domenica 28 dicembre 2008

Regalo di Natale



Natale è da poco trascorso e anche in Esso, come in ogni umana cosa, quando questa è finita, si possono stilare bilanci, tracciare consultivi, cercare significati a posteriori.
A Natale viene spontaneo e quasi d'obbligo il computo dei regali e la loro classifica, o meglio suddivisione in belli e brutti, in buoni e cattivi, come a scuola, in regali da trattenere, o da riciclare nel prossimo anno, ma se andiamo solo un poco oltre le apparenze, se ci spingiamo solo un poco oltre il confine del visibile e percepibile con gli occhi, allora ci accorgiamo che sono tutti belli, quando scopriamo, in essi, l'affetto di chi ce li ha donati.
I miei sono stati tutti belli, segno che per fortuna, non per merito, ho goduto di molto affetto, ma tra questi uno mi è particolarmente caro ed è unico nella sua specificità: una lettera proveniente da una città della Sicilia.
In essa con una grafia che non ho tardato a riconoscere, avendo ricevuto altre lettere dalla stessa persona, accanto, anzi successivamente ai classici auguri di buon Natale e felice Anno Nuovo, quasi a voler sottolineare, modestamente, umilmente, la minor importanza della notizia rispetto agli auguri, quasi in sordina, sommessamente, vergognosamente, l'annuncio, il racconto, di quello che, immagino, certamente è stato uno degli eventi più emozionanti, commoventi, felici e significativi della propria vita.
La persona da cui ricevevo la lettera era una persona ora definitivamente trasferitasi in Sicilia, sua terra natia, ma che avevo seguito per anni, come psichiatra, qui a Roma, ove era fuggita e aveva trovato rifugio dopo esser stata rifiutata, disconosciuta, ripudiata dalla Sua famiglia.
Seguito dicevo, o forse meglio accompagnato, nel Suo lento, difficile, doloroso e coraggioso cammino di cambiamento di sesso, da quello maschile a quello femminile.
Il nostro rapporto è iniziato, ormai molti anni fa, quando, fuggita dalla Sua Sicilia e rifugiatasi a Roma, apparteneva ancora al sesso maschile, è proseguito per tutta la difficile e complessa fase di avvicinamento e di preparazione fisica e psichica, all'intervento chirurgico di cambiamento di sesso ed è continuato dopo questo, quando una nuova vita cominciava per la mia paziente, finalmente stabilitasi e riappropriatasi del sesso che da sempre sentiva come il suo.
L'intervento, che ha rappresentato certo uno spartiacque tra due frammenti di vita, che ha segnato inequivocabilmente un "prima" e un "dopo", nella esistenza dolorosa della mia paziente, ha rappresentato contemporaneamente un punto di arrivo e un punto di partenza per una nuova vita, comunque ancora irta di difficoltà, di incertezze, di dolori, di ingiustizie e di incomprensioni, di solitudine e di momenti di drammatico sconforto.
Di tutto questo io sono stato inadeguato, imperfetto, impreparato testimone e partecipe, nel tentativo di arrecare quel poco aiuto che la Scienza e la umana solidarietà può fornire a situazioni così disperatamente difficili e dolorose, di cui chi è vittima non è minimamente responsabile e spesso soffre, in aggiunta, della incomprensione di chi è vicino e anche un po' meno vicino, di chi dovrebbe capire e aiutare e invece si gira dall'altra parte per non vedere, per non essere costretto a vedere, ciò che disturba i nostri sensibili sensi e si trincera e si difende, dietro pregiudizi e giudizi frutto di ignoranza, che offendono chi li formula e non chi li riceve.
Di tutto questo è stata vittima per anni la mia paziente, cresciuta e vissuta in una famiglia del profondo sud, ove il concetto di mascolinità, come attribuzione e diritto di superiorità è ancora molto presente e duro a morire. Tutto questo La costrinse, quando la Sua decisione era ormai stata presa e comunicata, a fuggire da una famiglia che, lungi dall'appoggiarLa e confortarLa, La aveva al contrario rifiutata e abbandonata, disconoscendoLa e ripudiandoLa come causa e espressione di vergogna e scandalo.
Tutto questo rappresentava il motivo di maggior dolore e disperazione per la mia paziente, nei lunghi e difficili anni romani, tutto questo rappresentava oggetto dei nostri colloqui, che spesso, purtroppo, si riassumevano in un lungo, continuo, inarrestabile pianto dirotto e incontenibile; tutto questo portò la mia paziente a tentare, per fortuna senza riuscirvi, di por fine alla Sua vita e con essa alle Sue sofferenze. Tutto questo era riassunto, nella lettera che ho ricevuto, in una sola parola, "passato", intendendo Lei con questo, tutti gli anni trascorsi e sofferti.
"Carissimo dottore il mio passato è finito; i miei genitori e i miei fratelli hanno capito e ora faccio parte di nuovo della mia famiglia, seppur con un nome diverso".
Per uno psichiatra ormai sessantenne, forse non è dignitoso commuoversi, ma nel leggere quelle semplici, poche parole, che riassumevano il dramma di anni, non ho potuto, non ho voluto trattenere la commozione e l'emozione. Per mia fortuna ero solo nel mio studio.
E leggendo quella frase, semplice eppure così profonda e significativa, non ho potuto fare a meno di ripensare, con sdegno e con vergogna alle parole che il Papa, solo pochi giorni prima aveva pronunciato, a questo proposito, sull'argomento e che riporto testualmente perchè chi non le abbia ascoltate, o non le ricordi, possa riflettere, se lo vuole, sul loro significato:"La Chiesa ha una responsabilità verso il creato e deve farla valere anche in pubblico. Ha la responsabilità di proteggere anche l'uomo contro la distruzione di se stesso. E' necessaria una ecologia dell'uomo. Non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell'essere umano, come uomo e donna e chiede che quest'ordine della creazione venga rispettato. Disprezzare quest'ordine, sarebbe un'autodistruzione dell'uomo e una distruzione dell'opera stessa di Dio. Ciò che viene inteso con il termine "gender" è il tentativo dell'uomo di autoemanciparsi dal creato e dal Creatore. L'uomo vuole farsi da solo e disporre sempre esclusivamente da solo ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità e contro lo spirito Creatore".
Belle parole, teologicamente perfette, ma distanti mille miglia dalla realtà umana, semplice, spesso drammatica, dolorosa, complessa e molte volte incomprensibile.
Benedetto XVI, il Papa teologo, è certamente molto esperto di Dottrina, ma lontanissimo dalla umana comprensione, dall'umana solidarietà verso chi, meno fortunato e non certo per sua colpa, cerca di dare alla propria vita un assetto migliore, cerca, con dolore e con fatica, una propria identità, perduta o mai conosciuta. Benedetto XVI chiuso nella torre d'avorio della sua teologia, chiuso nelle soffuse atmosfere del Vaticano, nulla conosce delle sofferenze e delle nobiltà di quel gregge che pretende di custodire.
E questa sarebbe una Chiesa vicina agli uomini?
Vergognatevi.
Domenico Mazzullo

