domenica 30 settembre 2007

Ancora ancora sulla depressione

Immaginiamo di essere nell’ambulatorio di un medico di base che nella sua attività quotidiana riceve un paziente già conosciuto e da anni tra i suoi assistiti. Si tratta di un paziente di 50 anni, coniugato con due figli. Ha un lavoro impiegatizio presso una società di assicurazioni, lavoro che gli permette un dignitoso tenore di vita, potendo contare la famiglia anche sullo stipendio della moglie, insegnante di scuola media. I figli, ambedue al liceo, non danno soverchi problemi ai genitori, nulla oltre le normali crisi adolescenziali. Il paziente è stato sempre in buona salute; modico fumatore; astemio; abitudini di vita regolari.
Il paziente siede davanti al medico che lo ascolta, visibilmente imbarazzato ed in difficoltà in quanto, come confessa all’esordio del discorso, non sa nemmeno lui per quale motivo sia venuto in ambulatorio ed abbia richiesto una visita. In realtà sta bene, non lamenta nessun dolore, non ha febbre, o alti sintomi particolari, le ultime analisi eseguite poco tempo addietro, come certamente il dottore ricorda, non evidenziavano nulla di alterato, o anomalo eppure non si sente bene come prima, forse perché, azzarda una ipotesi, da qualche tempo non dorme più bene.
E’ stato sempre, lo dice con rammarico e nostalgia, un ottimo dormitore. La sera appena poggiava la testa sul cuscino si addormentava di un sonno profondo e sereno, popolato di sogni che a volte, ma non sempre, ricordava al mattino e cercava addirittura di interpretare da solo. Al mattino, si svegliava con una certa difficoltà e riluttanza al suono della sveglia che lo destava, sempre troppo presto rispetto ai suoi desideri, ma dopo una buona tazza di caffé era subito pronto ad affrontare la giornata, spesso, ma non sempre naturalmente, di ottimo umore, e comunque desideroso di impegnarsi nel lavoro.
Da qualche mese a questa parte invece, ha preso a non dormire bene come prima. La sera si sente particolarmente stanco e va a letto in anticipo sul resto della famiglia, che si attarda un poco di più davanti alla televisione. Quello è l’unico momento della giornata in cui si sente meglio, quando si infila nel letto e tira su fin sopra la testa le coperte, a proteggersi da un freddo che in realtà non c’è.
Purtroppo questo momento di beatitudine dura poco, pochissimo, in quanto il sonno sopraggiunge subito ad interrompere il piacere e sembra farsi subito profondo, ma…ma purtroppo, ormai ad ora fissa, puntuale, quasi avesse un orologio nel capo, alle 2.15 si sveglia di soprassalto. La prima, la seconda, la terza volta consecutive è riuscito a resistere al desiderio di guardare le cifre dell’orologio luminoso che ha sul comodino, nella speranza, non aprendo gli occhi, di riaddormentarsi subito, cosa che invece non è mai successa, se non dopo molto tempo, soggettivamente calcolato, ma poi, dopo giorni in cui il fenomeno si ripeteva ormai con strenua puntualità, si è rassegnato a guardare la sveglia luminosa, constatando sempre il risveglio alla stessa ora fissa e perfettamente lucido, come dopo un numero sufficiente di ore di sonno. Avendo letto su un giornale che non è opportuno rimanere a letto sveglio, attendendo il sonno, si alza, beve un bicchiere di latte caldo e torna a letto, ma il sonno non sopraggiunge mai prima di almeno una ora, come ha sempre potuto constatare dalla solita sveglia luminosa. A volte questo è l’unico risveglio notturno, a volte ve ne sono altri, ma di minore durata, trascorsa senza dormire.
Inizialmente, però, questi risvegli notturni erano, per quanto fastidiosi, un fenomeno isolato, anche se spiacevole, ma da qualche tempo a questa parte il problema si è ulteriormente complicato in quanto, a questi risvegli notturni che interrompono il sonno, si è aggiunto un fenomeno ben più inquietante: un risveglio costantemente in anticipo sul trillo della sveglia fissato alle 7.30 e che prima giungeva improvviso quando era sempre addormentato.
Magari fosse ancora così: adesso ad ora fissa, puntualmente alle 5.10 balza nel letto ed è subito completamente sveglio e lucido, senza alcuna possibilità di riaddormentarsi, come ha ormai ampiamente verificato. I primi giorni era anche quasi contento all’idea di avere ancora due ore, di anticipo, mentre gli altri erano ancora addormentati, per leggere un libro che da tempo lo attendeva sempre aperto sulla stessa pagina, ma dopo qualche giorno di questa costante levataccia, con conseguente, inevitabile sonnolenza quotidiana, aveva cominciato a preoccuparsi ed inquietarsi, vedendo calare il proprio rendimento lavorativo, la propria tolleranza agli stimoli spiacevoli, con conseguente aumento della irritabilità e insofferenza. Mentre prima, inoltre, al mattino era di buon umore e soddisfatto di recarsi al lavoro, ora invece è diventato scontroso, irritabile, cupo, malinconico e con mala voglia, al pensiero della giornata da affrontare. Lo consola solamente il pensiero di quando tornerà a casa e potrà finalmente andare a dormire.
Cosa farà il suo medico? Quale è il comportamento corretto da tenere di fronte ad un paziente come questo, abituale e affezionato frequentatore degli ambulatori medici?
La risposta alla prossima puntata.

Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it

venerdì 28 settembre 2007

Ancora sulla depressione

Ho accennato, nel precedente articolo riguardante la depressione, come questa patologia così altamente diffusa, possa risultare ancora sottostimata e sottodiagnosticata, in quanto spesso e comunque nelle fasi iniziali essa non si presenti con le caratteristiche cliniche tipiche che conosciamo e che ci permettono una facile identificazione, ma con espressioni sintomatologiche che possono ingannare il medico e sviarne la diagnosi, o renderla più tardiva, simulando queste, affezioni organiche di altra natura.
Spesso è proprio il medico di famiglia il primo interlocutore al quale il malato si rivolge per aiuto e che per primo è chiamato a formulare una diagnosi e conseguente terapia, o ad indirizzare il paziente allo specialista competente.
I colleghi che esercitano la Medicina generale ben conoscono i casi di pazienti anche ben familiari che a loro si rivolgono per disturbi vaghi, spesso non ben definiti, o definibili, difficilmente riconducibili sintomatologicamente ad una patologia specifica, dai quadri sfumati e quasi impalpabili, multiformi e facilmente e frequentemente mutevoli, sfuggenti, inquietanti, che lasciano la bocca amara al medico che si sente incapace di risolverli ed al paziente che si crede non sufficientemente considerato ed adeguatamente trattato.
Questi pazienti, con la complicità ahimé di una cattiva informazione “fai da te” che anni addietro si avvaleva delle famigerate enciclopedie mediche, immancabili in ogni famiglia e sostituite ora tecnologicamente da internet e dai molteplici siti che invitano alla autodiagnosi e alle consultazioni di autoaiuto tra sofferenti delle stesse patologie, frequentemente sono protagonisti di biblici pellegrinaggi a specialisti molteplici e di tutti i rami della Medicina, con rimandi dall’uno all’altro, fino a che in ultimo e come ultima spiaggia giungono, a malincuore e con grande terrore, allo psichiatra.
Perché tutto questo? Perché spesso si tarda tanto e non per incuria, o superficialità a formulare finalmente una diagnosi esatta di depressione?
Perché come ben sa chi di depressione si occupa professionalmente e nel caso dello scrivente, ne ha sofferto e ne soffre, la depressione è una malattia cattiva, come e più di altre malattie, in quanto fa soffrire grandemente chi ne è affetto, ma anche e soprattutto perché è subdola, traditrice, non si mostra inizialmente a viso aperto in tutta la sua essenza, ma si insinua sottilmente, silenziosamente, proditoriamente nella vittima predestinata, avviluppandola nelle sue spire, non manifestando la sua aggressività da subito, ma procedendo il più delle volte lentamente, per gradi, progressivamente ed ingannevolmente.
Essa infligge, infatti, al paziente inizialmente e spesso per lungo tempo, non una sofferenza piena, ma un vago malessere, una sfumata sofferenza, una perdita progressiva degli entusiasmi, una stanchezza esistenziale, una vaga apatia, una riduzione delle capacità vitali, della facoltà di godere i frutti della vita, di gioire per gli affetti dati e ricevuti, per la gioie, grandi e piccole che a volte l’esistenza ci concede, il tutto avvolto in un grigiore morale che non è ancora un nero pieno, ma nemmeno più un mondo colorato. Gli antichi lo chiamavano taedium vitae.
In questo grigiore esistenziale si fanno strada una miriade di sintomi, come dicevo vaghi ed imprecisi, che conducono il paziente dal suo medico con delle lamentele non ben definite e non chiare a lui che le accusa e le denuncia e naturalmente a chi le ascolta e le raccoglie.
Abituati come siamo a fare i conti con il nostro fisico, immaginiamo dapprima e ricerchiamo in esso le cause e la sede delle nostre sofferenze, o dei nostri malesseri, lamentando disturbi localizzati all’apparato digerente, al cuore, agli arti, un tremore diffuso in tutto il corpo, una cefalea continua, un senso di confusione mentale e di ottundimento, o sonnolenza che ci attanaglia per tutta la giornata e non ci permette di dedicarci appieno alle quotidiane occupazioni, una gastralgia diffusa, con nausea soprattutto al mattino, un alvo irregolare con alternanza di periodi di stipsi e di diarrea, meglio di feci poco formate, (notevole è l’attenzione, spesso negli anziani, alla funzione intestinale con polarizzazione ossessiva sulle evacuazioni che debbono essere necessariamente quotidiane) nonché la bocca amara, i piedi freddi, un indefinibile malessere diffuso al mattino, che si attenua quando finalmente usciamo per recarci al lavoro, una cronica astenia e un senso di stanchezza non proporzionale alla fatica e che non recede con il riposo, ma che anzi e paradossalmente si attenua con l’attività, difficoltà di concentrazione, svogliatezza e rifiuto di compiere qualsiasi attività che esula dagli obblighi inalienabili. Frequenti ed espressi con vergogna i disturbi della sfera sessuale, caratterizzati, negli uomini, da crollo del desiderio, disturbi della erezione, senza che si raggiunga la vera e propria impotenza, ejaculatio praecox e nelle donne dallo stesso venir meno del desiderio e disgusto nei rapporti sessuali accettati solo per dovere. Non è difficile immaginare le conseguenze di tali situazioni incresciose. Spesso i pazienti lamentano quelle che essi erroneamente chiamano vertigini, ma che in realtà sono pseudovertigini, caratterizzate da un senso di instabilità che non corrisponde ad alcun deficit neurologico, come è facilmente verificabile con un semplice esame neurologico, oppure acufeni, dolori a volte acuti in distretti corporei particolari come la lingua, o una emilingua, un labbro, dolori al torace, o all’arto sinistro che evocano naturalmente nell’immaginario dei pazienti un infarto con conseguente stato di allarme ipocondriaco. Di frequente si riscontra una ipertensione arteriosa transitoria. Fa da sfondo, immancabilmente a questo corteo sintomatologico, solo accennato e certo incompleto uno stato di ansia diffuso e cronico, non spiegabile con situazioni personali altrimenti ansiogene.
Ho descritto certo impropriamente ed approssimativamente un quadro clinico di frequente e diffusa osservazione negli ambulatori medici e negli studi soprattutto di cardiologi, gastroenterologi, otorinolaringoiatri, essendo questi gli specialisti ai quali per primi i pazienti si rivolgono, ricevendo spesso la diagnosi, per loro sconsolante di essere “perfettamente sani sul piano organico” ed il consiglio di rivolgersi ad uno psichiatra.
Il seguito….alla prossima puntata
Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it

mercoledì 26 settembre 2007

Espiazione


In un mondo e in un momento storico, che sembra abbia voluto dimenticare e cacciare dal suo seno i sentimenti e tra questi soprattutto quelli più scomodi e disturbanti la nostra identità e il nostro benessere, ossia quelli di colpa, relegati a popolare solamente gli studi degli psicoanalisti, per essere da questi risolti e curati, anche un film può giungere opportuno e benvenuto a richiamarci alla realtà, a rammentarci che, pur tuttavia, una coscienza morale ancora esiste e qualche volta può ancora aiutarci con i rimorsi che essa produce, ad illuminare, anche se dolorosamente, la nostra vita.
Mi riferisco ad un film in questa settimana in programmazione nelle sale:"Espiazione" del regista Joe Wright, fedelmente tratto dall'omonimo romanzo di Jan McEwan e stupendamente interpretato da tutti gli attori, protagonisti, comprimari e secondari. Meravigliosa la ricostruzione storica, l'ambientazione, l'atmosfera psicologica. Emblematico il messaggio morale e la constatazione di come eventi storici di portata mondiale possano far da sfondo ed intricarsi con vicende umane assolutamente personali ed intime, in un perfetto equilibrio, senza che le une sovrastino e soffochino le altre. Da maestro il connubio tra passato e recente e assolutamente imprevedibile il finale, che suggella e incorona una vicenda di grande umanità e di profondi contenuti etici. Un film da vedere più e più volte.

I compagni


E i compagni?
Sono come gli anni.
Passano e ti sembrano i migliori.
Li cerchi.
Ma quando li ritrovi
non li riconosci più.

Guido Manfredonia

Ancora a proposito di anoressia

Non c'è limite al cattivo gusto, che raggiunge in questi casi l'oscenità, ma ciò che è peggio, alla mancanza di rispetto per chi soffre: il comico Beppe Grillo nei suoi monologhi pseudocomici si permette di ironizzare sui politici (nulla da ridire su questo) utilizzando a sproposito una delle malattie più angosciose che possano affliggere l'uomo, il morbo di Alzheimer, dimenticando, o forse non lo sa, che così facendo si offende chi ne è affetto e i suoi familiari. Per non rischiare di essere da meno il fotografo Oliviero Toscani, già noto al pubblico per le sue foto pubblicitarie, ha deciso di stupire ancora, o forse meglio di offendere ancora, utilizzando, a scopo pubblicitario, la fotografia di una modella francese anoressica.
Non discuto sulla opportunità di mostrare, oltre che con le parole, con la violenza pregnante delle immagini, le devastazioni provocate nel fisico, da questa malattia sempre più diffusa, a scopo deterrente ed educativo sulle persone più giovani e più esposte alle lusinghe dei richiami della moda della magrezza, ma giudico di pessimo gusto, aberrante, ingiurioso e censurabile senza appello, l'utilizzo delle altrui sofferenze, per fare pubblicità e quindi mercato, ammantando questo sotto le mentite spoglie di scopi filantropici ed educativi. Se questo è il mondo in cui viviamo, se questa è l'umanità che ci circonda, le prospettive per il futuro non sono certo rosee.

martedì 25 settembre 2007

Gioco d'azzardo

Caro Cesare,
una volta tanto, ma sinceramente spero, una sol-tanto, non sono d'accordo con te e non condivido quanto hai scritto nella tua rubrica Sabato 14 Aprile, in tema di gioco d'azzardo: "per favore, non facciamo confusione tra i pochi viziosi autodistruttivi (che trovano nel gioco, anzichè nelle droghe, o nell'alcool un mezzo per rovinarsi e farla finita) con i milioni - miliardi, nel mondo - di persone con la testa sul collo, desiderose di concedersi un piccolo divertimento.".
Non sono d'accordo con la definizione di "piccolo divertimento". Il gioco d'azzardo non è e non può essere considerato un piccolo divertimento, altrimenti non sarebbe d'azzardo e non coinvolgerebbe enormi cifre di denaro, che passano dalle tasche di uno alle tasche di un altro e altre volte nelle tasche di nessuno, se non del banco. E non sono d'accordo neppure sulle cifre:
"i viziosi autodistruttivi" non sono pochi, così come tutt'altro che pochi sono i tossicomani e gli alcoolisti, ma accanto a questi poveri "pochi viziosi" ci sono degnissime persone, tutt'altro che viziose e soprattutto tutt'altro che poche, le quali sono cadute in preda, sono state irretite da questa follia del gioco ammantato sotto le mentite, innocenti spoglie di Lotto, Bingo, Lotterie, Scommesse ed altre delicatezze del genere. Ho personalmente cognizione, come psichiatra, di pensionati, anziani, casalinghe, ma anche professionisti, madri di famiglia, giovani e anziani, che proporzionalmente con le loro possibilità hanno dilapidato tutte le loro scarse, o cospicue sostanze al Banco del Lotto, al Bingo, nelle inconfondibili "Sala corse", o addirittura in quelle ignobili macchine con nome americano, che con lo specchietto per allodole di luci multicolori e campanelli che suonano quando, raramente, si vince, inghiottono gli spesso sudati risparmi. Tutte persone che sperano, credono, si illudono di migliorare le loro condizioni di vita, spesso misere, tentando la fortuna. Uno Stato civile e democratico dovrebbe prima di tutto tutelare i più deboli e non dovrebbe approfittare della buona fede, o debolezza di tanti speranzosi, mettendo in atto un vecchio quanto diffuso stratagemma : "...quando le finanze piangono un rimedio abituale è quello di rilanciare le scommesse o introdurre nuovi giochetti...". Scusami mi rendo conto di non parlare sine ira et studio. Mio padre, unico di nove fratelli ereditò il vizio del gioco di mio nonno e ha letteralmente rovinato la mia famiglia. Ricordo ancora, a quasi sessanta anni, le lacrime di mia mamma e gli interminabili pomeriggi domenicali, parcheggiato da solo al cinematografo, mentre mio padre si concedeva il "suo piccolo divertimento" nella Sala Corse. Per paura di pericolose eredità non gioco neppure a tombola a Natale e comunque non potrei tollerare l'idea che il denaro, eventualmente pervenuto nelle mie tasche è fuoriuscito dalle tasche di un altro meno fortunato. Ti abbraccio.
Tuo Domenico d.mazzullo@tiscali.it
Libero "Mister No" 17-04-2007

