lunedì 24 settembre 2007

Welby

Caro Cesare,
leggo su Libero, nella tua rubrica, la lettera amareggiata della signora Antonella Parmentola da Potenza e sentendomi chiamato in causa ti scrivo di nuovo a commento di questa.
Come volevasi dimostrare la lettera della lettrice è l'ulteriore dimostrazione dell'integralismo e della intransigenza di chi, autodefinendosi persona di fede, non ammette che qualcuno possa pensarla diversamente e conseguentemente agire, atteggiamento molto diverso anzi opposto a quello di chi, professandosi laico, rispetta le posizioni e le scelte altrui, senza la prosopopea di erigersi a giudice supremo. In virtù della loro fede i credenti rifiutano l'eutanasia, ma non vedo perchè, sempre in virtù della loro fede, debbano impedirla a me che credente non sono.
Alcuni passi della lettera sono degni di commento specifico: "credo che la vita e la morte siano un dono di Dio, anche se spesso avvolti da un mistero che ci è difficile comprendere"; in quanto medico da trenta anni, ho visto e vedo molte persone morire, ma soprattutto soffrire nel corpo e nell'anima e sinceramente proprio non riesco a concepire la vita come un dono di Dio, anche se, secondo la saggezza popolare, "a caval donato non si guarda in bocca". Ma è sempre un dono di Dio la vita dei sei milioni di ebrei morti nei campi di concentramento tedeschi e dei pochi sopravvissuti che piangono ancora i loro morti? E' un dono di Dio la breve vita dei bambini gettati nei cassonetti della spazzatura o costretti a prostituirsi agli angoli delle strade, o dei milioni di persone ammalate irrimediabilmente di AIDS o dei poveri di Calcutta. Se questi sono doni, seppur misteriosi, allora preferisco spedirli indietro al mittente, cosa che ha drammaticamente cercato di fare il dottor Welby, il quale, altro punto cruciale della lettera, non è stato assassinato, ma piuttosto consapevolmente e più volte ha chiesto di essere aiutato, non essendo più in grado di farlo da solo, di essere aiutato a congedarsi definitivamente da una vita-dono, divenuta ulteriormente insopportabile.
Alla nostra religiosa lettrice, auguro di tutto cuore di non trovarsi mai nelle condizioni disperate del povero dottor Welby, perchè in quel caso capirebbe le sue ragioni e forse si rammaricherebbe e pentirebbe di aver scritto. Nessuno ha deciso al posto di Welby, se la sua vita fosse o no degna di essere vissuta. Lo ha deciso egli stesso e credo che questa libertà debba essere riconosciuta a ciascuno di noi.
Riguardo ad un altro punto della lettera, sono costretto a rilevare una tragica e pericolosa contraddizione:"il suo desiderio, ostentatamente reso pubblico, di voler morire lo ha posto al di fuori della dottrina cattolica" e poco dopo "Sono certa che il Signore nella sua infinita misericordia abbia accolto l'anima del dottor Welby". Non capisco; se il Signore misericordioso ha accolto l'anima del dottor Welby con quale coerenza la Chiesa cattolica e la sua dottrina che a Lui si ispira, non mostra altrettanta misericordia perdonando la pecorella smarrita rea di non voler più soffrire inutilmente? Per questo motivo, cara signora, rinnegando il battesimo, non voglio più far parte di una Chiesa incapace di perdonare.

Pubblicato su Libero "Mister No" il 23-01-2007

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