lunedì 22 dicembre 2008

Giù le mani da Galileo



Con inaspettata puntualità e con pregevole tempismo e rapidità, il Papa Benedetto XVI ringrazia il nostro scienziato pisano Galileo Galilei, per le Sue opere e per il contributo fornito alla Scienza.
Peccato che lo stesso Papa, nel suo ringraziamento, ma si è trattato certamente di una piccola svista, di una dimenticanza perdonabile, dovuta alla sua età, o ai tanti impegni cui un Papa è costretto a far fronte, abbia dimenticato, tralasciato di sottolineare, di menzionare la piccola disavventura giudiziaria cui lo stesso Galileo andò incontro con la stessa Chiesa di cui egli ora è a capo.
Si trattò di una piccola bega giudiziaria, di un piccolo malinteso con la Santa Inquisizione, nel lontano 1633, che vide Galileo come imputato e ahimè anche condannato, ma per fortuna tutto si risolse felicemente e con soddisfazione dei partecipanti e contendenti, per mezzo della ammissione di colpa da parte dello stesso imputato e reo confesso. Si pensi che non si rese necessaria nemmeno l'applicazione della tortura, strumento allora molto in voga per ottenere le confessioni spontanee.
Certo chi era proprio vicino vicino allo scienziato pisano, sembra che Lo abbia sentito pronunciare, tra sè e sè e a bassissima voce, per non essere udito, la fatidica, nota frase "eppur si muove", a ribadire, in un estremo atto di orgogliosa e proterva affermazione di se stesso, la validità delle sue teorie. Ma si conosce e si tramanda il cattivo carattere di Galileo, accentuato dalla inoltrante senilità e tutto sommato questa frase, su cui si nutrono anche fondati dubbi, Gli può essere perdonata, a fronte dei grandi meriti scientifici che la Chiesa gli riconosce.
E bene ha fatto a tale proposito il Papa precedente a chiudere definitivamente il contenzioso con Galileo, nell'ormai lontano 1992, perdonandolo, a soli 359 anni di distanza, per le sue colpe e riabilitandolo agli occhi dei fedeli.
Con questo perdono e riabilitazione avvenuta, la Terra ora può liberamente ruotare attorno al Sole, come appunto aveva affermato Galileo, e può finalmente farlo sotto gli occhi di tutti senza dover temere ad ogni giro la scomunica da parte della Chiesa.
E il successore di Giovanni Paolo II, del Papa del perdono e della riabilitazione , è giunto addirittura a ringraziare Galileo per la Sua opera in campo scientifico. Peccato solamente per una piccola postilla, una aggiunta, forse un lapsus calami, dovuto sempre all'entusiasmo del momento e alla atmosfera natalizia, contenuta nelle stesse parole del papa, che ha affermato di essere grato a "tanti uomini e tante donne di Scienza che ci hanno fatto capire sempre meglio che le leggi della natura sono un grande stimolo a contemplare con gratitudine le opere del Signore".
Io non sono sicuro che questo fosse esattamente il pensiero di Galileo e di tanti altri uomini di Scienza, ma mi fido della infallibilità del Papa nella interpretazione del pensiero degli altri, però, se la mia senile memoria non mi tradisce, mi sembra di ricordare che, e solo poco tempo addietro, (vedi mio blog del 17 ottobre), lo stesso Papa si sia espresso, nei confronti degli uomini di Scienza, in termini leggermente diversi da quelli usati oggi per lodare Galileo:" La scienza moderna a volte segue solo il facile guadagno e tenta di sostituirsi al Creatore con arroganza, senza essere in grado di elaborare princìpi etici, mettendo in grave pericolo la stessa umanità....non sempre gli scienziati indirizzano le loro ricerche per il bene dell'umanità. Il facile guadagno o, peggio ancora, l'arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante.".
Possibile che il Papa non ricordasse quanto da lui stesso affermato solo poco tempo prima? Oppure per la Chiesa esistono scienziati buoni e scienziati cattivi, i primi che affermano ciò che è conforme con la dottrina della Chiesa stessa e i secondi, naturalmente, che affermano ciò che invece è in conflitto con questa?
Può esistere una Scienza buona e una cattiva?
Oppure la Scienza è vista sempre dalla Chiesa con timore e diffidenza, in quanto utilizza lo strumento della umana ragione, in conflitto spesso e contrasto con quello della fede?
Domenico Mazzullo

martedì 16 dicembre 2008

Lettera a Babbo Natale



Siamo in prossimità del Natale e siamo tutti più buoni.
Secondo le migliori tradizioni, anche io ho scritto la mia letterina a Babbo Natale esprimendo i miei desideri. Parcamente ne ho, tra i miei tanti, scelti solo due, modesti ma a me carissimi e preziosi.
Il primo desiderio è che Eluana Englaro, colpita chissà da un misterioso virus fulminante, trovi finalmente e spontaneamente la morte desiderata e agognata e si dimetta autonomamente da una vita, o una parvenza, un fantasma di questa, che in tali condizioni mai avrebbe desiderato, come più volte aveva affermato, quando era in grado di esprimere una volontà cosciente.
Questa morte spontanea libererebbe Lei, in primis e a seguire i Suoi genitori, dallo assurdo, incomprensibile, inqualificabile, indegno spettacolo di personaggi saccenti e dotti, religiosi e laici, e a loro dire mossi dalle migliori intenzioni, che si aggirano discettando e filosofeggiando, attorno al Suo capezzale, autodefinendosi difensori della vita.
Mi piacerebbe assistere personalmente allo stupore e alla delusione, stampata sui volti di questi pii uomini, privati improvvisamente ed autonomamente del loro motivo di contendere, perchè lo stesso motivo, stanco di vivere è spontaneamente e nonostante la loro opposizione, morto.
Il secondo desiderio è un po' cattivo e temo che Babbo Natale lo ricuserà rispedendolo al mittente, ma ormai è scritto nella letterina che è già stata spedita al Polo Nord.
Vorrei che tutti coloro i quali sostengono la necessità di opporsi in tutti i modi al desiderio di Eluana, espresso ripeto quando era in vita, di non essere condannata ad una esistenza vegetativa, trascorressero il giorno di Natale, invece che con le loro famiglie attorno al solito panettone, invece accanto al capezzale di Eluana Englaro, con il papà e la mamma, per comprendere solo un poco, un pochissimo, se ne sono capaci, lo strazio e la sofferenza di questi genitori, costretti ad assistere alla esistenza di una figlia che non riesce a morire.
Grazie lo stesso Babbo Natale, anche se sono convinto che non esaudirai i miei desideri.
Domenico Mazzullo



giovedì 6 novembre 2008

Il Messia








Sinceramente se fossi stato un cittadino USA avrei votato McCain, ma non lo sono e quindi il problema non si è posto, ma non posso negare di essere rimasto particolarmente colpito, ammirato per la dichiarazione del candidato sconfitto, non appena è divenuta evidente ed inappellabile la sua sconfitta. Con grande nobiltà d'animo e cavalleria d'altri tempi, degna di un militare, ha subito ammesso la sconfitta e si è complimentato con il neopresidente dichiarando immediatamente ed inequivocabilmente:"Obama è il mio Presidente e tutti noi americani dobbiamo stringerci attorno a lui" per uscire subito dopo e credo definitivamente di scena. Grande lezione di stile, di fermezza d'animo e di lealtà verso il capo di una nazione che lo ha democraticamente eletto, stile distante mille miglia dalle risse da saloon, di pessimo gusto e molto poco democratiche che vedono come protagonisti i nostri politici, o sedicenti tali, che molto avrebbero da imparare da chi vive in un paese di democrazia molto più giovane della nostra ma evidentemente molto più profondamente sentita e rispettata.
Al di là di queste considerazioni personali, ciò che maggiormente mi colpisce, ma non mi stupisce, come psichiatra è lo straordinario entusiasmo che ha coinvolto tutti, non tanto negli Stati Uniti, che dovrebbero essere i diretti interessati, ma soprattutto al di fuori di questi, per questa elezione di un nuovo presidente, dal quale, quasi fosse un nuovo, moderno messia, di biblica provenienza ci si aspetta miracolistiche soluzioni o addirittura veri e propri miracoli che risolvano d'un sol colpo, i problemi del mondo intero.
Sinceramente non vorrei essere al posto di Obama sul quale si concentrano e convergono tutte le aspettative e i desideri che irrazionalmente ed emotivamente tantissimi nutrono nei suoi confronti. Il nostro paese, come al solito è al primissimo posto in questa espressione di miracolistica aspettativa, se un noto ed affermato quotidiano, "La Repubblica" addirittura titola al domani della elezione:"Il mondo è cambiato".
Sinceramente mi colpisce e nel mio piccolo non condivido questo ottimismo gratutito e destituito di fondamento, non perchè non creda e non abbia fiducia nella buona fede e nelle buone intenzioni di Obama, ma perchè fino ad ora conosciamo le sue parole dei programmi espressi nella campagna elettorale, ma non ancora i fatti, ed una persona, qualunque persona, a mio parere si valuta per i fatti e non per le parole, chè queste ultime, solo quando sono conformi e coerenti con i fatti, appunto, sono degne di valore e di credibilità. Aspetto allora fiduciosamente i "fatti" di Obama" per gioire, come tanti, della sua elezione.
Ma un'altra riflessione, purtroppo triste e non confortante, mi è suggerita da questa vicenda recente, che conferma e si aggiunge alle tante precedenti dello stesso genere e sulla stessa linea, ossia che le nostre umane prese di posizione, aspettative e conseguenti decisioni ed azioni sono informate e determinate molto di più, anzi spesso quasi unicamente, da spinte emotive ed irrazionali, piuttosto che dall'uso della ragione, di cui tanto ci sentiamo orgogliosi, come esseri umani, ma che poi così poco, o quasi per nulla usiamo, mossi dalla innegabile evidenza, che la poesia delle emozioni è molto più suadente ed affascinante, che la prosa piatta e anaffetiva della ragione.
Nulla di male anzi tutto di bene, quando le emozioni e le passioni ci spingono e ci inducono a produrre opere d'arte, a gioire entro di noi per queste, a provare sentimenti ed affetti verso un altro essere umano, ma non è altrettanto bene quando esse ci informano e ci spingono a prendere decisioni e ad agire, in ambiti nei quali dovremmo rispondere solo ed esclusivamente secondo ragione, utilizzando uno strumento che solo è proprio ed appropriato in questi contesti. Se devo piantare un chiodo uso un martello, così come se devo avvitare una vite uso un cacciavite. Un uso contrario non darebbe buoni risultati.
Così tornando ad Obama e al giubilo provocato dalla sua elezione, quasi fosse un novello messia sceso finalmente in terra a salvarla, mi sento un po' spaventato, non da lui certamente, ma dalla reazione emotiva e irrazionale da lui suscitata, ricordando che altri personaggi della storia hanno evocato analoghe aspettative e irrazionali certezze, rivelatesi poi infondate e tragicamente dannose per l'intera umanità. Non è necessario andare molto lontano con la memoria e il secolo appena trascorso e già i primi anni di quello attuale ne forniscono un eclatante e disperante esempio.
Con questa malinconica e pessimistica constatazione saluto, nel mio piccolo, Obama presidente, augurandogli sinceramente di smentire, con le sue azioni, le mie pessimistiche riflessioni.
Domenico Mazzullo

venerdì 17 ottobre 2008

Eppur si muove....