Anoressia

Mi scrive il dottor Domenico Mazzullo, psichiatra:
"Sul problema inquietante dell'anoressia
vorrei fare una piccola precisazione: a mio
parere è importante chiarire che ne esistono due
forme, differenti nelle cause che danno
loro origine e nelle loro manifestazioni
cliniche e quindi nella
attribuzione di responsabilità".“Una anoressia primaria, la
più grave e spesso mortale.nella quale il gravissimo dimagramento
costituisce solol’ultimo anello di una catena,
la cui origine è psichica e risiede
in un disturbo della personalità in
cui compaiono, in maniera preponderante,·
la drammatica paura della sessualità e
quindi la paura di uscire dalla fase prepuberale.
Per questo le pazienti anoressiche, che
contrariamente a quanto si crede, soffrono tremendamente
la fame, ma esercitano un rigidissimo
autocontrollo su se stesse, rifiutano il
cibo per non crescere e quindi non diventare, in
ultima analisi, donne. Queste pazienti sono
sempre esistite in tutte le epoche storiche, anche
quando i canoni estetici femminili erano opposti
a quelli attuali, vedi ad esempio l'imperatrice
Sissi moglie di Francesco Giuseppe e la
stragrande maggioranza delle Sante della
Chiesa. Ben diverso è il caso della anoressia secondaria
e quindi conseguente ad altre patologie,
quali ad esempio la depressione, o ad altre
motivazioni anche di tipo culturale, o di
adesione alla moda dei tempi. È. infatti, il caso
di quelle modelle, o anche semplicemente delle
adolescenti, che desiderando appartenere ed
uniformarsi ad un modello estetico imperante,
si impongono rigide restrizioni alimentari
per dimagrire".
"In questo caso e solo in questo, è importante
esercitare una pressione su chi stabilisce e impone
modelli estetici estremi. Nulla a che fare
con le problematiche di personalità del primo
caso, in conflitto soprattutto con la sessualità”.
"Paradossalmente si potrebbe dire che le prime
anoressiche non desiderano apparire anzi desiderano
scomparire, se possibile...,e a volte ci
riescono, le seconde invece desiderano, all'opposto
'apparire' adeguate, in sintonia e in conformità
ai dettami della moda vigente. A mio
parere sarebbe opportuno tener ben presente
questa distinzione. per non rischiare di fare di
ogni erba un fascio ed essere imprecisi nella attribuzione di
responsabilità.
d.mazzullo@tiscali.it
Rispondo: dell’anoressia, in seguito all'atroce
morte di una top model, in questi giorni si sta
discutendo molto. Spesso a vanvera. So che ci
sono medici che ancora pensano che basti una
zolletta di zucchero, imposta forzosamente, per
scongiurare pericoli estremi... o per indurre a
ravvedimenti psicologici. Purtroppo non è così
sono grato all'amico Mazzullo per il SUO intervento
e i preziosi chiarimenti, le distinzioni e,
in particolare (per chi potesse pensare che si
tratti di una malattia moderna) per i riferimenti
storici.
href="mailto:cesare@lamescolanza.com">cesare@lamescolanza.com
Libero "Mister No" 29-11-2006

La depressione e l'importanza degli psicofarmaci

Il dottor Domenico Mazzullo, noto psichiatra,
mi ha scritto: 'Ti scrivo su un tema che mi sta
particolarmente a cuore: la depressione e la sua
diffusione paurosamente in aumento tra i giovani,
giovanissimi e anche bambini.
Purtroppo un tema così delicato è
vittima di cattiva informazione,
di pregiudizi e prese di posizione
ideologiche, che nulla hanno
a che fare con la verità
scientifica. Spesso siamo anche
noi medici responsabili:
tesi alla cura dei pazienti, siamo
carenti di spiegazioni ed
informazioni, ma a volte anche voi
giornalisti, nel diffondere notizie
inesatte, incomplete, non bene interpretabili.
Sono comparsi recentemente sulla stampa
articoli allarmistici sull' ingente aumento di
consumo di antidepressivi da parte dei giovani,
lasciando intendere che questo fenomeno sia dovuto
alla superficialità con la quale si cerca, non
di risolvere, ma piuttosto coprire i dolori dell’anima
con i farmaci, pericolosi, spesso dannosi e
nella maggior parte dei casi inutili. Questo si
evince! Come psichiatra, considero mio dovere
morale contrastare questa superficiale, tendenziosa,
falsa e deviante interpretazione, frutto di
pregiudizi, invece che di precise documentazioni.
La depressione, ben diversa dalla tristezza
dell'animo, che alimenta ed ha alimentato scrittori
e poeti, è una malattia atroce che induce
paurose sofferenze, forse maggiori di tante altre
malattie organiche. È una malattia curabile: un
ruolo importantissimo è rappresentato dagli psicofarmaci
antidepressivi che dalla loro introduzione
hanno rivoluzionato il destino e le sofferenze
di tantissimi pazienti depressi, i quali nulla
avevano per lenire le loro sofferenze. La depressione
è in tragico, inquietante aumento presso i giovani
e addirittura.i bambini Questo fenomeno
doloroso ha certamente tante cause, ma
tra queste importante è la maggiore fragilità psicologica dei
nostri ragazzi rispetto alle generazioni precedenti,
accompagnata, a peggiorarla,
da una drammatica penuria, o assenza di valori
e ideali cui rifèrirsi nei momenti bui Demonizzare
gli psicofarmaci antidepressivi, mistificarli
alla stregua di droghe per anestetizzare il dolore
esistenziale è falso, ingiusto e soprattutto pericoloso
perché si ingenera cos un percoloso equivoco
ed una paura immotivata, utile solo a tenere
lontani i malati da vere terapie, a favore di
altre terapie assurde ed inefficaci, ma che convengono
a chi le pratica, ottenendone lauti guadagni".
d.mazzullo@tiscali.it
Rispondo: probabilmente questa nota susciterà
repliche e contestazioni. Anche perché, di mio,
aggiungo che se lo psichiatra cura, e ottiene risultati
tangibili, con i farmaci, ho invece qualche
diffidenza per lo psicologo, il cosiddetto "strizzacervelli":
parole, parole, parole.
Tutti abbiamo necessità di parlare con qualcuno
quando la nostra anima è afflitta. Ma non è
detto che l’interlocutore preferibile sia, a pagamento,
un signore che non sa assolutamente
nulla di noi e della nostra unica, particolare, diversa
complessità.
(cesare@/lamescolanza.com)

