessere esistenziale, escludendo, o non ipotizzando neppure, la possibilità che essi siano invece da attribuirsi ad una vera e propria patologia, quale appunto la depressione.
E’ molto frequente, infatti, il caso di persone, non ancora pazienti, che vivono con fatica e disagio la propria vita per anni, che trascinano una esistenza dolorosa, piena solo di doveri, ma priva di qualunque piacere, che vivono costantemente e dolorosamente in salita, provando la angosciante sensazione che ogni giorno sia eguale, spiacevolmente eguale all’altro, senza alcuna speranza di novità, se non negativa, con l’unico desiderio che questa pedissequa successione di giorni abbia presto fine, che non immaginano il proprio futuro, che non riescono a proiettarsi nel domani, che non provano più emozioni, che sono perennemente stanchi, sia fisicamente sia psichicamente, che anelano solo a dormire e che tuttavia, dolorosamente, coraggiosamente continuano a vivere, o meglio a trascinare la propria esistenza, senza cedere, arrancando giorno per giorno, lavorando, provvedendo alla propria famiglia, ai suoi bisogni, compiendo silenziosamente il proprio dovere, senza alcuna soddisfazione da esso derivante e che credono che la norma sia questa, ignorando e non sospettando neppure, che invece sono affetti da una malattia seria, subdola, insidiosa, misconosciuta e spesso ignorata, cattiva nella sua invadenza sottile e destabilizzante, la depressione, appunto.
E’ frequente il caso di studenti prima brillanti, o discreti, che ad un certo punto vedono inspiegabilmente calare il proprio rendimento, che si rinchiudono in se stessi, che rinunciano alla compagnia degli amici, che hanno frequenti sbalzi di umore, passando incomprensibilmente da una smodata allegria ad una tristezza profonda, che rinunciano ai divertimenti prima abituali, che assumono atteggiamenti protestatari e di contestazione, a volte violenti, che si alimentano smodatamente aumentando rapidamente di peso, che assumono smodatamente e occasionalmente alcool, soprattutto in compagnia degli altri, che consumano abitualmente droghe cosiddette “leggere”, ma che interrogati riferiscono che tutto va bene e che si sentono normali.
Dietro questi stili di vita adulti sofferti e dolorosamente portati avanti, dietro questi segni tangibili di disagio giovanile, c’è spesso, non sempre naturalmente, una patologia depressiva che, se non riconosciuta e diagnosticata, può rimanere a lungo ignorata e non curata, insinuandosi lentamente nella vita della persona e modificandola dall’interno, fino a che questa non raggiunga, spesso dopo lunghi anni, una gravità tale da essere a quel punto evidente nel suo aspetto patologico.
Da non dimenticare e sottovalutare altresì i risvolti negativi che tali situazioni di vita esistenziali riversano sui familiari i quali vivono assieme e vicino a chi si trova a percorrere, spesso per anni, questo doloroso cammino di vita. Il più delle volte il coniuge di chi è ammalato assiste impotente e inconsapevole alla involuzione dell’altro, al suo cambiamento, al mutare dei suoi rapporti affettivi, con lui, in ispecial modo, e con gli altri, alla apparente anaffettività e disinteresse di un compagno di vita, che per anni è stato un affettuoso interlocutore, alla attribuzione a lui stesso, di responsabilità e di colpe inesistenti, o inconsistenti. A volte famiglie si sfasciano, rapporti di amicizia si interrompono, opportunità di lavoro si perdono e si vanificano, improvvisamente, incomprensibilmente, se non si ipotizza, se non si capisce, che la responsabilità di tutto questo può essere da ascrivere ad una patologica depressione, subdolamente e silenziosamente instauratasi.
Compito del medico è intuire, ipotizzare, capire, comprendere, spiegare, illustrare e curare.
Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it www.studiomazzullo.com
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