"Eppur si muove...". Questa la frase storica, amara e tristissima che si vuole il grande Galileo Galilei abbia pronunciato, tra sè e sè, dopo la abjura cui fu costretto dalla santa inquisizione per aver salva la vita, al termine di un drammatico processo che lo vide imputato, reo di aver voluto addirittura cercare la verità con gli strumenti della Scienza e non con quelli della fede.

Gravissima colpa per il povero Galileo, il quale osò addirittura voler usare la ragione che il buon Dio ci ha donato, piuttosto che rinunciare ad essa come la Chiesa di quel tempo e non solo avrebbe voluto, in favore di una fede e di una verità rivelata, naturalmente la sua.

Ma suvvia erano altri tempi, secoli addietro. Ora tutto è cambiato. Galileo Galilei è stato riabilitato già da alcuni anni dal papa Giovanni Paolo II il quale ha addirittura chiesto scusa con grande magnanimità e così ora la terra può tranquillamente ruotare attorno al sole, come voleva Galileo e non più il sole attorno alla terra, come invece voleva la Chiesa.
Erano altri tempi. Allora gli eretici venivano bruciati sui roghi, dopo i processi cui erano sottoposti dalla santa inquisizione, ora si dialoga con loro, pecorelle smarrite, dalla vista oscurata, che non vedono la verità giusta. Non si perdona solo a chi, dopo una vita di sofferenze inaudite, implora la morte come una estrema liberazione. A lui no, il perdono è negato, reo non di aver tolto la vita ad altri, ma di aver chiesto in piena consapevolezza di rinunciare alla propria, divenuta insopportabile.
I tempi sono cambiati, il potere temporale non esiste più e la chiesa si occupa solo di essere guida delle anime e delle coscienze.
Ma è proprio vero che dai tempi del povero Galileo, la filosofia della chiesa è cambiata e la stessa chiesa si è pentita degli errori del passato, come a gran voce e con pubbliche scuse annuncia?
Mi vien fatto di dubitarne, se papa Benedetto XVI, l'immediato successore del papa che ha riabilitato Galileo così si pronuncia a proposito della Scienza e di alcuni scienziati:" La scienza moderna a volte segue solo il facile guadagno e tenta di sostituirsi al Creatore con arroganza, senza essere in grado di elaborare princìpi etici, mettendo in grave pericolo la stessa umanità....non sempre gli scienziati indirizzano le loro ricerche per il bene dell'umanità. Il facile guadagno o, peggio ancora, l'arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante.".
A quali scienziati il papa si riferisce? A quale arroganza si riferisce? Forse a quella stessa arroganza di cui fu accusato Galileo quando con gli strumenti della ragione ebbe l'ardire di contestare la verità che la fede sosteneva?
Se così fosse, e purtroppo temo proprio che così sia, allora i tempi non sono per nulla cambiati, ma sono cambiati solo i modi con cui la chiesa, nel suo assurdo oscurantismo, cerca, come ha sempre fatto, di ostacolare il libero progredire della scienza, vissuta e sentita come il più grave e serio pericolo, come il più temibile attentato alla propria supremazia e al proprio potere fondato sulla ignoranza.
Domenico Mazzullo




mercoledì 1 ottobre 2008

Libera Chiesa in Libero Stato


Non si è ancora spenta l'eco delle polemiche provocate dalla celebrazione del XX Settembre a Porta Pia, caratterizzate dalla improvvida, indecorosa, offensiva ed equivoca commemorazione, da parte del delegato alla memoria del Comune di Roma dei 19 caduti papalini, zuavi stranieri e mercenari, che la Chiesa Cattolica, forte di questo clima permissivo e clericale, si permette ancora una volta di interferire ed ingerire, pesantemente ed impropriamente, negli affari interni di uno stato sovrano libero ed indipendente, quale è, o dovrebbe essere la nostra Italia, arrogandosi arbitrariamente il diritto di esprimere il proprio parere contrario, alias veto preventivo, su una legge avente come argomento il testamento biologico, già presente ed esistente negli Stati Uniti e in molti stati europei.
Alla conferenza stampa conclusiva del Consiglio permanente della Cei, monsignior Betori, chiude la porta ad una vera legge sul testamento biologico: da una nota di agenzia di stampa "Il segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori, illustrando oggi il comunicato finale dei lavori del parlamentino della Cei, ha ribadito il sì dei vescovi alla "dichiarazione del paziente legalmente riconosciuta" che costituisce "la volontà del paziente stesso". Con questa dichiarazione il medico - ha precisato Betori - si deve confrontare ma poi a decidere è lui, "senza cedere né verso l'eutanasia né verso l'accanimento terapeutico". Secondo i vescovi italiani in una legge sul "fine vita" non deve esserci spazio per "aperture all'autodeterminazione dell'individuo. Questa - ha spiegato il segretario della Cei Giuseppe Betori - è una visione che va contro le radici cristiane della nostra cultura". Per questo, ha sottolineato, "preferiamo non parlare di testamento biologico ma di una legge sul fine vita: la vita non è a disposizione di nessuno, nemmeno di se stessi. Il problema è proteggere la vita e rendere degno il momento della fine della nostra esistenza".
Mi chiedo come questo prelato si permetta e come lo Stato italiano gli permetta, di esprimersi in questo modo, senza neppure accennare ad una reazione di protesta.
Eppure abbiamo studiato a scuola, che cardine dei rapporti tra stato e chiesa, dovrebbe essere il motto illuminante ed esaustivo di Camillo Benso conte di Cavour:"Libera chiesa in libero stato", che forse il prelato non ha studiato nelle scuole cattoliche che ha frequentato da giovinetto, o più probabilmente fa finta di dimenticare, perchè non conveniente e scomodo per gli interessi suoi e della sua chiesa, ma che non dovremmo mai dimenticare e anzi tener ben saldo nella memoria noi, cittadini italiani che laicamente vogliamo sentirci liberi nelle nostre coscienze, senza ingerenze in queste di nessuno.
La chiesa è liberissima di esprimere il proprio parere morale e determinante, per chi a quella chiesa si sente di appartenere e che ai suoi precetti deve ubbidire, ma non è libera di esprimere pareri ed ingerire nella legiferazione di uno stato sovrano, che pur ospitandone il capo, vuole e deve sentirsi libero da ogni vincolo di fede religiosa, a suprema, inalienabile, irrinunciabile tutela di quei tanti cittadini italiani, che in quella fede non si riconoscono.
Io cittadino italiano laico e non religioso, sono soggetto alle Leggi dello Stato, ma non ai dettami religiosi legittimi e vincolanti per i fedeli, ma non per me che a quella fede non credo e non appartengo.
Un cattolico credente, ossequioso ai precetti della sua chiesa, non redigerà mai il testamento biologico che gli permetterebbe, in piena libertà, di disporre della propria vita, ritenendo, secondo la sua fede che questa vita non gli appartenga, ma perchè dovrei essere privato io, laico e non di fede, che ritengo invece che la mia vita mi appartenga, del diritto legittimo e sacrosanto di disporre di questa in piena libertà?
Mi sembrava di aver studiato a scuola che i tempi della Santa Inquisizione in cui la "vera fede" veniva imposta con la forza, fossero finiti, ma evidentemente non è così o qualcuno fa finta di non accorgersene.
Mi verrebbe voglia di suicidarmi per far dispetto a monsignor Betori, per dimostrargli che la mia vita mi appartiene e ho diritto a disporre di essa, ma non lo faccio perchè penso che del mio suicidio non gli importerebbe niente.
Domenico Mazzullo

domenica 21 settembre 2008

Due pesi e due misure




A ideale commento di quanto detto nel Post precedente, mi piace pubblicare, per chi ha l'incauta volontà di leggermi, ma lo avesse perso, l'articolo pubblicato sul quotidiano "La Repubblica" di domenica scorsa da Corrado Augias, in occasione del recente viaggio del Papa Benedetto XVI nella laica Francia:



