Caro Cesare,
giustamente ed opportunamente, sulle pagine di Libero hai supplicato chi ti ha scritto "di passare ad altri argomenti, per rispetto della pazienza dei lettori non interessati al mistero della fede" e per questo, ubbidiente ai tuoi desiderata, pur affascinato dall'argomento, ho atteso qualche giorno a scriverti, ma non ho saputo resistere alla tentazione quando ho appreso, dalla radio prima e poi dai giornali, della sciagura occorsa nella modernissima e supertecnologica America: il crollo del ponte sul Mississippi che univa le metropoli di Minneapolis e Saint Paul, nel Minnesota.
Questa volta le immagini catastrofiche cui ci ha abituato il cinema proveniente da quel continente non erano finte e create in studio, ma tragicamente vere e reali:auto private, un pulmino scolastico carico di bambini chiassosi, tutti che si trovavano a transitare in quell'istante sul ponte, precipitate nelle acque del fiume, ignare persone che si recavano al lavoro, o tornavano a casa, tutte con i loro pensieri, le loro preoccupazioni, le loro gioie, le loro attese e aspettative, tutti accomunati improvvisamente e tragicamente da un unico stesso destino, immediato, repentino, inatteso e inaspettato, assolutamente imprevedibile, ma eguale per tutti. Tutti convenuti, puntuali, precisi, ignari, ma volenterosamente consenzienti, ad un comune, unico inalienabile appuntamento, quello ultimo e definitivo, con la morte. Perchè?
Delle due l'una: O la vita è un tragicomico giuoco d'azzardo, una roulette gigantesca e universale, nella quale noi umani, ma anche tutti gli altri esseri viventi che con noi abitano la terra, siamo le fisches delle puntate, gettate a casaccio sui numeri del tavolo verde e che ad ogni giro della pallina rischiano la vita, se il loro numero non esce, o guadagnano invece, se sono fortunati, un altro spazietto di esistenza, se la pallina si ferma al posto giusto per quella volta, e questo spiega quel sentimento di acuto, spiacevole, assurdo non senso, che noi laici e agnostici riscontriamo e a volte soffriamo nella vita, oppure e oppositamente, come pensa chi ha fede, non importa quale sia, la vita così come ci appare e interessa ciascuno di noi, fa parte di un universale disegno, di cui noi siamo partecipi e partecipanti, di cui ignoriamo scopi e finalità, ma che la fede in cui crediamo, ci illumina e ci esplica, senza però fornircene una ragione che sia razionalmente coglibile. Tertium non datur.
Da questa ultima ipotesi una constatazione ed una conseguenza logica evidente: se tutto ha un senso e fa parte di un disegno precostituito, allora anche la nostra morte che ci coglie sempre prematuramente, rientra in questo disegno e quindi risponde ad un senso ed uno scopo ben preciso, sgradevole quanto si voglia, ma esistente e chissà, forse investigabile. Allora anche quelle persone ignare e inconsapevoli, che si trovavano, con i loro pensieri, le loro preoccupazioni, gioie, aspirazioni, affetti, dolori, a transitare nello stesso momento su quel ponte sul Mississippi, al momento del crollo, si erano date inconsapevolmente appuntamento in quel preciso punto per compiere il proprio destino nella vita, per rispondere ad una ignota chiamata, insopprimibile ed inalienabile, nello stesso momento.
Ma perchè Dio ha voluto che quelle persone,solo un attimo prima tra loro sconosciute, tornassero a Lui, assieme, in tragica processione, in un unico istante?
Se riuscissimo a scoprirlo, razionalmente, se riuscissimo a scoprire la logica del fatto, allora avremmo una prova inconfutabile e razionale dell'esistenza di Dio.
E' proprio quanto si propone frà Ginepro, il misero fraticello di uno stupendo romanzo di Thornthon Wilder, "Il ponte di San Luis Rey", che assistendo al crollo del ponte medesimo e alla contemporanea morte delle persone che si trovavano a transitarvi,si propone di indagare la vita dei malcapitati per scoprire la logica racchiusa nella loro morte comune e da questa la prova razionale della esistenza di Dio? Ci riuscirà? Leggete il romanzo. Io continuo ad essere agnostico.
Pubblicato su Libero "Mister No" il 07-08-2007
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