Libero "Mister No" 25-09-2007

lunedì 24 settembre 2007

Servizi segreti

Caro Cesare,
ancora una volta ti chiedo aiuto e soccorso, come giornalista, come professionista di provata esperienza, come uomo, per cercare di comprendere ciò che mi è ancora incomprensibile.
Questa mattina prima dell'alba, dal notiziario della radio e poi ora dalla prima pagina di tutti i giornali apprendo che il CSM Consiglio Superiore della Magistratura denuncia, con grande sdegno, che magistrati delle procure della Repubblica di alcune città d'Italia ( Milano, Torino, Roma, Palermo ) e anche magistrati europei venivano spiati e controllati, non da ali deviate dei Servizi segreti, ma, horribile dictu, piuttosto dallo stesso Sismi (Servizio segreto militare ).
Superato lo sgomento iniziale provocato dall'enfasi con cui la notizie è stata annunciata, abituato a riflettere freddamente e razionalmente sulle cose, mi chiedo e ti chiedo:" in cosa consiste lo scandalo, quale è il problema?
Non è forse compito istituzionale dei servizi segreti spiare e sorvegliare, certo nel pieno rispetto delle leggi e delle finalità per cui sono, in tutto il mondo, stati costituiti? E, a maggior ragione, proprio in periodi così turbolenti come quelli attuali?
E perchè proprio uno dei poteri più importanti di uno stato democratico, la Magistratura, dovrebbe essere immune da questa attenta sorveglianza? Sorveglianza non significa certamente interferenza nei compiti e nelle funzioni di questa, da esplicarsi nella più assoluta e totale libertà, ma nel rispetto altrettanto assoluto e totale delle Leggi; sorveglianza significa attenzione a che nell'ambito di questo potere così importante, fondamentale e strategico per lo Stato, non vi possano essere infiltrazioni esterne devianti, inadempienze, o peggio attività dirette contro il bene supremo della nazione. Siamo uomini e la Storia e l'esperienza ci insegna che "mele marce" possono annidarsi ovunque, da cui la assoluta necessità di difenderci da queste. Come medico sono rimasto scandalizzato che i recenti attentati in Gran Bretagna siano stati orditi e compiuti proprio da medici il cui compito dovrebbe essere quello di salvare le vite e non distruggerle.
E poi, se io fossi un magistrato, mi sentirei onorato e felice che qualcuno, nella istituzione di cui faccio parte, mi sorvegliasse, perchè, se sono integerrimo nel mio operato, come deve essere, non ho nulla da nascondere e anzi la sorveglianza cui fossi sottoposto, sarebbe la migliore prova pubblica della mia integrità. Non erano i Romani a sostenere che "la moglie di Cesare deve essere più di tutti limpida e al di sopra di ogni sospetto? Grazie per le spiegazioni che vorrai darmi. Tuo Domenico.

Pubblicato su Libero "Mister No"

Sacra Rota

Caro Cesare,

ho letto con molto interesse e anche con grande gusto la lettera comparsa ieri nella tua rubrica, riguardo a matrimoni consumati prima, ma non più dopo e al relativo problema di annullamento.
Tu conosci bene la mia posizione in tema di fede e anche quella, non necessariamente conseguente, in tema di Chiesa, della quale mi ha sempre affascinato la capacità, degna solo dei più grandi prestigiatori, di far scomparire, pardon annullare, matrimoni "indissolubili", con arditi funambolismi, che riuniscono in un meraviglioso gioco delle tre carte, la psicologia, il diritto, e ahimè anche l'economia, in quanto tanto più il matrimonio è indissolubile, tanto maggiore è la pecunia necessaria per scioglierlo.
Spesso purtroppo anche gli psichiatri vengono chiamati in causa e si rendono complici di tali scioglimenti del "vincolo", avvalorando, dall'alto della loro Scienza, motivazioni pretestuose, quali una generica, ma testimoniata e comprovata "immaturità affettiva" al pronunciamento del fatidico "sì", o una altrettanto indimostrabile, ma testimoniata volontà interiore ed intima di non procreare, tenuta però nascosta al coniuge, per cui il matrimonio celebrato, in realtà manca di uno dei principi basilari e quindi può essere annullato.
Ma al di là ed al di sopra di queste constatazioni, che riguardano la Chiesa e la Sua credibilità, il tema da voi affrontato nella lettera, con molto garbo e con intelligente ironia, tocca un argomento importante e di comune, oserei dire quotidiana” osservazione per noi psichiatri: il crollo del desiderio dopo il matrimonio, spesso addirittura all'indomani del matrimonio stesso, dopo un periodo più o meno lungo di "fidanzamento" con intenso e vissuto desiderio reciproco, come giustamente sottolineato dall'autrice della lettera.
Di fronte ad un fenomeno così diffuso e causa di atroci sofferenze, si possono solo azzardare spiegazioni o interpretazioni, tra le quali la più comune e diffusa è proprio quella addotta dalla nota attrice di teatro cui tu accennavi, ossia il temuto trasformarsi in "dovere" di quello che fino al giorno prima era stato un "piacere".
Ma accanto a questa ne proporrei un'altra, mia personale: la nostra vita è fatta di impegni, incombenze, doveri, necessari ma spesso non piacevoli e in essa, un rapporto affettivo che si sviluppa, rappresenta una speranza, un desiderio di realizzazione, un fine non ancora raggiunto, in ultima analisi, un' isola in un mare di abitudini necessarie e quotidiane. Ma quando il rapporto si istituzionalizza, l'isola felice, con due soli abitanti,scompare e viene sepolta, sommersa, si fonde e si confonde con la quotidianità, amaramente.
Domenico Mazzullo

Pubblicato su Libero "Mister No" il 01-03-2007

Welby

Caro Cesare,
leggo su Libero, nella tua rubrica, la lettera amareggiata della signora Antonella Parmentola da Potenza e sentendomi chiamato in causa ti scrivo di nuovo a commento di questa.
Come volevasi dimostrare la lettera della lettrice è l'ulteriore dimostrazione dell'integralismo e della intransigenza di chi, autodefinendosi persona di fede, non ammette che qualcuno possa pensarla diversamente e conseguentemente agire, atteggiamento molto diverso anzi opposto a quello di chi, professandosi laico, rispetta le posizioni e le scelte altrui, senza la prosopopea di erigersi a giudice supremo. In virtù della loro fede i credenti rifiutano l'eutanasia, ma non vedo perchè, sempre in virtù della loro fede, debbano impedirla a me che credente non sono.
Alcuni passi della lettera sono degni di commento specifico: "credo che la vita e la morte siano un dono di Dio, anche se spesso avvolti da un mistero che ci è difficile comprendere"; in quanto medico da trenta anni, ho visto e vedo molte persone morire, ma soprattutto soffrire nel corpo e nell'anima e sinceramente proprio non riesco a concepire la vita come un dono di Dio, anche se, secondo la saggezza popolare, "a caval donato non si guarda in bocca". Ma è sempre un dono di Dio la vita dei sei milioni di ebrei morti nei campi di concentramento tedeschi e dei pochi sopravvissuti che piangono ancora i loro morti? E' un dono di Dio la breve vita dei bambini gettati nei cassonetti della spazzatura o costretti a prostituirsi agli angoli delle strade, o dei milioni di persone ammalate irrimediabilmente di AIDS o dei poveri di Calcutta. Se questi sono doni, seppur misteriosi, allora preferisco spedirli indietro al mittente, cosa che ha drammaticamente cercato di fare il dottor Welby, il quale, altro punto cruciale della lettera, non è stato assassinato, ma piuttosto consapevolmente e più volte ha chiesto di essere aiutato, non essendo più in grado di farlo da solo, di essere aiutato a congedarsi definitivamente da una vita-dono, divenuta ulteriormente insopportabile.
Alla nostra religiosa lettrice, auguro di tutto cuore di non trovarsi mai nelle condizioni disperate del povero dottor Welby, perchè in quel caso capirebbe le sue ragioni e forse si rammaricherebbe e pentirebbe di aver scritto. Nessuno ha deciso al posto di Welby, se la sua vita fosse o no degna di essere vissuta. Lo ha deciso egli stesso e credo che questa libertà debba essere riconosciuta a ciascuno di noi.
Riguardo ad un altro punto della lettera, sono costretto a rilevare una tragica e pericolosa contraddizione:"il suo desiderio, ostentatamente reso pubblico, di voler morire lo ha posto al di fuori della dottrina cattolica" e poco dopo "Sono certa che il Signore nella sua infinita misericordia abbia accolto l'anima del dottor Welby". Non capisco; se il Signore misericordioso ha accolto l'anima del dottor Welby con quale coerenza la Chiesa cattolica e la sua dottrina che a Lui si ispira, non mostra altrettanta misericordia perdonando la pecorella smarrita rea di non voler più soffrire inutilmente? Per questo motivo, cara signora, rinnegando il battesimo, non voglio più far parte di una Chiesa incapace di perdonare.