Questi toni
anche in Italia

CORRADO AUGIAS

Quale diversità di toni, da una parte e dall'altra quando il papa parla fuori d'Italia e quando, fuori d 'Italia, un capo di Stato o di governo gli si rivolge.
Nella "lectio" al mondo della cultura, Benedetto XVI ha ricordato le benemerenze del monachesimo spingendole fino a farle diventare una premessa dell' umanesimo.
In quello straordinario ambiente gotico il papa ha dipinto il monachesimo come un baluardo di libertà, un freno al doppio e opposto estremismo dell'arbitrio e del fondamentalismo, con un chiaro richiamo all'attualità.
Al presidente Sarkozy che ha parlato ancora di quella “laìcità positiva“ già adombrata in Laterano lo scorso dicembre, BenedettoXVI ha risposto che la laicità non è in contrasto con la fede .
Sarkozy era stato criticato per aver fatto quella misurata apertura verso la religione nella vita pubblica; eppure si trattava di parole che in un'ottica di casa nostra nessun politico
mai direbbe nel timore di essere giudicato troppo laico .
In un paese dove la metà dei bambini nasce fuori dal matrimonio e le chiese sono frequentate dall'8 per cento della popolazione, il papa non ha mai accennato alla sacralità della famiglia, al divorzio , all'aborto, alle coppie di fatto regolamentate in Francia dal 1999 .
Mai ha toccato gli argomenti della vita e della morte, della bioetica e del finanziamento alle scuole cattoliche.
Al di là delle Alpi non ci sono principi non negoziabili .
Il papa sa che qui la laicità è regolata per legge dal 1999; che toccare argomenti sui quali lo Stato ha gelosa competenza sarebbe stato peggio di una gaffe, sarebbe stato anche ai suoi fini controproducente.
A Parigi si è visto un papa benevolo e che s'è ben guardato di rivolgersi ai politici cattolici ; che ha parlato invece a tutti gli uomini di buona volontà mostrandosi cosi molto più "cristiano" dell'arcigno guardiano della morale che tuona dal balcone di san Pietro.




A Corrado Augias il mio personale, ideale ringraziamento per aver espresso e condensato in un così acuto e lucido scritto il pensiero comune di tanti tra noi.


Domenico Mazzullo




www.studiomazzullo.com

sabato 20 settembre 2008

XX Settembre 1870 XX Settembre 2008













XX Settembre 1870 XX Settembre 2008. Ancora la voglia e il desiderio di ricordare, di conservare entro di noi, la memoria di una data così importante per l'Italia, per la nostra Patria, una data che ha finalmente coronato il sogno del nostro Risorgimento, il sogno di tanti Patrioti che hanno combattuto e sono morti per una Italia unita e libera, con Roma capitale, una data che ha segnato la fine del potere temporale della Chiesa, restituendo contro la volontà di questa, Roma agli italiani.

Oggi, come tutti gli anni, coloro i quali ancora nutrono e alimentano entro di sè gli ideali del Risorgimento, si sono raccolti a Porta Pia per celebrare, per commemorare, per testimoniare, per non dimenticare e non far dimenticare gli ideali e i principi che hanno fatto l'Italia libera e sovrana, consegnandoLa a noi posteri e figli di quegli uomini che per essi si sono sacrificati e sono morti.

Quando oggi, in un assoluto silenzio, ho sentito risuonare le note del Silenzio per rendere gli Onori ai caduti, la mia mente è idealmente volata a Giuseppe Mazzini, a Giuseppe Garibaldi, ai combattenti volontari della Repubblica Romana del 1849, caduti per difendere Roma, perchè essa fosse finalmente libera dal dominio oppressivo del Papa Re.

Il loro sogno non fu coronato, il loro desiderio non fu realizzato, Essi non potettero vedere una Roma libera e repubblicana, ma forse, da dove stanno, hanno potuto vedere oggi i Loro eredi, i Loro discendenti, riunirsi a Porta Pia per onorarne la memoria e serbare vivo il Loro ideale, per testimoniare che non sono morti invano.

Ma mentre rifletto, mentre commosso rievoco con la fantasia quei momenti eroici e gloriosi, mi assale subitaneo, crudele, imperioso e ineludibile un dubbio, un interrogativo: ma Roma e l'Italia sono veramente libere? E' veramente finito il dominio del potere papale? Siamo veramente cittadini di uno Stato sovrano e repubblicano, o non piuttosto ancora sudditi di un Papa Re?

Un Papa, il quale liberatosi, non per sua volontà, di un potere "temporale" esercita ancora e ancor di più il suo potere, in maniera più subdola, più sottile e per questo ancora e ben più pericolosa?

E mentre la mia mente si perdeva in questo interrogativo, le note del Silenzio terminavano, restituendo me e tutti gli altri al rumore fastidioso e disturbante di una città moderna, in febbrile movimento, ansiosa di dimenticare, di non pensare, di abdicare, di cedere la propria autonomia, la propria libertà, il proprio libero pensiero, in cambio di un comodo e rassicurante pensiero suggerito, imposto da altri, che pensino e decidano per noi.

Allora, se questo fosse vero, quei caduti, Cui oggi rendiamo gli Onori, sarebbero morti invano, sacrificando la loro libertà e la loro vita inutilmente, per noi che oggi così facilmente a quella libertà di pensiero rinunciamo volontariamente, semplicemente non esercitandola, lasciando che altri se ne approprino e la esercitino per noi.

E proprio ieri, a Porta Pia, quasi a voler confermare e rafforzare i miei dubbi e i miei timori, si è verificato un fatto importante ed inquietante, mai accaduto in precedenza: Il Delegato alla Memoria del Comune di Roma, generale Antonino Torre, in rappresentanza del Sindaco, nel suo discorso commemorativo ricordando i caduti del XX Settembre ha citato, uno per uno i nomi dei 19 caduti da parte papalina, "tralasciando" di citare i nomi dei 48 caduti da parte italiana, contravvenendo alla elementare regola secondo la quale i caduti sono eguali e sullo stesso piano da entrambe le parti.
Una svista? Una dimenticanza? Una scelta di opportunità, perchè citarne 48 italiani, sarebbe stato troppo lungo, rispetto ai 19 papalini?
Oppure, e mi fa orrore semplicemente pensarlo, è stata una scelta meditata e studiata per non fare cosa sgradita al Papa, in un giorno in cui si celebra la fine del suo potere temporale, per opera della Italia laica, seppur monarchica.
E' un pensiero che mi indigna semplicemente formularlo entro di me, ma che purtroppo è avvalorato dal fatto inequivocabile, che quando il Presidente del Comitato per il 150° anniversario della Unità di Italia, Benito Garrone ha cercato di prendere la parola per contestare l'accaduto e farne rilevare l'inopportunità, gli è stato strappato il microfono di mano dallo stesso Delegato alla Memoria.
Anche questa una svista, una disattenzione? Ma per fortuna le parole del Presidente Garrone sono state udite egualmente, da chi voleva udirle.
Fa tristezza pensare che una data storica così importante e fondamentale per la nostra Patria, venga sporcata, offuscata, da un atteggiamento servilmente ossequioso nei confronti del successore di quel Pio IX che con la sua proterva e miope, inutile resistenza, si rese responsabile dei 19 caduti papalini e dei 48 caduti italiani.


Domenico Mazzullo






venerdì 22 agosto 2008

Se Maometto non va alla montagna...n.2








Forse per non essere da meno alla novità della Sardegna, ecco una nuova iniziativa estiva da parte di un sacerdote, questa volta di Bibione, don Andrea, che tutti i giovedì in estate, apre la Chiesa alle 8 di sera e la chiude alle 8 del mattino, per tutti i fedeli che, disgustati dalle discoteche, dai festini sulla spiaggia con relativi falò e dalle maratone estive alimentari-alcooliche ed altro, desiderano e sentono pressante l'esigenza di rifugiarsi in Chiesa per ritrovare un minuto di raccoglimento, per ricongiungersi con se stessi, per nutrire spiritualmente l'anima temporaneamente smarritasi nei godimenti della carne e dimentica invece del nutrimento dello spirito. Dopo la mezzanotte viene servita addirittura una tazza di caffè gratis a tutti i fedeli presenti.

Certamente l'intenzione di don Andrea è lodevole e mossa, ispirata dalla più sincera buonafede, se egli stesso si è espresso così:" Con preghiere e confessioni by night, salvo i giovani dalla discoteca", ma a me laico e agnostico, questo estremo propendere della fede verso chi è in tutt'altre faccende affaccendato, questo proporsi eccessivo e ostentatamente facilitatorio, questo cercare senza essere cercato, queste chiese gonfiabili sulla spiaggia o nei luoghi di ritrovo, queste chiese aperte anche di notte, per una popolazione che di notte preferisce altre cose, appare leggermente eccessivo e credo rischi di sminuire, a parer mio che fede non ho, il valore stesso, intrinseco e più profondo della fede.

Ho sempre pensato alla fede, come a un valore che debba essere cercato, nel nostro intimo, con impegno ed anche, perchè no, con sforzo, con dedizione, con sacrificio, e non piuttosto come a un bene che venga elargito, regalato, proposto e deposto davanti a noi, inconsapevoli e immeritevoli, senza nessuna iniziativa da parte nostra, senza nessuna nostra presa di posizione, senza nessuna intenzione di cercarla e eventualmente trovarla.

