lunedì 31 dicembre 2007

Vacanze d'inverno


Il nostro Presidente del Consiglio in vacanza invernale sulle nevi delle Dolomiti.
Gli Italiani riconoscenti ringraziano e augurano buone vacanze ed un buon riposo giusto e meritato.
Buon Anno Nuovo Signor Presidente.
Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it


domenica 30 dicembre 2007

Risposta al commento di Roberto




Caro Roberto,

La ringrazio per aver scritto un commento al mio "Cesare Beccaria" e per le Sue parole di apprezzamento. Approvo e sottoscrivo il Suo pensiero e le Sue parole, alle quali voglio aggiungere solo qualche riga di commento.

Anche io, come Lei, sono piuttosto perplesso pur essendo, come ho detto, assolutamente contrario alla pena di morte, di fronte alle manifestazioni di gioia di chi ha promosso la moratoria, perchè ci si fa grandi di una vittoria che in fondo non è costata nulla, essendo paladini e difensori di una causa vinta in partenza e sulla quale non si può non essere, in linea di principio, altro che d'accordo. Lo stesso accade quando il Papa, mi si consenta l'accostamento, asserisce che dobbiamo essere tutti più buoni e amorevoli verso il nostro prossimo. Ci sarebbe qualcuno capace di smentirlo? Si tratta, anche in questo caso, di quelle dichiarazioni di principio ovvie ed universali, da tutti sottoscrivibili, che quindi non costa nulla fare e che per nulla impegnano chi le formula. D'altra parte è un vezzo storico inveterato presso noi italiani, essere sempre dalla parte di chi vince e poi gloriarci della vittoria, vedi ad esempio la conclusione della II Guerra Mondiale.

Questo successo poi all'ONU rientra e si inquadra perfettamente nel clima di "buonismo" che impera e vige nel nostro paese, nel quale la certezza dell'espiazione di una giusta pena è divenuta una realtà sempre più risibile e che sempre di più suscita l'ilarità negli altri paesi. In questo clima si inserisce e si spiega l'ultima beffa dell'indulto, in virtù del quale, essendo le carceri troppo affollate, si sono liberati dei criminali regolarmente condannati, perdonandogli, cancellandogli, con un tratto di penna, una parte della pena. Prossimamente, essendo gli ospedali troppo affollati, si utilizzerà lo stesso principio, dimettendo i pazienti, prima che siano guariti, rimandandoli a casa ancora ammalati. D'altra parte l'esperimento è già stato compiuto, chiudendo gli ospedali psichiatrici e sostituendoli con...niente.

A proposito di giusta pena e di perdono, mi tornano alla mente le parole di Simon Wiesenthal, l'uomo che, unico sopravvissuto della sua famiglia ai campi di concentramento, dedicò la intera sua vita alla caccia dei criminali nazisti, nel suo libro "Giustizia, non vendetta" :"il perdono offende le vittime". Giustamente Lei dice:"C'è una corsa a salvare e perdonare gli autori dei più efferati delitti e in pochi giorni non ci si ricorda più della vittima".

Lei mi chiede, se possiamo sperare in un futuro migliore per le prossime generazioni.
Caro Amico, io non sono nessuno e da psichiatra quale sono, non ho titoli per rispondere alla Sua domanda, ma da semplice uomo che cerca di osservare la realtà che ci circonda, posso dirLe di essere molto pessimista, perchè le "prossime generazioni", quelle dei più giovani, alle quali noi adulti dobbiamo passare il testimone, sono già penalizzate in partenza, essendo prive, per la maggior parte, di quella forza propulsiva, drammaticamente rivoluzionaria e innovativa rappresentata dagli ideali in cui credere e per cui battersi, per i quali si può anche sacrificare la vita, dal desiderio di cambiare il mondo per renderlo migliore, forza propulsiva che ha sempre animato la gioventù fino ad ora e che ancora anima un sempre più sparuto manipolo di persone che giovani non lo sono più.

Lei vorrebbe applicare la mia "pena di vita" ai nostri politici, condannandoli a vivere per sempre la vita di noi poveri e semplici cittadini, impegnati a sopravvivere dibattendosi tra una sanità pubblica che non funziona, pensioni offensive, una sicurezza che non esiste più e altre amenità del genere, costringendoli a rinunciare forzatamente ai privilegi di cui godono in quanto politici. Giustissimo. Sottoscrivo. Ma vorei rammentarLe che in Italia vige una democrazia, secondo la quale i nostri rappresentanti, i politici, sono stati liberamente da noi eletti a rappresentarci, in quanto sono stati da noi votati in libere elezioni. E' sufficiente non votarli più per liberarcene. Eppure noi continuiamo pedissequamente a votarli per poi lamentarcene. Dobbiamo convincerci, finalmente, che viviamo in una democrazia rappresentativa, nella quale siamo cittadini, eppure continuiamo a vivere come sudditi di una monarchia assoluta.