Pubblicato su Libero "Mister No" il 23-01-2007

Spinelli II

Caro Cesare,

torno a scriverti per chiedere un tuo illuminato aiuto. Questa mattina alle ore 5 come di consueto, radendomi, appena alzato, ascoltavo il notiziario radiofonico e all'improvvisa comunicazione di una notizia del giorno, sono stato colto da un subitaneo ed incontenibile sussulto, che ha provocato uno scatto incontrollato della mano, con conseguente ferita sulla guancia e conseguente copiosa emorragia, frenata a mala pena la quale, ho atteso il notiziario successivo per avere, come speravo una conferma alla notizia precedente e temendo invece una allucinazione uditiva. La conferma c'è stata puntualmente: il nostro Ministro della Salute Livia Turco, sarebbe favorevole ad un intervento dei Carabinieri dei NAS nelle scuole, atto a reprimere ed arginare l'ormai dilagante consumo di droghe nelle scuole stesse, divenuto intollerabile e drammaticamente pericoloso per la salute e la stessa vita dei nostri giovani. Ben detto e ben fatto. E' compito istituzionale e quindi dovere materiale, oltre che morale del Ministro della Salute, difendere la salute dei cittadini, soprattutto ed in primis dei più deboli e quindi ove si ravvisi un pericolo per questa stessa salute, intervenire anche con fermezza. Dove allora la causa del mio stupore e del mio sconcerto, se sono perfettamente in linea con questa iniziativa?
Non fidandomi più tanto della mia memoria, sono andato a consultare il mio archivio cartaceo, fatto di ritagli di giornali che ritengo importanti e non ho avuto bisogno di andare troppo lontano nella mia ricerca, del tempo perduto. Ho infatti facilmente rinvenuto un articolo, o meglio una mia lettera pubblicata sul tuo "Mister no" e indirizzata allo stesso Ministro Livia Turco, in data Sabato 18 Novembre 2006, solo sei mesi addietro.
In essa mi chiedevo e ti chiedevo lumi, non potendo farlo alla diretta interessata, su un suo, a mio parere, sconsiderato provvedimento, consistente nell' innalzamento, meglio detto nel raddoppio, da 500 a 1000 milligrammi, della quantità di principio attivo della cannabis consentita per uso personale, semplicemente moltiplicando per 40 (quaranta!) la "dose media singola" per uso personale, il che in termini semplici significava, che se uno sfortunato ragazzo fosse stato sorpreso, ahimè, dalle forze dell'ordine con non più di quaranta dosi in tasca, non avrebbe rischiato più di finire allo Spielberg, ma pietosamente avrebbe ricevuto solo una mite sanzione amministrativa. Ho usato il passato ed il condizionale, perchè per fortuna il provvedimento è caduto, non perchè ritirato dallo stesso Ministro, ma bloccato dal TAR.
Ora solo a sei mesi di distanza, lo stesso Ministro si dimostra favorevole ad un provvedimento diametralmente opposto, come abbiamo visto.
Ora delle due l'una, tertium non datur: o il Ministro leggendo Libero si è ravveduto, incontrando la ragione sulla strada di Damasco, come altri in precedenza, o è stato colpito, tardivamente, da una grave malattia di mia competenza, che porta ad una dissociazione del pensiero, come si desume dal suo stesso nome che significa "mente divisa".
Tu vedi una terza ragione? Ti abbraccio forte. Domenico

Pubblicato su Libero "Mister no" il 29-05-2007

Spinelli I

Caro Cesare,

mi permetto di scriverti, in virtù della nostra vecchia e provata amicizia. Ti scrivo perché tu uomo di cultura e di grande esperienza, possa aiutarmi a rispondere ad un interrogativo che da questa mattina assilla la mia anima. Stamane alle 5, dal primo notiziario radiofonico del mattino ho appreso con raccapriccio che il nostro Ministro della Salute, Livia Turco ha innalzato, meglio raddoppiato, da 500 a 1000 milligrammi la quantità di principio attivo della cannabis per uso personale, semplicemente moltiplicando per 40(quaranta) la "dose media singola" per uso personale, il che, in termini semplici, significa che se uno sfortunato ragazzo viene sorpreso ahimè dalle forze dell'ordine con non più di quranta dosi in tasca, non rischia più finalmente di finire allo Spielberg, ma pietosamente riceve solo una mite sanzione amministrativa. Dopo un brusco sobbalzo una domanda imperiosa si è imposta alla mia mente: "Perché?"; "Che logica ha questo decreto del Ministro della Salute, che per definizione dovrebbe tutelare la nostra salute?". Rivolgo a te questa domanda perché io, povero medico, utilizzando il mio buon senso terra terra, proprio non riesco a trovare una risposta.
Immagino già il tuo viso sornione che, sorridendo, mi obietta che proprio io, in quanto psichiatra, dovrei essere soprattutto capace di comprendere la logica degli altri e ciò che passa nella loro mente, ma io ti risponderei che proprio in qualità di psichiatra sono abituato a comprendere la logica di menti malate e non quella di menti sane, quali quelle di tutti noi e quindi, anzi soprattutto, del nostro Ministro della Salute, la quale sembra essere illuminata dal sano desiderio di salvare dal carcere chi va in giro con solo quaranta dosi di principio attivo di cannabis per uso personale.
Certo lo sfortunato ragazzo incappato per caso nelle maglie dei controlli delle forze dell'ordine, deve essere una persona molto previdente e lungimirante, per essersi premunito da una improvvisa carestia di spinelli, riempiendosi le tasche di ben quaranta dosi egoisticamente tutte per sé. Perché essere così malpensanti e diffidenti sospettando, horribile dictu, che potrebbe essere uno spacciatore?
Eppure il Ministro della Salute Livia Turco è stato esplicito nello spiegare il principio informatore del Suo decreto dichiarando che il suo è un tentativo di "far rientrare tali comportamenti, nocivi per la salute, tra gli atti da prevenire e non da reprimere con pene che possono arrivare fino al carcere". Se tali comportamenti sono "nocivi per la salute" é sacrosanto il dovere di prevenire, come da istituzione, ma perché prevenire deve essere sempre visto in antagonismo con reprimere, quando invece a me sembra logico pensare che il reprimere sia un momento speciale e particolare della stessa prevenzione, sempre che si pensi che il comportamento sia lesivo della salute?
Eppure il Ministro sottolinea opportunamente che "il problema della droga sta nell'illegalità attorno al traffico e al commercio, non nel consumo individuale, contro il quale non servono né carcere né ricoveri coatti".
Allora mi chiedo: " chi alimenta l'illegalità attorno al traffico e al commercio, se non proprio il consumo individuale?"
Si tratta di incoerenza logica, oppure più subdolamente si vuole raggiungere l'agognato obiettivo di una liberalizzazione delle droghe cosiddette "leggere", visto che ormai è talmente diffuso l'uso di queste nella popolazione giovanile e non solo, che tanto vale liberalizzarle? Questo proposito fa inorridire me psichiatra che quotidianamente è costretto ad osservare nei giovani i danni prodotti da queste.
Eppure ci lamentiamo tanto della apatia, della abulia, della mancanza di interessi e di ideali, della immaturità che colpisce come un virus contagiosissimo la nostra popolazione giovanile. Non ci sfiora neppure per un attimo il sospetto che tale epidemia possa essere anche provocata proprio dall'uso di queste droghe cosiddette "leggere"? Chi ha solamente un poco di esperienza con i giovani e con gli effetti delle droghe, anche se "leggere", lo sa bene, purtroppo. Vale proprio la pena di rischiare tutto questo, solo per la velleità di distruggere tutto quello che è stato fatto dal precedente governo?
Oppure, ma è solamente fantascienza, a qualcuno fa comodo avere una popolazione di giovani apatici, con poca cultura, schiavi di paradisi artificiali, che non pensano e quindi.....?
Ti sarei veramente grato se volessi illuminarmi.
Con l'affetto sincero di sempre
tuo Dom