Mi tornano alla mente le parole di un grande giornalista, laico ed agnostico, sulle cui pagine ho incominciato e imparato a pensare e ragionare riguardo a questi temi, Augusto Guerriero, meglio conosciuto per il suo pseudomino "Ricciardetto" : "Quaesivi et non inveni", ho cercato, ma non ho trovato.

Testimoniano tutto il dolore, lo sconcerto, la solitudine esistenziale di un uomo che ha cercato, ma non ha trovato. Cosa? Proprio quella fede che ora invece viene elargita, così semplicemente, facilmente, leggermente a tutti, che l'abbiano desiderata e cercata, o no, che la volessero o meno.

Da che mondo è mondo il problema principe della esistenza umana, superato quello acuto ed immediato della sopravvivenza è stato quello del significato della nostra esistenza, del nostro fine, della nostra ragione di esistere, domande alle quali la fede ha dato, per alcuni tra noi più fortunati, risposte certe ed esaustive, risposte comunque a domande poste, risposte cercate.

Ma una risposta senza domanda è una risposta sprecata, a vuoto, non valida e non apprezzata.

E mi chiedo perchè quei tanti, tantissimi giovani che trascorrono la notte in discoteca, a ballare e fare altro dovrebbero all'improvviso sentire così forti ed irrefrenabili i morsi del rimorso, del pentimento, del bisogno di sacro, di ricongiungimento con Dio, da non poter neppure attendere il normale trascorrere della notte, il sorgere delle prime luci del giorno seguente, per recarsi in chiesa e confessarsi, per sciogliere il proprio animo afflitto in un pianto liberatorio e dover invece approfittare e godere della opportunità notturna fornita ed elargita da don Andrea per liberare il proprio animo.
E mi sovviene anche, emerge dai miei ricordi scolastici, ormai remoti, la tragica vicenda di manzoniana memoria dell'Innominato che come tutti ricordano, dopo la frase semplice pronunciata da Lucia "Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia", colpito e rapito da queste parole nel più profondo della sua coscienza, trascorse una notte insonne, drammatica, roso dai ricordi, dalla rievocazione delle tante ribalderie commesse, da un disappunto per queste che presto si sarebbe trasformato in odio pieno, da un incontenibile desiderio di farla finita, di cancellarsi fuori da una vita divenuta insopportabile, da una angosciante domanda sul "poi", sul "dopo la morte", sulla fine che avrebbe fatto il proprio corpo senza vita, sul domani senza di lui.
Dovette trascorrere interamente e senza speranza una notte così, in nostro povero Innominato, perchè nella sua coscienza cominciasse a farsi strada il barlume del rimorso, e attendere inevitabilmente il mattino, perchè il suono inatteso delle campane, gli annunciasse il sopravvenire del Cardinale Borromeo, recatosi dal quale, sciogliersi finalmente in un pianto liberatorio e convertire il rimorso in pieno pentimento, con sincera volontà di espiazione.
Mi sorge subitaneo il dubbio,però, che se il nostro Innominato, invece che ai suoi tempi, quelli del Cardinale Borromeo, fosse vissuto nei tempi recenti, avrebbe trovato don Andrea ad attenderlo, nella sua Chiesa aperta anche di notte, risparmiandogli certamente la tragica veglia notturna, con tutti i suoi tormenti, ma a noi sarebbe venuta meno una pagina commovente e di grandissima letteratura...e forse infine il risultato non sarebbe stato proprio lo stesso, privato del pathos della ricerca e della attesa.
Ricordo che quando ero bambino e mia mamma mi recava con sè in chiesa, rimanevo sempre stupito ed affascinato del come, all'immediato varcare la soglia e al richiudersi dietro le nostre spalle della porta della chiesa stessa, il rumore di fuori miracolosamente e improvvisamente sparisse, sostituito da un insperato ed affascinante, sconosciuto silenzio.
Mi appariva sempre, questa, come la prova e la testimonianza della esistenza di Dio.
Ora mia mamma non c'è più da tempo e io non frequento più le chiese, ma se vi entrassi ritroverei ancora lo stesso misterioso silenzio, o sarei disturbato dal rumore e clamore della vicina discoteca?
Domenico Mazzullo

domenica 27 luglio 2008

Se Maometto non va alla montagna...



"Se Maometto non va alla montagna...la montagna va a Maometto", recita un vecchio detto, che in chiave moderna e cattolica, può assumere, con lo stesso significato, il seguente slogan: "se i fedeli non vanno in Chiesa allora la Chiesa va dai fedeli", che detto così potrebbe assumere tanti significati, anche simbolici, ma in questo caso il significato è molto concreto, ahimè, visibilmente concreto: una Chiesa gonfiabile, analoga a quelle costruzioni, castelli delle fate e simili, anche esse gonfiabili, che nei Luna Park fanno la gioia dei bambini.
Lunga trenta metri, larga quindici, colori nero e fucsia, completa di altare, abside, confessionali, pulpito, organo a canne, candelieri e croce dorata, può essere eretta, pardon gonfiata, grazie alla forza pompante di cinque compressori, che in cinque minuti, permetteranno di erigere ciò che nei secoli passati richiedeva anni, o decenni.
Il "battesimo del fuoco" , mi si perdoni l'ironia, questa chiesa modernissima, lo vedrà sulle spiagge della Sardegna e poi naturalmente su altre spiagge, di cui la nostra Italia è ricchissima.
Così i bagnanti, in costume, tra una partita a carte sotto l'ombrellone, un bagno, una partita di pallone in acqua e un massaggio rilassante in spiaggia, potranno cercare Dio senza andare troppo lontano e senza dover perdere troppo tempo per trovarlo.
L'idea è anche quella di montare la chiesa di notte, vicino ai classici e tradizionali ritrovi di giovani, discoteche e quant'altro, così essi, tra una movida e un approccio mal riuscito, tra una bevuta e una fumatina, dovranno percorrere solo pochi passi per ritrovarsi in meditazione e silenzioso raccoglimento. I suoni profani si mischieranno ai suoni religiosi in un meraviglioso connubio esistenziale.
Era proprio necessario, mi chiedo proprio io laico e non religioso?
Ma forse la crisi di religiosità è giunta ad un punto di tale drammatica esasperazione, da richiedere espedienti simili, eppure il bangno di folla giovanile, che tanto ha rallegrato il Papa nel recente viaggio a Sidney, faceva credere il contrario, ma lì ci trovavamo nell'emisfero opposto.
Domenico Mazzullo

lunedì 21 luglio 2008

Vergogna




Domenica 6 Luglio ero tra i pochi, i quali si sono sentiti in dovere di onorare , al Gianicolo, la tomba di Goffredo Mameli, l'Autore del nostro Inno d'Italia, in occasione della ricorrenza della Sua morte, il 6 Luglio 1849, caduto in difesa della Repubblica Romana e dei Suoi ideali, dopo una lunga agonia, colpito da una pallottola francese che aveva reso necessaria, prima l'amputazione della gamba colpita e poi provocato la morte per la gangrena sopraggiunta successivamente.
Goffredo Mameli morì, cosciente e consapevole, a soli 22 anni, da eroe.
Si è notata la assenza totale di tutte le autorità.
Un ringraziamento particolare va alla Banda dei Granatieri di Sardegna, presente e che ha reso gli onori intonando l'Inno di Italia, quello stesso Inno che il signor Umberto Bossi ha offeso e profanato, forse dimentico di essere un senatore della Repubblica Italiana e ahimè un ministro della stessa Repubblica.
Io non so quali scuole il signor Bossi abbia frequentato, se ne ha frequentato qualcuna, ma certo quel giorno doveva essere assente, forse ammalato, quando la lezione verteva su Goffredo Mameli, sui Suoi ideali, sul suo coraggio, sulla Sua morte precoce, sul Suo Inno, Fratelli d'Italia, che è stato scelto come Inno della nostra Patria.
Forse il signor Bossi, di corta memoria, non ricorda che fintanto che è italiano, questo è anche il Suo Inno, l'Inno che lo rappresenta.
Chè se questo non gli aggrada, può anche dimettersi, può anche rinunciare alla cittadinanza italiana. Nessuno davvero lo trattiene.
Forse il signor Bossi ,di corta coscienza, non comprende che offendere il nostro Inno, offende tutti gli italiani, tutti gli italiani che ancora credono in quegli stessi ideali per cui è morto Goffredo Mameli.
Forse il signor Bossi, di corta cultura, non conosce neppure le parole dell'Inno d'Italia.
Gli consiglio vivamente di leggerLe, se è capace di farlo, perchè in questo modo scoprirà, non senza sorpresa e sconcerto, che "schiava di Roma" è la Vittoria :
"Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Chè schiava di Roma
Iddio la creò.
Forse il signor Bossi, di corta intelligenza, non prevede che gli italiani non dimenticano.
Come italiano mi sento profondamente offeso e sinceramente mi sarei aspettato che il Capo del Governo chiedesse le immediate dimissioni del proprio ministro Bossi.
Non lo ha fatto. Peccato...
Gli italiani, delusi, ringraziano.

domenica 20 luglio 2008

Tutto il mondo è paese




Il Papa, a Sidney, gode per il bagno di folla giovanile accorsa da tutte le parti del mondo per acclamarlo e ascoltare le Sue parole e mostra di apprezzare particolarmente la compagnia dei suoi ragazzi, mentre invece si scaglia duramente contro i preti pedofili.
Nello stesso momento, a Roma, due suore, fedeli al loro voto di povertà e attratte dalla convenienza dei Saldi in corso, si soffermano interessate davanti alla vetrina di un negozio di pelletteria di lusso, in piazza di Spagna. (foto dell'autore)
Domenico Mazzullo

domenica 13 luglio 2008

a proposito di impronte digitali...