C'è una logica in questo? Forse perchè la libertà non ce la siamo conquistata con il sangue di una rivoluzione popolare come quella americana del 1776, o quella francese del 1789, ma ci è stata regalata dal sacrificio di pochi uomini illuminati che fecero il Risorgimento?
Grazie.



lunedì 24 dicembre 2007

Cesare Beccaria



Oggi è la vigilia di Natale, Gesù Bambino è in procinto di nascere, tra il bue e l'asinello, tutti ci sentiamo e siamo più buoni e....proprio oggi la notizia che un altro efferato, crudele, inaudito crimine è stato commesso contro una vittima innocente, colpevole solo di essere figlia di un notaio e quindi presuntivamente oggetto appetibile per un sequestro a scopo di estorsione.
Iole Tassitani è stata uccisa. Il corpo della donna rapita il 12 dicembre a Castelfranco Veneto è stato trovato nella notte in un garage di Bassano del Grappa: era stato fatto a pezzi e riposto in sacchi dell'immondizia.
Al cospetto di crimini di questa fatta e di una crudeltà così gratuita ed inaudita, si fa strada nell'animo di molti di noi il desiderio di una pena esemplare, nella fattispecie della pena di morte, come risposta immediata e definitiva a tali esempi di umana crudeltà. Per non cedere a questo desiderio, anche mio, dettato dal cuore, più che dalla ragione, ho riletto ancora una volta l'aureo libretto di Cesare Beccaria, l'illuminista illuminato autore di "Dei delitti e delle pene" e ancora una volta sono stato convinto dalle Sue ragioni.
L'Italia in questo momento è orgogliosa di aver promosso, presso le Nazioni Unite, la moratoria contro la pena di morte, e tutti sono felici e contenti di questo risultato raggiunto, che alimenta il clima di buonismo imperante in questo paese, rassicurato anche dal fatto, e non comprendo perchè sia stato assicurato con tanta enfasi, che i criminali in questo ultimo caso siano rigorosamente italiani e non stranieri.
In questo clima di buonismo dicevo, che non condivido, non comprendo e mi lascia stupefatto, riflettendo sulla rilettura di Cesare Beccaria, Che ancora una volta mi ha convinto, mi è balzata subitanea ed improvvisa alla mente una domanda: ma perchè non condannare questi bestiali criminali alla "pena di vita", in antitesi alla "pena di morte", ossia ad una vita dalle condizioni così drammaticamente afflittive, da essere invocata, da loro stessi, la pena di morte, che naturalmente verrebbe negata in ottemperanza alla risoluzione delle Nazioni Unite così fortemente voluta proprio dall'Italia?
Buon Natale a Tutti.
Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it www.studiomazzullo.com

mercoledì 19 dicembre 2007

Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori, le cortesie, l'audaci imprese...




Quando ero bambino e mio padre mi insegnava il galateo e la logica alle sue regole sottesa, ricordo che mi spiegava che spetta sempre all'uomo difendere e proteggere la donna in ogni occasione e circostanza, per questo l'uomo deve sempre precedere la donna quando si scendono le scale e seguirla quando si salgono, l'uomo deve sempre varcare per primo la soglia quando si entra o si esce da un locale chiuso, deve aprire e chiudere la porta della carrozza, o dell'auto che dir si voglia, deve sempre offrire alla donna il lato del muro, quando si è in istrada e esporsi al pericolo delle auto che sopravvengono, o di eventuali malintenzionati.
Leggo però sulla stampa di oggi: "Prodi contestato in strada. La moglie Flavia lo difende".
Segno dei tempi che cambiano? Non esistono più gli uomini di una volta? Oppure il Presidente Prodi non è in grado di difendersi da una donna che lo contesta?

Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it

martedì 11 dicembre 2007

M.llo Capo Ferro Francesco

Ho ricevuto con grandissima emozione e commozione il commento del Maresciallo Capo Francesco Ferro in risposta al mio articolo.
Ancora una volta, con le Sue parole, il Maresciallo ci offre e mi offre una lezione di modestia, umiltà e senso del dovere di cui, credo tutti, dobbiamo esserGli grati.
Al Maresciallo Ferro vorrei chiedere, se ancora legge il mio blog e se Gli fa piacere, di inviarmi il Suo recapito per poterGli scrivere personalmente e idealmente stringerGli la mano.
Grazie.
DomenicoMazzullo
d.mazzullo@tiscali.it
www.studiomazzullo.com

domenica 9 dicembre 2007

Carabinieri


Non leggo, nè ascolto mai le barzellette sui Carabinieri, perchè proprio non mi piacciono e quando, ahimè, sono costretto tuttavia ad ascoltarle, raccontate da qualche cretino di turno, non rido mai, nemmeno fingendo per cortesia, perchè mi sembrano sciocche e offensive nei confronti di Chi continua a rischiare la vita quotidianamente per difendere la Legge e uno Stato che spesso non si mostra molto riconoscente nei Suoi confronti.
Se la pistola di un criminale straniero non si fosse inceppata, dopo aver esploso due colpi, verso due Carabinieri che lo stavano arrestando, assieme ad altri tre complici, criminali stranieri anche loro, che lo incitavano a sparare ancora, oggi avremmo due Carabinieri in meno e quattro delinquenti in più in giro, a compiere altre rapine, come quella compiuta nel bergamasco, che è costata la vita a due di loro, uccisi dal legittimo fuoco di risposta dei due Carabinieri Che, pur feriti, sono riusciti ad arrestare i due criminali sopravvissuti.
Non vedo quasi mai la televisione, ma ieri, per fortuna ho potuto ascoltare la testimonianza del maresciallo Francesco Ferro, uno dei due Carabinieri feriti, in ospedale, che con grandissima modestia, a coloro, tanti, che lo definivano un eroe ha risposto: "Ho avuto tanta di quella paura...ma poi per istinto di sopravvivenza ho sparato" e ancora: "Ho visto due ragazzi feriti dai rapinatori e ho compiuto solo il mio dovere...".
Forse il maresciallo Ferro non ha letto a scuola "I doveri dell'uomo" di Giuseppe Mazzini, ma rappresenta una bellissima, eroica incarnazione, assieme a tanti altri Suoi colleghi, primo tra tutti Salvo D'acquisto, di questo Dovere. Grazie per la lezione che ci ha impartito.
Anni addietro, il 6 gennaio, assistetti ad una fugace, improvvisata intervista al telegiornale di un giovanissimo Carabiniere, all'indomani della morte di un suo collega, che al posto suo, per una casuale combinazione, era stato ucciso dai criminali della Uno bianca.
Alla domanda del giornalista, se essendo Carabiniere, provasse paura, con estrema dignità, tanto più particolare per la sua giovanissima età, rispose:" il problema della paura l'ho risolto, quando ho deciso di essere Carabiniere" e ancora alla domanda, se non si sentisse indifeso, non protetto rispondeva: "Sono io, Carabiniere, che devo difendere gli altri".
All'incauto intervistatore che ancora incalzava con la fatidica, sciocca domanda "cosa prova in questo momento?", rispondeva con lacrime dignitose e silenziose.
Io non so cosa sia ora di quel giovanissimo Carabiniere. Se quel giovane sia ancora un Carabiniere. Spero veramente di sì, perchè l'Italia ha bisogno di uomini come lui.
Domenico Mazzullo

Ancora voglia di sorridere?

Eva Ruscio, una giovane di appena 16 anni ricoverata nell' ospedale di Vibo Valentia per un ascesso tonsillare, muore per cause ancora imprecisate.
Nell'ospedale di Altamura, in provincia di Bari, una donna muore durante il parto.
Una donna di 36 anni di Pompei, incinta all'ottavo mese è morta dopo aver chiesto assistenza in quattro ospedali.
Con lei ha perso la vita anche il bambino.
Su tutte queste morti recentissime, indaga la Magistratura, ma il Ministro della Salute Livia Turco e il Presidente del Consiglio Prodi, hanno ancora tanta voglia di sorridere?

venerdì 7 dicembre 2007

Il disagio giovanile


Il disagio giovanile.
Tra bullismo ed apatia


Il Convegno si svolgerà Domenica 16 Dicembre 2007

presso la Biblioteca Comunale di Montesarchio (Benevento)