Pubblicato su Libero "Mister No" il 18-11-2006

Saddam

Caro Cesare,

ad alcuni giorni dalla esecuzione di Saddam, che tanto sconcerto e clamore ha suscitato in tutto il mondo, mentre ancora dura lo sciopero della fame di Marco Pannella, quello della sete è stato temporaneamente sospeso, con grande sollievo di tutti, mi permetto di sottoporti alcune mie riflessioni in merito e ti chiedo un parere.
Il nostro governo, per bocca del Primo Ministro Prodi ha espresso sdegno per l'esecuzione dell'ex dittatore, definendola una barbarie.
Pronta, precisa e puntuale è stata la risposta del governo iracheno che ha parlato con la voce di Yassin Maijd, consigliere del premier e che si è dimostrato, inaspettatamente, buon conoscitore della nostra storia e del nostro recente passato:"Gli europei che condannano l'esecuzione di Saddam Hussein dovrebbero finirla di occuparsi dei fatti interni iracheni. Soprattutto l'Italia e il suo premier Romano Prodi. Un paese dove alla fine della Seconda guerra mondiale Mussolini
è stato processato per un solo minuto. Il giudice gli ha chiesto il suo nome e alla risposta, -Benito Mussolini- gli ha detto - il tribunale vi condanna a morte - e la sentenza è stata eseguita immediatamente.
A mio modesto parere la replica è stata giusta, precisa e meritata, ma anche pietosamente indulgente nei nostri confronti: Mussolini infatti non è mai stato processato regolarmente, nessun tribunale, dopo aver valutato le accuse e la difesa, lo ha giudicato e poi condannato a morte, nessun giudice ha mai pronunciato una sentenza, seppur dopo solamente un minuto, come invece crede il consigliere iracheno. Lo afferma e lo conferma anche in una recentissima intervista, a proposito dello stesso argomento, Armando Cossutta, ex partigiano e storico leader del Partito Comunista:"Mussolini è stato ucciso in guerra, in una azione di guerra. Lui era il nemico ed è stato giustiziato durante una normale operazione militare. Non c'entra niente con l'esecuzione di Saddam Hussein" e ancora: " Il conflitto era in corso. Qualcuno dice che sarebbe stato meglio celebrare un processo. Io continuo a non essere d'accordo. Chi è responsabile di tragedie immani non ha bisogno di essere condannato in un processo". Queste le parole di Armando Cossutta e....Armando Cossutta è uomo d'onore. Sulla stessa linea di pensiero si esprime il giornalista Giorgio Bocca,di cui cito le testuali parole:" La fine di una tirannia non poteva allora essere che una giustizia sommaria del vincitore. Sotto questo aspetto quella di Mussolini è stato un fatto inevitabile, la scomparsa di un uomo perché la storia continui, un epilogo violento e drammatico perché da una tirannia possa nascere un paese libero".
Vorrei chiedere a Giorgio Bocca se per raggiungere questo alto e nobile scopo fosse necessaria anche l'esposizione della salma del dittatore a testa in giù a piazzale Loreto e il tiro a segno di sputi e calci sul suo capo.
E per ultimo...si parla di Mussolini, ma era necessaria anche allo scopo, l'esecuzione con conseguente esposizione della Sua salma di Claretta Petacci, compagna del Duce?

Domenico Mazzullo

Pubblicato su Libero "Mister No"

XX Settembre 1870


Caro Cesare,

spero veramente che tu non mi debba tacciare di monomania, pericolosa per uno psichiatra come me, ma l'ultima dichiarazione ufficiale del Cardinale Ruini Presidente della Cei, mi tira dentro per i capelli, per modo di dire.
Forse l'età avanzata, prossima alla agognata pensione, forse gli ultimi, struggenti conflitti morali e dottrinari, riguardo al caso Welby, culminati con la sofferta decisione di negare i funerali religiosi, hanno giocato all'augusto Cardinale uno scherzo della memoria, una illusione mnestica, cancellando, scotomizzando dalla sua mente una data, certo per lui fastidiosa e disturbante, ma per noi italiani molto importante: il 20 Settembre 1870, in cui ricorre l'anniversario della Breccia di Porta Pia, data ufficiale della fine del potere temporale della Chiesa, almeno così si studia nei libri di Storia.
Questo mi sembra di poter arguire, leggendo le ultime dichiarazioni del Cardinale, più appropriate e consone ad un Capo del Governo di uno stato temporale, che detta le direttive e le linee guida della sua politica, piuttosto che ad un Principe di una Chiesa che dovrebbe occuparsi della cura delle anime, della custodia delle loro coscienze, della accoglienza dei dubbi, delle incertezze, dei tormenti, che la vita di ciascuno di noi racchiude in sé, ma tenersi accuratamente discosta da questioni politiche che non la riguardano e non dovrebbero riguardarla, nel pieno rispetto di quel sano principio risorgimentale di "libera Chiesa in libero Stato".
Purtroppo, e non è certo la prima volta, ci fa obbligo constatare che la Chiesa, per bocca dei suoi esponenti, conosca, o ricordi solo la prima parte del motto, trascurando amabilmente, calpestando la seconda.
Le parole del Cardinale Ruini, che nel suo discorso di addio, probabilmente, dalla guida della Cei suonano come una indebita, gravissima, irrispettosa e pretestuosa ingerenza in fatti politici e legislativi, economici e di diritto, di uno Stato sovrano come l'Italia, che, ahimè, si trova ad ospitare nei suoi confini uno Stato straniero, il quale, però, si arroga il diritto di voler dettar legge, o mettere bocca, nei nostri affari assolutamente privati.
Non c'è aspetto dei fatti interni italiani, su cui il prelato non metta bocca e indichi le sue direttive: dai tanto contestati Pacs, ai quali, seppur per motivi laicamente diversi, anche io sono contrario, alle coppie gay su cui pesa " la non esistenza del bene della generazione dei figli", naturalmente però, "nel pieno e doveroso rispetto per la dignità e i diritti di ciascuno", apertura liberale della Chiesa, pericolosamente moderna, a confronto di tempi, non tanto lontani, in cui gli omosessuali venivano arsi su roghi accesi con rami di finocchio, donde l'appellativo omonimo e dispregiativo attribuito agli omosessuali.
Non poteva naturalmente mancare l'illuminato parere a proposito di eutanasia e la, dottrinariamente fredda ed ineccepibile difesa del tanto contestato rifiuto di esequie religiose al dottor Welby. Peccato che il Cardinale Ruini, precisando che i suddetti funerali religiosi non potevano essere concessi, in quanto Welby aveva pubblicamente e reiteratamente affermato di voler rinunciare alla vita, abbia dimenticato che gli stessi funerali religiosi vengono invece concessi ai suicidi, che alla vita rinunciano materialmente. Forse un'altra dimenticanza dovuta all'età?
Un'altra indebita, quanto inopportuna ingerenza è l'apprezzamento, gratuito e non necessario, per la finanziaria di Prodi, e in campo internazionale addirittura la critica alla politica del Presidente Bush in Iraq. Spero proprio che gli Stati Uniti ne tengano opportunamente conto, modificando tale politica.

Domenico Mazzullo

Pubblicato su Libero "Mister No" il 24-01-2007

La farmacista

La farmacista


Una mattina piovosa, mi sono recato, come ogni giovedì, ritualmente, nella mia farmacia di fiducia, per il consueto approvvigionamento di farmaci contro l’emicrania, dolce malinconia che mi accompagna, da quando ero bambino, eredità, assieme ad altri dolorosi aspetti caratteriali, di mia madre e che mi tiene viva la memoria di Lei, ogni qual volta provo l’acuto, insopportabile dolore al capo.
Mi ha accolto con il solito, accattivante, consueto sorriso la “mia farmacista” di fiducia, che senza neppur chiedermi di cosa avessi bisogno, si è diretta, con confortante sicurezza, verso l’antico scaffale di legno, memoria di tempi migliori, per questa affascinante e augusta professione, ridotta ora a modesto commercio di farmaci.
Per ingannare l’attesa, ho rivolto il mio sguardo attorno a me, affascinato ancora, come quando ero bambino, dalle molteplici e policrome scatole di farmaci, disposte in bell’ordine e secondo una logica alfabetica.
Grande è stato il mio stupore ed un acuto sconcerto, quando ho ravvisato tra queste…un moderno chewing gum…addirittura omeopatico.
La mente è subito corsa, alternativamente e conflittualmente alle infantili e modeste palline multicolori, della mia infanzia, allora dette, italianissimamente “gomme americane”, croce e delizia dei nostri genitori e alla più “seria” ed antica Medicina omeopatica, che richiama alla mente, provette ed alambicchi ed il fascino misterioso della mai tramontata Alchimia.
Alla mia farmacista, ormai ritornata, con il suo carico di “moderne” medicine allopatiche, ho rivolto ironicamente e sorridendo, non solo metaforicamente sotto i baffi, la domanda che mi assillava impetuosamente, dal momento della scoperta:”ma esiste addirittura un chewing gum omeopatico e lo vendete in questa seria e vetusta farmacia?”
Per nulla turbata dalla mia sottile ironia, la mia interlocutrice, avvolta in un rigoroso camice bianco old style, con tanto di distintivo dell’Ordine dei Farmacisti, appuntato sul petto, e che tanta invidia a me medico, orbo di analogo distintivo da appuntare sulla giacca, suscita, mi ha risposto con una serietà grave, che ha spento in me ogni velleità ironica, sprofondandomi in un baratro di solitaria disperazione, mista a sconcertato stupore: “certo” -soggiungendo con aria sottilmente disturbata-“immagino evidentemente che lei non creda all’omeopatia” –aggiungendo, ma non era necessario- “io invece ci credo fermamente”.
Un po’ piccato da tanta protervia, ma anche stupito per questa malcelata aggressività che non conoscevo in Lei, mi sono imbarcato in una noiosa e puntigliosa, polemica spiegazione linguistica asserendo che il termine “credo” non si addice ad una disciplina scientifica, alla quale non si “crede” per fede, ma che si afferma per la evidenza delle prove. L’aver usato, incautamente il termine “credo” dimostrerebbe inequivocabilmente, tradendosi senza accorgersene che, anche per Lei, la Medicina omeopatica, come penso anche io fermamente, non è Scienza, ma piuttosto una fede che si abbraccia acriticamente e senza prove, destituita essa come è di ogni validità e attendibilità scientifica.
Colpita dalla mia logica e psico-logica argomentazione, degna di uno psicoanalista freudiano, ma forse anche per tagliar corto, essendosi resa conto che altri clienti attendevano di essere serviti, la severa farmacista, con aria annoiata e di superiore sufficienza, mi ha apostrofato, sollevando leggermente il sopracciglio sinistro, in segno di disgusto: “Dotto’, bisogna pur credere a qualcosa…”