Dalla stampa di oggi: Roma- Bambini rom di 5 anni "vedette" a pusher slavi.
Bambini di cinque-sei anni costretti a vigilare per proteggere la preparazione e lo spaccio di droga di pusher slavi.
Lo hanno scoperto i Carabinieri del nucleo operativo della Compagnia di Anzio durante un'irruzione in un'abitazione occupata da nomadi ad Ardea in cui hanno arrestato due trafficanti e sequestrato oltre un chilo e mezzo di cocaina evitando che i bambini dessero l'allarme.
Avevano addestrato i bambini a dare l'allarme a chi tagliava la droga in casa.
Non credo sia da aggiungere alcun commento.
Domenico Mazzullo

sabato 12 luglio 2008

Colonie






Avevo studiato sui libri di Storia, che il periodo delle Potenze coloniali si fosse concluso, definitivamente, con la fine del secolo scorso, ma devo ricredermi e purtroppo constatare che così non è.
Da quando il nostro paese è entrato, infatti, a far parte della Europa Unita, ha cessato di essere uno Stato sovrano e indipendente, anche se formalmente continua ad esserlo e viene trattato, dagli altri paesi membri, come se fosse una loro colonia, soggetta a controllo, attenta osservazione e pronta punizione, quando non si comporta a dovere, e gli eventi recenti mi permettono, ahimè, di confemare e rafforzare questa mia ipotesi, o constatazione, che dir si voglia.
Tre eventi, in particolare hanno richiamato, perchè contemporanei e coincidenti, la mia attenzione e li prendo in esame separatamente, perchè sia possibile rilevare in essi il comune denominatore di cui prima.
Primo: l'ondata emotiva di riprovazione e violenta critica, sollevatasi immediatamente e contemporaneamente da più parti, quando il nuovo Governo ha varato le nuove norme in tema di sicurezza e di contrasto all'emergenza clandestini e criminalità connessa, con particolare riferimento alla iniziativa di identificazione della popolazione Rom attraverso le impronte digitali. Immediatamente l'Italia è stata accusata di razzismo e non è stato difficile, anzi sin troppo facile, il richiamo alle Leggi razziali di Mussolini. Come al solito l'emotività ha il sopravvento sulla ragione e quando l'emotività viene ad arte e in mala fede strumentalizzata, si creano disastri di cui la Storia passata è ridondante.
L'Italia, è evidente, è il ventre molle della immigrazione clandestina, sia per la sua naturale posizione geografica, sia per le sue leggi particolarmente permissive ed inoltre scarsamente applicate. Fa comodo, evidentemente, agli altri paesi, nostri partners europei, che dovrebbero essere nostri alleati e invece non lo sono, che l'emigrazione clandestina si concentri nel nostro paese, con tutti i problemi che essa comporta, in primis la criminaalità, organizzata e minore, ivi compresa il problema delle popolazioni Rom.
Vorrei vedere come si comporterebbe la Germania, se campi nomadi irregolari, stazionassero a ridosso della Porta di Brandemburgo a Berlino, o la Spagna, così critica nei nostri confronti, se analoghi campi sorgessero nei pressi della Puerta del Sol a Madrid, o lo stesso Vaticano, così solerte a richiamare e ad esortare al rispetto dei principi di cristiana accoglienza, se gli stessi campi sorgessero a Piazza San Pietro.
Secondo: In Spagna, in una località di mare, nei pressi di Barcellona, una nostra connazionale è stata barbaramente uccisa.
Leggo nella stampa di oggi che Joan Boada, segretario generale per gli Affari Interni dell'amministrazione di Barcellona, intervistato alla radio, ha duramente criticato la stampa italiana accusandola di "sensazionalismo" esprimendosi con queste parole:"la stampa italiana che è o che dipende da Silvio Berlusconi ha bisogno di storie truculente per depistare la popolazione".
Naturalmente, dopo la vibrata protesta del nostro Ambasciatore, sono venute le scuse di convenienza, ma evidentemente questi sono i sentimenti che animano i nostri vicini, ai quali vorrei ricordare che Silvio Berlusconi può piacere o non piacere, ma che è stato votato da una maggioranza di italiani e questa si chiama Democrazia.
Terzo: Nella confinante Francia, ove negli anni passati hanno trovato rifugio e impunità molti criminali, processati e condannati in Italia per crimini ed omicidi legati al terrorismo, secondo la ben nota "teoria Mitterand", di negare l'estradizione, il neo-presidente Nicolas Sarkozy, sfidando le proteste dei seguaci della linea precedente, ha concesso l'estradizione della terrorista Marina Petrella, condannata in Italia, nel 1992 all'ergastolo, per omicidio, furto, sequestro e attentati per fini di terrorismo.
La Petrella, latitante in Francia dal 1993, ove ha stabilito la sua residenza formando una famiglia e lavorando nei servizi sociali francesi, finalmente arrestata, visto il nuovo corso della Giustizia francese, impresso da Sarkozy, verrà estradata in Italia...accompagnata però da una "lettera di raccomandazione" dello stesso presidente francese, il quale, impietosito dalle condizioni di grave depressione in cui versa la terrorista, ne sollecita la grazia, non appena giungerà in Italia.
A parte la evidente e scorretta indebita ingerenza del capo di uno Stato straniero, nel quale è stata fornita ospitalità e lavoro ad una terrorista condannata, che estradandola finalmente, ne raccomanda parallelamente la grazia, come psichiatra nutro seri e motivati dubbi sulla natura della gravissima depressione insorta nella terrorista, improvvisamente, all'indomani dell'arresto e della probabile estradizione.
Forse i sensi di colpa per gli omicidi e i crimini commessi, che devono certamente averla lacerata per tutti questi anni di latitanza, non impedendole però di formare una famiglia e di lavorare, debbono essere improvvisamente divenuti insopportabili ed incontenibili, nel momento in cui era venuto finalmente il momento di espiare le proprie colpe, scatenando la gravissima depressione di cui soffre e che ha suscitato la pietà non soltanto del francese presidente Sarkozy, ma anche della sua italiana neoconsorte Carla Bruni, che ha rinunciato ad una ottima occasione per tacere e non esprimere il suo illuminato parere su questioni che per nulla la riguardano.
Ma forse la signora Bruni-Sarkozy, in tutt'altre faccende impegnata, non ha mai avuto il tempo di leggere "Delitto e castigo" di Feodor Dostojevskij e "Dei delitti e delle pene" del suo connazionale Cesare Beccaria.
Mi piacerebbe domandare, però, alla signora Bruni e al suo consorte signor Sarkozy in virtù di quale merito, o considerazione ritengono che lo Stato italiano dovrebbe concedere alla signora Petrella, condannata per gravissimi reati all'ergastolo, la grazia e quindi il perdono, pur non avendo scontato in Italia, neppure una piccola parte della sua pena, essendo stata accolta in volontario esilio nella compiacente Francia?
Mi tornano alla mente, in queste circostanze, le parole di Simon Wiesenthal, l'uomo che, unico sopravvissuto della sua famiglia ai campi di sterminio nazisti, dedicò l'intera sua vita restante a dare la caccia ai criminali nazisti.
Nel suo libro"Giustizia, non vendetta" egli ebbe a dire che "il perdono offende le vittime" e io mi auguro sinceramente che lo Stato italiano non vorrà offendere le vittime della signora Petrella.
Domenico Mazzullo

