sabato 2 gennaio 2010

Hachiko



Amo disperatamente il cinema da quando, bambino, non ero ancora in grado di leggere, ma da quando ho imparato, a scuola, alle elementari a leggere e scrivere, mi guardo bene dal leggere le recensioni dei critici cinematografici, riguardo ai film che intendo vedere, prima di vederli, ma se riesco a trovarle, mi documento solo sulle trame dei film stessi, per valutare e scegliere i film di mio interesse.

Raramente leggo le recensioni, dopo aver visto il film e quasi sempre mi trovo in disaccordo con i critici che le hanno prodotte, costretto spesso a dubitare che gli autori di tali critiche abbiano realmente visto lo stesso film che ho visto io, indignandomi perchè loro sono pagati per vedere i film che io invece pago per vedere.

Uso questo metodo, rigorosamente e con convinzione, essendosi esso validato con anni ed anni di frequentazione assidua e disperatissima delle sale cinematografiche, ove i film proiettati in esse hanno rallegrato e rischiarato una infanzia ed una adolescenza, non proprio felice, pur senza essere propriamente tragica, ma soprattutto e certamente mi hanno insegnato a vivere, mi hanno insegnato a provare emozioni, sentimenti, passioni, mi hanno insegnato molto chiaramente ed esplicitamente cosa sia il senso del dovere e la soddisfazione ineffabile che si prova nell'averlo compiuto o meglio nell'aver cercato di compierlo, mi hanno insegnato il senso dell'onore, della fedeltà ad un ideale, del rispetto degli altri e di noi stessi, del rispetto anche dei sentimenti degli altri e delle loro opinioni, anche e soprattutto se discordanti dalle mie.
Mi hanno insegnato ad amare la Storia, fatta non di eventi e date successive, ma di uomini come me con le loro passioni, dubbi, incertezze, miserie e nobiltà, viltà, ma anche coraggio e abnegazione.
Mi hanno mostrato, illustrato, insegnato le mille sfaccettature, le molteplici espressioni dell'animo umano e continuano ad insegnarle ancora, a me non più adolescente, ma psichiatra di età matura, come e forse di più di tanti dotti testi e volumi della mia materia.
Non tutti i film, naturalmente, ma molti certamente e per questo continuo ad andare al cinema, per questo considero ancora il cinema, non come un semplice svago ed una occasione di divertimento e pausa dal lavoro, ma come una scuola di vita e di umanità.
Per questo ancora avantieri sono andato al cinema, intenzionalmente per vedere un film di cui molto avevo sentito parlare già da prima che uscisse sugli schermi.
Faccio specifico riferimento al film "Hachiko" del regista Lasse Hallstrom che vede come coprotagonista sulla scena il famoso attore Richard Gere.
Coprotagonista, perchè il vero e assoluto protagonista è un cane, Hachiko appunto, meraviglioso esemplare della razza giapponese Hakita.
Ma forse il vero protagonista del film non è l'uomo e neppure il cane, ma il meraviglioso, struggente sentimento che lega i due indissolubilmente, un sentimento che non si scioglie, che non si spezza, non si interrompe neppure quando la morte interrompe la vita di uno dei due, l'uomo, e il cane Hachiko, fedele a questo sentimento, per ben dieci lunghi anni, ogni giorno, si reca alla stazione per attendere che il suo padrone si decida a tornare, a scendere da quel treno che ogni giorno ad ora fissa lo riportava da lui, per ricongiungere quel connubio meraviglioso, che neppure la morte è stata capace di sciogliere, ma che dopo dieci lunghi anni di attesa, la stessa morte del cane ricostituirà, permettendo a quest'ultimo di raggiungere finalmente il proprio padrone in un mondo migliore ove mai più nessuno sarà capace di separarli.
Tutta qui la storia, semplice, elementare, pulita, naturale, ma vera, assolutamente vera accaduta in Giappone, agli inizi del secolo scorso, ove una statua alla stazione ricorda e ricorderà sempre, a chi sarà capace e avrà voglia di comprenderla, la straordinaria, sovrumana, ma profondamente vera fedeltà e amore che lega il cane all'uomo.
Solo chi ha la fortuna, la sorte, il privilegio di aver vicino, o aver avuto vicino un cane, può comprenderla appieno.
Ma anche chi di questo privilegio non gode, o forse non vuole godere può avvicinarsi a comprenderla, può godere di questo sentimento, può commuoversi di fronte a questo meraviglioso sentimento, per lo più a noi umani sconosciuto.
Quando il film è terminato, quando le luci in sala si sono riaccese, gli occhi di tutti, bambini, giovani, adulti maturi, uomini e donne erano rossi di commozione e anche i miei naturalmente e delle persone che erano con me.
Mentre le persone compostamente e lentamente uscivano dalla sala, nessuno aveva il coraggio, il desiderio di parlare, di commentare, di profferir parola, per non sciupare, arguisco, per non contaminare l'atmosfera di emozione e di commozione che il film aveva suscitato e lasciato entro di loro.
Ma forse, uno solo degli spettatori non si è commosso, uno solo, se ha visto il film in qualche sala, uno solo che ha visto il film per lavoro e non perchè richiamato da un legittimo desiderio, ossia il "critico cinematografico" Paolo d'Agostino, che ha commentato il film sulla pagina di ieri, 2 Gennaio 2010, del quotidiano "La Repubblica".
A Paolo d'Agostino il film non è piaciuto, è evidente e chiaramente deducibile dalle sue parole e su questo non ho nulla da dire, è una sua libertà che rispetto, ma che non condivido.
Ma ciò che non rispetto e non condivido è l'aria di superba superiorità, di sussiegoso ed altezzoso distacco con il quale il nostro critico ironizza sul film considerato "una manieristica favola e lacrimoso apologo sulla fedeltà e sull'amore".
Forse il pessimista e disincantato critico ritiene che questi sentimenti siano inesistenti, sorpassati, anacronistici, superflui, ingenui, inutili nella nostra società così moderna e progredita?
Forse non sono politicamente corretti?
Forse non sono abbastanza culturalmente elevati e sufficientemente "di sinistra" per il dotto pubblico dei suoi lettori?
Domenico Mazzullo

2 commenti:

Marcello Duggento ha detto...

Caro Domenico,

riecheggiano qui le note del mio "Flok. Una storia vera", che anche Tu hai commentato su Facebook; ed ho l'ennesima riprova - se mai occorresse - della tua alta sensibilità, che non è solo la capacità di cogliere le vibrazioni dell'anima comunque si espandano. La Tua è una sensibilità che - propositiva - è modello di conoscenza, madre della comunicazione ch'è, a sua volta, strumento di crescita sociale e non, come Tu stesso (con miglior classe) hai sintetizzato, l'occasione per piazzare "cavalli di Frisia" a baluardo di culture di cappella.

Affettuosamente.

babi ha detto...

Caro Domenico, mi sento onorata di averla conosciuta- per tutta la sua spiccata sensibilita',ora mi accorgo ,anche verso un mondo animale a molti sconosciuto.Avendo avuto la fortuna di vivere con un cane posso testimoniare di quanto un affetto cosi'profondo possa aiutare a far superare alcuni drammi che la vita ci riserva.
Con affetto Barbara