Pubblicato su Libero "Mister No" il 13-02-2007

Bullismo

Caro Cesare,

torno a scriverti, dopo la mia lettera sul decreto Turco che gentilmente hai voluto pubblicare, riguardo ad un argomento che in qualche modo è ad esso connesso: il delinquere da parte di adolescenti e in special modo l’episodio avvenuto all’istituto Steiner di Torino.
Nella trasmissione televisiva “Domenica in” è stato intervistato il Preside dell’Istituto con la partecipazione di un Magistrato del Tribunale dei minori, un mio collega psichiatra, Alba Parietti e Sara Tommasi; spero di non aver dimenticato nessuno. Parallelamente, sul quotidiano “La Repubblica” è stato pubblicato un articolo con il titolo: “Video choc, sospesa tutta la classe si ribellano i genitori dei bocciati”. Questo dimostra l’attenzione, giustamente rivolta a tale fenomeno, in paurosa ascesa, ma m’induce ad alcune riflessioni.
Il Preside ha spiegato con molta calma, correttezza e professionalità i motivi e la logica del provvedimento di sospensione per tutto l’anno scolastico per gli autori materiali dell’ignobile gesto, corroborato dal Magistrato, che ha illustrato, anche sul piano giuridico, la natura e le finalità di provvedimenti punitivi nei confronti di minori.
Purtroppo, ma lo aspettavo, in questo clima di “buonismo” imperante, si sono levate voci discordanti che criticavano il provvedimento cui sarebbe conseguita come logica conseguenza la perdita dell’anno scolastico, perché troppo severo, ma addirittura controproducente sul piano educativo, alienando i giovani dall’ambito scolastico e costringendoli a ripetere l’anno di studi e proponendo, in sostituzione di questo e come migliore alternativa, una non meglio specificata attività di assistenza presso strutture per persone disabili.
Personalmente ritengo pericolosa, ingiusta e fortemente invece diseducativa una scelta che non commini una giusta pena a chi si è reso responsabile, in una età in cui non è più invocabile la beata e adoscenziale innocenza, un atto così ripugnante quale quello di approfittare della debolezza di un proprio compagno più infelice. Ritengo anche validissima la sanzione applicata alla classe intera, che pur non partecipando, ma senza opporsi, assisteva, forse anche divertita alla ignobile bravata. Le responsabilità dell’insegnante, presente in classe, sono da valutare, ma comunque pesantissime. Un percorso riabilitativo di assistenza a persone disabili può e deve seguire la giusta punizione, ma mai sostituirsi a questa. Dove le nostre azioni non sono illuminate da una coscienza morale interiore, deve supplire una certezza della pena come deterrente da azioni immorali. Per chi voglia saperne di più propongo la lettura, sempre piacevole di “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, “Delitto e castigo” di Dostoevskij e “I miserabili” di Victor Hugo.
Ciò che non mi aspettavo e sinceramente ancor di più mi indigna è la reazione dei genitori dei sospesi, i quali, invece di vergognarsi per le mancanze dei loro figli e quindi anche loro, si accingono a presentare ricorso contro il provvedimento, come riportato dal quotidiano, e in particolare tra questi la madre della ragazza accusata di aver messo il video in rete, (con quali intenzioni lo lascio immaginare): ”Ci saremmo aspettati anche quattro mesi di sospensione…ma tagliarla fuori in questo modo, isolarla e privarla di ogni speranza mi sembra davvero troppo. Le stanno negando il futuro. E’ una scuola che sa soltanto punire”. Cosa possiamo aspettarci dai figli di genitori che si esprimono così?
Unica voce genitoriale discordante è quella del padre del ragazzo autistico, vittima delle affettuose attenzioni dei suoi compagni: “Perdono quei quattro ragazzi, anche se loro finora non hanno cercato il perdono della mia famiglia. Nessuno ha scritto o telefonato, nessuno ha voluto incontrare mio figlio”.
Dove è finita la solidarietà dei “Ragazzi di via Paal”, o di Garrone e gli altri del libro “Cuore”? Altri tempi. Anche il grande Umberto Eco ha scritto: “Elogio di Franti”.
Grazie per avermi ascoltato. Tuo Dom

Pubblicato su Libero "Mister No

Riflessioni sul crollo del ponte di St. Paul

Caro Cesare,
giustamente ed opportunamente, sulle pagine di Libero hai supplicato chi ti ha scritto "di passare ad altri argomenti, per rispetto della pazienza dei lettori non interessati al mistero della fede" e per questo, ubbidiente ai tuoi desiderata, pur affascinato dall'argomento, ho atteso qualche giorno a scriverti, ma non ho saputo resistere alla tentazione quando ho appreso, dalla radio prima e poi dai giornali, della sciagura occorsa nella modernissima e supertecnologica America: il crollo del ponte sul Mississippi che univa le metropoli di Minneapolis e Saint Paul, nel Minnesota.
Questa volta le immagini catastrofiche cui ci ha abituato il cinema proveniente da quel continente non erano finte e create in studio, ma tragicamente vere e reali:auto private, un pulmino scolastico carico di bambini chiassosi, tutti che si trovavano a transitare in quell'istante sul ponte, precipitate nelle acque del fiume, ignare persone che si recavano al lavoro, o tornavano a casa, tutte con i loro pensieri, le loro preoccupazioni, le loro gioie, le loro attese e aspettative, tutti accomunati improvvisamente e tragicamente da un unico stesso destino, immediato, repentino, inatteso e inaspettato, assolutamente imprevedibile, ma eguale per tutti. Tutti convenuti, puntuali, precisi, ignari, ma volenterosamente consenzienti, ad un comune, unico inalienabile appuntamento, quello ultimo e definitivo, con la morte. Perchè?
Delle due l'una: O la vita è un tragicomico giuoco d'azzardo, una roulette gigantesca e universale, nella quale noi umani, ma anche tutti gli altri esseri viventi che con noi abitano la terra, siamo le fisches delle puntate, gettate a casaccio sui numeri del tavolo verde e che ad ogni giro della pallina rischiano la vita, se il loro numero non esce, o guadagnano invece, se sono fortunati, un altro spazietto di esistenza, se la pallina si ferma al posto giusto per quella volta, e questo spiega quel sentimento di acuto, spiacevole, assurdo non senso, che noi laici e agnostici riscontriamo e a volte soffriamo nella vita, oppure e oppositamente, come pensa chi ha fede, non importa quale sia, la vita così come ci appare e interessa ciascuno di noi, fa parte di un universale disegno, di cui noi siamo partecipi e partecipanti, di cui ignoriamo scopi e finalità, ma che la fede in cui crediamo, ci illumina e ci esplica, senza però fornircene una ragione che sia razionalmente coglibile. Tertium non datur.
Da questa ultima ipotesi una constatazione ed una conseguenza logica evidente: se tutto ha un senso e fa parte di un disegno precostituito, allora anche la nostra morte che ci coglie sempre prematuramente, rientra in questo disegno e quindi risponde ad un senso ed uno scopo ben preciso, sgradevole quanto si voglia, ma esistente e chissà, forse investigabile. Allora anche quelle persone ignare e inconsapevoli, che si trovavano, con i loro pensieri, le loro preoccupazioni, gioie, aspirazioni, affetti, dolori, a transitare nello stesso momento su quel ponte sul Mississippi, al momento del crollo, si erano date inconsapevolmente appuntamento in quel preciso punto per compiere il proprio destino nella vita, per rispondere ad una ignota chiamata, insopprimibile ed inalienabile, nello stesso momento.
Ma perchè Dio ha voluto che quelle persone,solo un attimo prima tra loro sconosciute, tornassero a Lui, assieme, in tragica processione, in un unico istante?
Se riuscissimo a scoprirlo, razionalmente, se riuscissimo a scoprire la logica del fatto, allora avremmo una prova inconfutabile e razionale dell'esistenza di Dio.
E' proprio quanto si propone frà Ginepro, il misero fraticello di uno stupendo romanzo di Thornthon Wilder, "Il ponte di San Luis Rey", che assistendo al crollo del ponte medesimo e alla contemporanea morte delle persone che si trovavano a transitarvi,si propone di indagare la vita dei malcapitati per scoprire la logica racchiusa nella loro morte comune e da questa la prova razionale della esistenza di Dio? Ci riuscirà? Leggete il romanzo. Io continuo ad essere agnostico.