giovedì 10 luglio 2008

Eluana Englaro


La parola “eutanasia” deriva dal greco antico e significa "buona morte", “dolce morte” (eu = “buona” e thanatos = “morte”).
Forse l'Italia, la nostra Patria, un paese così disastrato e senza speranza, ancora non lo è diventato, se accanto alla spazzatura che assedia e attanaglia Napoli è ancora capace di produrre sentenze così nobili e coraggiose, come quella espressa dalla Corte d'Appello di Milano, che finalmente riconosce a Eluana Englaro il diritto di morire, di essere libera di lasciare un corpo, nel quale è imprigionata, senza speranza, da sedici anni, cinque mesi e ventuno giorni, tale è il tempo che la separa dalla data dell'incidente e la vede costretta in un letto, in coma irreversibile, contro la sua volontà, espressa chiaramente ed incontrovertibilmente, quando ancora era in grado di esprimerla, ai suoi amici e familiari.
Finalmente la battaglia legale, tristissima, coraggiosa, drammatica combattuta dal papà di Eluana, per veder rispettato il diritto e la volontà della figlia è vinta.
E' una vittoria ben triste, perchè il premio della vittoria è al fine la morte, ma è una vittoria della Civiltà, del coraggio, della dignità umana, del rispetto per la vita, quando essa è degna di essere vissuta, del diritto per ogniuno di noi di decidere per se stesso, per la propria vita, o la propria morte, è una vittoria della libertà contro il bieco oscurantismo, tanto più vergognoso e iniquo, quando si ammanta dei falsi panni della pietà e di un falso rispetto per la vita di cui non saremmo padroni e responsabili.
E' l'oscurantismo, non nuovo e non certo sconosciuto, della Chiesa cattolica, contraria ed in opposizione ad ogni forma di libertà e di diritto all'autodeterminazione per ciascuno di noi. E' il crudele oscurantismo di questa Chiesa che predica il perdono e che non è stata capace di perdonare a Piergiorgio Welby, la volontà di porre fine alla sua vita divenuta insopportabilmente dolorosa, di questa Chiesa che permette la sepoltura in luogo sacro ad un mafioso pluriomicida e non concede a Piergiorgio Welby un funerale religioso, come suo desiderio.
Ho personalmente conosciuto il padre di Eluana, in occasione di una tormentata trasmissione televisiva cui partecipai, ho a lungo parlato con lui e con lui mi sono commosso al pensiero di Eluana.
Ho ammirato il suo coraggio, la sua lucidità, la sua determinazione, il suo amore per la figlia.
Nella stessa trasmissione ho, ahimè, avuto modo di conoscere e di scontrarmi verbalmente e violentemente con l'esimio Monsignor Rino Fisichella neo-presidente della Accademia pontificia della Vita, il quale, per nulla commosso dalla drammaticità della vicenda umana, si produsse in dotte e teologiche, quanto fredde elucubrazioni sulla dignità della vita e sulla non appartenenza di questa all'uomo cui nessun diritto spetta di rinunciarvi , quando essa diviene insopportabile.
Cercai di spiegare, senza successo, all'ineffabile e imperturbabile Monsignor Fisichella, che noi medici, favorevoli all'eutanasia, non siamo medici nazisti desiderosi di ripristinare la soluzione finale, ma solo e semplicemente medici sensibili alle sofferenze estreme dei pazienti e che ritengono loro imprescindibile dovere, non tanto prolungare la vita ad ogni costo ed anche contro la volontà dei pazienti stessi, ma aiutare questi ultimi a por fine alle loro sofferenze, quando essi lo desiderano e quando ogni possibilità terapeutica non è più praticabile. Riteniamo questo un nostro dovere di medici e un atto di umana pietà.
Chiesi altresì a Monsignor Fisichella e lo chiedo ancora oggi, visto che non mi è stata fornita una risposta: "in virtù di quale diritto uomini che appartengono ad una confessione religiosa, cui io non appartengo, ma che rispetto, dovrebbero negare e quindi impedire, in ottemperanza alla loro fede, a me aliena, la libertà di rinunciare alla mia vita, vita alla quale loro, in ottemperanza al loro credo, ripeto, non mio, ritengono impossibile rinunciare?".
Ma forse la domanda è retorica e inutile: la loro fede non è sinonimo di libertà e rispetto.
Abbraccio idealmente e con grande affetto il papà di Eluana, cui va tutta la mia solidarietà e la mia ammirazione.
Domenico Mazzullo


martedì 1 luglio 2008

Eroi

Al di là ed al di sopra di una facile polemica che vede noi psichiatri e gli psicologi, gli uni contro gli altri armati, polemica alla quale anche io, in qualità di psichiatra, ho partecipato più volte, doverosamente, questa volta, devo concedere agli amici-nemici psicologi lo "onore delle armi" e considerarLi a tutto diritto come moderni eroi, in questa guerra che quotidianamente combattiamo contro il degrado morale e materiale, contro i segni e le testimonianze della più totale inciviltà e ammettere che, ahimè, a differenza di noi psichiatri, non sono rimasti insensibili al grido di dolore che alto e acuto si leva da una parte d' Italia.
Leggo oggi, sulle pagine di un quotidiano romano, che ben trecento psicologi volontari sono pronti a partire dal centro nord del nostro amato paese, per recarsi in Campania e apportare colà il Loro contributo professionale altamente qualificato, al fine di aiutare le genti di quella sfortunata regione a risolvere il problema della spazzatura.
Il numero trecento evoca sempre in me la memoria storica di atti eroici, di sprezzo del pericolo, di indomito coraggio, di dedizione alla nobile causa della Libertà. Erano trecento gli spartani di Leonida che si immolarono alle Termopili. Erano trecento i giovani patrioti della sfortunata spedizione di Carlo Pisacane immortalati dalle parole della spigolatrice di Sapri, "eran trecento, erano giovani e forti, e sono morti".
Spero vivamente che i trecento psicologi, pronti a partire per liberare la Campania dalla mondezza accumulatasi, siano ben consci e consapevoli, memori dei loro predecessori storici e della analogia numerica, che dette lustro e gloria ai partecipanti, ma segnò anche tragicamente il Loro destino.
Mi chiedo però e non riesco ad immaginarlo, in che modo i trecento eroi attuali esplicheranno la loro specifica funzione psicologica?
Forse verranno impiegati per spiegare alla popolazione inerme le ragioni psicologiche per cui è consigliabile la raccolta differenziata dei rifiuti? Oppure cercheranno di evincere, dai sogni e dagli incubi dei cittadini-pazienti, le motivazioni inconscie per cui tale raccolta differenziata è purtuttavia così ostica e ancora così poco diffusa? O forse, mediante un opportuno training esistenziale insegneranno ai campani, a convivere in buona armonia con la spazzatura e trovare, nella presenza di questa sotto casa e nelle strade, un motivo recondito di soddisfazione e chissà anche di gaudio?
Così tra queste immensità s'annega il pensier mio....e sogno di eroi spartani, di eroi del Risorgimento e di moderni eroi.....

Domenico Mazzullo
d.mazzullo@tiscali.it
www.studiomazzullo.com

martedì 13 maggio 2008

Quousque tandem Catilina....


Quousque tandem Catilina....Fino a quando Catilina abuserai della nostra pazienza? Questo l'interrogativo retorico rivolto in Senato da Cicerone. Questo l'interrogativo che noi italiani dovremmo rivolgere al Papa il quale, ancora una volta, si permette, proditoriamente di ingerire negli affari interni del nostro paese, una Repubblica fino a prova contraria, ancora laica e libera, da quando il XX Settembre 1870 i Bersaglieri sono entrati in Roma, ultimo caposaldo del potere temporale della Chiesa.
Ma forse il Papa, che continua ad essere ospite di Roma, dimentica, o fa finta di dimenticare, che non è più un Papa Rè, come si diceva una volta quando vigeva ancora uno Stato pontificio di cui il Papa era appunto monarca assoluto.
Forse il Papa dimentica, o fa finta di dimenticare, che non è buona norma di educazione mischiare il sacro col profano e interferire negli affari interni di uno Stato sovrano di cui è oltretutto ospite.
Forse il Papa dimentica, o fa finta di dimenticare che egli è a capo di una Chiesa, di una confessione religiosa come tante altre su questa nostra Terra e che come tale a lui spetta di diritto il compito di pronunciarsi su questioni religiose, da cui scaturiscono dettami morali, ma non di esprimere pareri non richiesti e negativi sulle Leggi vigenti in uno Stato sovrano, come è appunto l'Italia, di cui è gradito ospite.
Non contesto infatti minimamente al Papa, il diritto di difendere la vita, secondo i principi ed i dettami della Sua fede e di tanti cattolici, ma contesto vivamente e strenuamente il "diritto" che il Papa si riconosce e si autoattribuisce di pronunciarsi in tema di legislazione di uno stato sovrano quale è appunto l'Italia, o almeno così credo.
Faccio specifico riferimento, è ovvio alla ultima pronunciazione di ieri del Papa in tema di Legge italiana sull'aborto, la Legge 194 istituita per scongiurare, o almeno limitare, la piaga degli aborti clandestini che mettevano spesso a gravissimo rischio la vita delle gestanti, costrette a ricorrere a queste pratiche di fortuna.
Ma forse al Papa, così interessato alla difesa della vita in embrione, non interessa la difesa della vita in essere, così come, nella assurda presa di posizione contro la contraccezione, vieta l'uso sanitario del profilattico, unico mezzo semplice ed a portata di mano a difesa dall'AIDS, ma ahimè purtroppo anche un contraccettivo.
Ancora una volta e come sempre nei secoli, la Chiesa si dimostra miopemente retriva e assurdamente abbarbicata alla strenua difesa delle proprie posizioni, anche se esse sono evidentemente errate, pericolose, gravemente ignoranti dei progressi e delle conquiste della Scienza, vista sempre come un acerrimo nemico e una pericolosa apportatrice di idee nuove, basti pensare solo a Galileo Galilei, alla teoria della evoluzione di Darwin e alla proibizione assoluta di praticare la vaccinazione antivaiolosa negli Stati della Chiesa, quando essa, praticata in tutti gli stati civili d'Europa, aveva sconfitto le terribili epidemie di vaiolo.
Il Papa è liberissimo, dall'alto della sua cattedra spirituale, di dettare principi e norme di comportamento morale e pratico ai seguaci e fedeli della confessione di cui egli è a capo, ma non ha il diritto, lo ribadisco, di esprimersi a dissenso di una Legge di uno Stato libero e sovrano, laico per definizione e di cui fanno parte anche cittadini che quella stessa fede non hanno, o che ritengono che debbano essere tenuti ben distinti e separati i problemi di fede da quelli di leggi che essi liberamente e democraticamente si sono dati.
Di questo passo anche l'Islam o altre fedi religiose si sentiranno autorizzate ad esprimere pareri discordi sulle nostre Leggi.
Domenico Mazzullo
www.studiomazzullo.com