Pubblicato su Libero "Mister No" il 07-08-2007

Annamaria Franzoni

Caro Cesare,

torno a scriverti e disturbarti, non per desiderio di protagonismo, che mi è alieno, ma "pro veritate" e perchè, come psichiatra, mi sento indirettamente chiamato in causa.
Mi riferisco, al processo nei confronti di Annamaria Franzoni ed alla requisitoria del Procuratore Generale Vittorio Corsi, che mi ha colpito e suscitato la mia ammirazione, per il coraggio e la lucidità con cui si è espresso, evidenti nella lettura di passaggi del suo discorso accusatorio, riportati sul quotidiano Libero, di oggi, mercoledì e che trascrivo, per chiarezza e correttezza: " questo non è un giallo, ma un figlicidio. Non dobbiamo avere il pudore di dire che questo delitto è stato compiuto da una madre normale, anche se questo non ci piace. Non chiediamo aiuto alla psichiatria o alla psicanalisi per risolvere il caso rischiando così di perdere di vista la realtà che è più semplice di quanto possa sembrare....non bisogna fare i conti con una dissociazione rilevante, ma con un tremendo scatto d'ira, non una patologia, ma un momento di rabbia esploso nello scontro tra due testardaggini, quella di un bimbo che piange e quella di una madre che perde la testa".
Fedele agli insegnamenti di Cesare Beccaria, ritengo che una persona debba essere considerata innocente, fino a che non ne sia dimostrata la colpevolezza e fino all'ultimo grado di giudizio; per questo non entro in merito alla colpevolezza, o innocenza dell'imputata, ma come psichiatra plaudo alla lucidità del magistrato, che ha saputo sintetizzare in poche parole chiare e comprensibili, un concetto chiave così importante ed esaustivo riguardo all’argomento in questione. Annamaria Franzoni è una persona normale, intendendosi, in questo caso, aggiungo io, “normale come persona non affetta da una patologia psichica”, che avrebbe commesso, secondo l’accusa, un delitto orribile per una madre, in uno scatto d’ira incontrollabile, ma psicologicamente comprensibile e comunque possibile in una madre.
Solo il nostro orrore, la nostra paura, il nostro desiderio e bisogno di essere rassicurati e confortati, vuole “comprendere e ricacciare” questo delitto nei meandri incomprensibili e per questo, per noi sani, rassicuranti della altrui follia. I veri folli commettono, a volte, ma molto raramente dei delitti, ma non tutti quelli che commettono dei delitti, sono per questo folli. E sinceramente la signora Franzoni, che non ho mai conosciuto personalmente, ma ho potuto ammirare, come credo tanti di noi, nelle sue apparizioni televisive e di cui ho letto il libro di autodifesa, tutto mi sembra meno che folle.
Ieri sera in televisione uno psichiatra molto illustre e famoso ci spiegava che, anche se la signora Franzoni avesse commesso questo atroce delitto, lo avrebbe probabilmente “rimosso” ossia sepolto e dimenticato nel suo inconscio, questo deposito di rifiuti, ove depositiamo e“dimentichiamo” ciò che è troppo spiacevole per la nostra coscienza
Io che illustre e famoso non sono, ma pur sempre uno psichiatra, mi permetto di dissentire e rifiuto categoricamente questo concetto di “rimozione” parola chiave di pura origine psicanalitica, che funge da “tana libera tutti” della nostra coscienza sporca.
E poi mi chiedo come e perché si continui ancora a parlare di questo “inconscio” partorito dalla fantasia di Sigmund Freud, la cui esistenza, mai dimostrata e dimostrabile, è accettata, ahimè, per verità acquisita e comprovata. Mai una TAC, una Risonanza magnetica, o altri sofisticati strumenti di indagine cerebrale, ne hanno svelato l’esistenza
Parafrasando Metastasio si potrebbe dire che:
L’inconscio è come l’Araba fenice. Che vi sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa.
Nulla di male, se l’inconscio continua ad essere protagonista negli studi degli psicanalisti, ma, a mio modesto parere, molto male, se è presente e protagonista nelle aule dei tribunali.
Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it

Pubblicato su Libero "Mister No" il 29-03-2007

Depressione nei giovani

Lettera a Cesare Lanza per la sua rubrica "Mister No" sul quotidiano Libero

Caro Cesare,

più volte mi hai ospitato in questa tua rubrica per parlare di argomenti che mi interessano, ma non di mia specifica competenza. Questa volta invece scrivo a te giornalista, come psichiatra su un tema che mi sta particolarmente a cuore: la depressione e la sua diffusione paurosamente in aumento nella popolazione dei giovani, giovanissimi e anche bambini. Devo ancora una volta constatare purtroppo come un tema così delicato e drammaticamente importante sia vittima di disinformazione, di cattiva informazione e peggio ancora di pregiudizi e di prese di posizione ideologiche, che nulla hanno a che fare con la verità scientifica.
Di questo, purtroppo, molte volte siamo anche noi medici responsabili in quanto, tesi alla cura dei pazienti, siamo carenti di spiegazioni ed informazioni, ma a volte, absit iniuria verbis, anche voi giornalisti nel diffondere notizie che fanno sensazione, ma sono inesatte, a volte incomplete, non bene interpretate e quindi comprese in maniera deviata da chi legge ed è interessato particolarmente all'argomento. Quando si tratta di temi così delicati si dovrebbe tener conto di chi legge, della sua impossibilità di rivolgere allo scrivente domande dirette esplicative, di chiarirsi dei dubbi che la lettura suscita.
In particolar modo sono comparsi recentemente sulla stampa articoli allarmistici sull' ingente aumento di consumo di antidepressivi da parte dei giovani, lasciando intendere, abbastanza esplicitamente, che questo fenomeno sia dovuto alla faciloneria e superficialità con la quale si cerca , non di risolvere, ma piuttosto coprire i dolori dell'anima con i farmaci, farmaci peraltro pericolosi, spesso dannosi e nella maggior parte dei casi inutili. Questo si evince da tali articoli.
Come psichiatra, considero mio dovere morale oppormi violentemente e contrastare questa superficiale, tendenziosa, falsa e deviante interpretazione, frutto piuttosto di pregiudizi, invece che di precise documentazioni.
La depressione, ben diversa dalla malinconia, dalla tristezza dell'animo, che alimenta ed ha alimentato scrittori e poeti, è una malattia, una malattia atroce che induce paurose sofferenze come e forse maggiori di tante altre malattie organiche. E' una malattia curabile e nella cura un ruolo importantissimo è rappresentato dagli psicofarmaci antidepressivi che dalla loro introduzione hanno rivoluzionato il destino e le sofferenze di tantissimi pazienti depressi, i quali prima di essi nulla avevano per lenire le loro sofferenze.
La depressione è in tragico, inquietante aumento presso i giovani e addirittura i bambini. Questo fenomeno doloroso ha certamente tante cause, ma tra queste importante è la maggior fragilità psicologica dei nostri ragazzi rispetto alle generazioni precedenti, accompagnata, a peggiorarla, da una drammatica penuria, o assenza di valori e ideali cui riferirsi e appigliarsi nei momenti bui.
Demonizzare gli psicofarmaci antidepressivi, ridurli e mistificarli alla stregua di droghe per anestetizzare il dolore esistenziale è falso, ingiusto e soprattutto pericoloso perchè si ingenera così un pericoloso equivoco ed una paura immotivata, utile solo a tenere lontani i malati da vere terapie, a favore, mi assumo intera la responsabilità di quanto affermo, di altre terapie assurde ed inefficaci, ma che convengono a chi le pratica, ottenendone lauti guadagni.
DomenicoMazzullo d.mazzullo@tiscali.it