martedì 8 aprile 2008

Test di sanità mentale


Leggo sulla stampa di oggi che ha suscitato subito un grande clamore e un prevedibile sdegno la proposta di Berlusconi di sottoporre i pubblici ministeri ad un test periodico di sanità mentale.
Al di là ed al di sopra delle possibili intenzionalità politiche della dichiarazione, sulle quali non entro in merito, tenendo però conto che la stessa proposta era stata avanzata, sempre da Berlusconi, quando era Capo del Governo, non comprendo lo sdegno e lo stupore che la stessa proposta ha suscitato e nello specifico dell'onorevole Di Pietro ex magistrato, prima di divenire uomo politico.
Come psichiatra la richiesta mi sembra, ripeto al di fuori di intenzionalità politiche, molto saggia e corretta, con la dovuta precisazione però che io estenderei il test a tutti gli esercenti di professioni che comportano responsabilità e poteri istituzionali nei confronti degli altri.
Per dovere professionale e per conoscenza delle problematiche e delle responsabilità specifiche, pongo al primo posto nella gerarchia della necessità e opportunità del test, i medici tutti e nello specifico proprio gli psichiatri al completo, cui spetta per professione la responsabilità di verificare la sanità mentale, o la eventuale malattia di altri.
Quando, molti anni addietro, mi sono laureato in Medicina e subito dopo ho sostenuto l'Esame di Stato per essere abilitato all' esercizio della professione di medico, mi sono enormemente stupito nel constatare che, al di fuori di una specifica attenzione a verificare le mie conoscenze in ambito medico, non vi fosse stata nessuna altrettanto coscenziosa verifica della mia salute mentale, nonchè del mio equilibrio psicologico, requisito indispensabile per svolgere con coscienza una professione di tale responsabilità nei confronti degli altri. Identico discorso quando ho conseguito la specializzazione in Psichiatria.
Per questo motivo mi sembra utilissimo, più che legittimo e doveroso, sottoporre i medici, ma anche i magistrati cui spetta il gravissimo compito di giudicare, ma anche la podestà di privare della libertà personale i cittadini, gli insegnanti, cui spetta l'altrettanto gravissimo compito di educare e formare le coscienze dei giovani, e tutti gli esercenti di professioni che comportano responsabilità e poteri istituzionali nei confronti degli altri, ad una valutazione della loro sanità mentale.
Mi chiedo perchè questa valutazione sia una prassi di legge quando si richiede il porto d'armi e non dovrebbe essere altrettanto obbligatoria quando si esercitano professioni che, per la loro specifica responsabilità, possono essere, ove affidate a persone prive del necessario equilibrio psichico, molto più pericolose di un'arma vera e propria.
Conscio di sollevare un gravoso problema penso che la civiltà proceda anche attraverso questi interrogativi.
Domenico Mazzullo


lunedì 31 marzo 2008

Il Grande Fratello

Non amo trasmissioni televisive quali "Il Grande Fratello" e simili e abitualmente non le guardo ritenendo vi siano modi migliori per occupare il mio tempo libero, anche se inizialmente mi era apparsa interessante l'idea di studiare i comportamenti di un gruppo di persone, isolate dal mondo esterno e costrette a vivere in una innaturale continuità, ma nel corso degli anni l'interesse è rapidissimamente scemato non essendo per nulla attratto dalle vicende erotico-sentimentali dei protagonisti e risolvendosi il programma, ahimè solo e pedissequamente in questo, con l'unica variante dei personaggi diversi, nelle diverse edizioni .
Ierisera ho ceduto, contravvenendo ai miei principi, alla curiosità avendo letto sulla stampa dei giorni trascorsi notizia della polemica sorta a proposito della sanzione disciplinare che l'Ordine dei Medici di Napoli avrebbe intenzione di comminare ad una collega, una dottoressa "rinchiusa" nella casa del Grande Fratello e protagonista di qualcosa di censurabile sul piano della dignità professionale, qualcosa di cui non conosco la natura, ma facilmente immaginabile, alla luce delle occupazioni privilegiate e abituali in quella casa.
Ierisera, mosso dalla curiosità di vedere il viso della collega imputata, ho avuto la fortuna di assistere proprio alla puntata in cui alla collega incriminata, veniva comunicata la notizia del probabile provvedimento dell'Ordine dei Medici e conseguentemente la reazione di lei.
Calando un velo pietoso sul contenuto del fatto che avrebbe provocato l'accusa, come medico sono rimasto sfavorevolmente colpito, anzi indignato dalla autodifesa pronunciata, anzi urlata dalla collega, che superato brillantemente un primo momento di comprensibile stupore e smarrimento si è esibita in una perfetta reazione isterica di pessimo gusto davanti alle telecamere e quindi
resa pubblica.
E proprio su questa distinzione tra vita pubblica e vita privata si è basata l'autodifesa della collega, sostenendo questa che quanto avvenuto nella casa e oggetto di accusa e biasimo, riguardava la sua dimensione privata e quindi non passibile di censura da parte dell'Ordine preoccupato di salvaguardare la dignità e la onorabilità di chi esercita la professione di medico, producendosi lei successivamente in una patetica, quanto sgradevole e poco dignitosa autocelebrazione delle proprie virtù di medico.
Forse la dottoressa non ha tenuto conto che quanto riguarda la vita privata, ma viene esibito davanti alle telecamere, diventa di dominio pubblico ed è obbligo preciso di ogni medico che compare, o si esibisce in pubblico, tener conto che...i nostri pazienti ci guardano e vorrebbero continuare a vedere nel proprio medico, anche se in TV, una persona di cui aver fiducia, a cui potersi affidare, rispettosa di loro e delle loro sofferenze.
Nel 1800 i medici vestivano di nero, in segno di rispetto nei confronti delle sofferenze dei loro pazienti.
Le sofferenze dei pazienti non sono mutate, ma il rispetto dei medici nei loro confronti?
Domenico Mazzullo
d.mazzullo@tiscali.it
www.studiomazzullo.com

domenica 30 marzo 2008

Anziani


In un'epoca in cui si muore con estrema facilità, in un mondo in cui ogni giorno muoiono migliaia di persone, per guerre, malattie, incidenti, catastrofi naturali e indotte dall'uomo, omicidi, suicidi e la morte degli altri è così comune, così abituale, così usuale e anonima da lasciarci indifferenti, vi sono morti però di persone comuni, qualsiasi, non famose, sconosciute, anonime, che invece ci toccano il cuore e che risvegliano in noi quel poco di umanità, quel poco di sentimento umano che ancora ci è rimasto, sepolto sotto cumuli di indifferenza, di freddezza, di crudele ipocrisia.
Il fatto è avvenuto alle porte di Roma, in un appartamento al quinto piano di uno stabile anonimo di edilizia popolare.
Quando i vigili del fuoco sono entrati per soccorrerla era ormai troppo tardi. La donna, 88 anni era morta ormai da più di dodici ore, ma nell'appartamento non era sola. In un'altra stanza un uomo e una donna, entrambi ultraottantenni, invalidi immobilizzati nei loro letti, ma vivi, la sorella della donna defunta di 86 anni e il suo compagno più giovane di lei di cinque anni.
Nonostante fosse la più anziana del gruppo, la donna defunta accudiva da sola gli altri due, invalidi ed immobilizzati a letto essendo lei l'unica ancora valida ed autosufficiente, in grado di svolgere in qualche modo le faccende e provvedere alle necessità dei familiari più giovani, ma immobilizzati.
In una società cosiddetta civile, in un paese apparentemente progredito ove abbonda il superfluo ed oltre, questi episodi di solitudine, di abbandono degli anziani lasciati a loro stessi, debbono farci riflettere, debbono farci temere il futuro prossimo, i tempi vicini che verranno, perchè si prospettano scenari ed immagini terrifiche, che solo pochi anni fa sarebbero apparse di macabra fantascienza. Siamo ancora in tempo per scongiurarle?
Domenico Mazzullo