Questo convegno sul disagio giovanile rientra nelle iniziative che “Gli Amici dello Schiapparelli” promuovono a livello culturale e sociale, per contribuire, nelle loro possibilità e capacità al miglioramento della società in cui viviamo.
Il disagio giovanile è ormai evidentemente e purtroppo, un problema che ha raggiunto dimensioni gravemente preoccupanti e non solo in Italia, naturalmente, configurandosi come un fenomeno estremamente pericoloso, in quanto colpisce la popolazione giovanile che rappresenta, o dovrebbe rappresentare il futuro della nostra umanità.
Ancora più pericoloso poi, perché assume connotati multiformi e complessi, espressioni molteplici e fortemente differenti l’una dall’altra, che coinvolgono il singolo e la molteplicità della popolazione giovanile e che solo uno sforzo di analisi dei singoli fenomeni e successivamente di sintesi, alla ricerca di un comune denominatore, ci permettono di ricondurre ad una unica matrice etiologica, il disagio giovanile, appunto.
Bullismo e apatia, due estremi apparentemente diversi ed opposti, essendo il primo un fenomeno collettivo e che coinvolge una comunità, l’apatia un fenomeno singolo e che interessa ogni soggetto isolatamente, ma che si congiungono e si accomunano come espressioni diverse ed estreme di un medesimo disagio e sofferenza.
Il bullismo è un problema che plausibilmente è sempre esistito, sotto forme diverse ed in epoche diverse, pensiamo per esempio a Franti del libro “Cuore” e ai “Fratelli Paztor” de “I ragazzi della via Paal”, al nonnismo negli ambienti militari e nelle comunità maschili.
Più recente e sotto alcuni aspetti più preoccupante il fenomeno diffuso, della apatia giovanile.
Apatia nella sua etimologia dal greco, parola composta di “a privativo” e “pathos” passione, letteralmente significa mancanza, assenza di passioni, e già il termine nella crudezza del suo significato incute terrore e sgomento, ancor di più quando si riferisce ai giovani, che delle passioni sono stati sempre i maggiori depositari e fruitori.
Si pensa, infatti, all’età matura e avanzata, come l’età della saggezza perché il trascorrere degli anni e il peso degli avvenimenti visti e subiti, ci permette di vedere la vita dall’alto, non più schiavi e vittima delle passioni, quelle stesse passioni che invece giocano un ruolo da protagonisti nella vita degli adolescenti e dei giovani, facendo di questi i propulsori di ogni cambiamento in tutti gli ambiti della società e della cultura. Se la maturità, semplificando, è infatti prudente e conservatrice, la gioventù è rivoluzionaria e progressista e anche imprudentemente audace. Si pensi, infatti, allo “Sturm und Drang del Romanticismo, ai moti rivoluzionari e patriottici del Risorgimento, agli studenti di Curtatone e Montanara, a Carlo Pisacane, ai fratelli Bandiera, a Goffredo Mameli, ai Mille di Garibaldi, ai Giovani della Prima Guerra Mondiale.
Ma se queste passioni vengono meno, come purtroppo ora avviene nei giovani, sempre più diffusamente e frequentemente, conseguenza e sintomo di un profondo disagio e disaffezione alla vita, allora noi adulti dobbiamo seriamente preoccuparci, privati egoisticamente del motore propulsore della nostra società ed altruisticamente perché questi giovani sono già vecchi nell’animo.

Domenico Mazzullo

www.studiomazzullo.com

giovedì 6 dicembre 2007

Capire e comprendere


Ci siamo lasciati, nella puntata precedente con l’acquisizione che compito del medico è intuire, ipotizzare, capire, comprendere, spiegare, illustrare e curare.
Questi verbi, che solo apparentemente possono sembrare sinonimi ed espressione di una eccessiva ridondanza nello scrivere, in realtà sono momenti diversi e successivi di un processo cognitivo, diagnostico e terapeutico, che credo caratterizzi ogni medico, ma lo psichiatra in modo particolare e precipuo, anche se questi, nel procedere quotidiano ne è inconsapevole, o solo parzialmente consapevole.
Non vorrei essere noioso, ma ritengo opportuno soffermarmi un poco sull’argomento esaminando criticamente i singoli termini.
Al cospetto di un paziente con problematiche di tipo psichico il medico, infatti, lo psichiatra in ispecial modo, per primo intuisce, dalla percezione contemporanea, complessa e immediata di segni, segnali, espressioni del viso e degli occhi soprattutto, movenze, atteggiamenti, abbigliamento, inflessioni della voce e toni di questa, pause ed esitazioni, insomma da un coacervo di “messaggi” inconsapevolmente inviati dalla persona che ha di fronte, l’esistenza di un possibile problema. Sulla base di questa intuizione, prende forma e corpo una ipotesi diagnostica che deve essere approfondita, confermata, o smentita. E’ quanto abbiamo visto avvenire nel colloquio che il medico ha avuto con il nostro paziente, nelle puntate precedenti. Dopo aver lasciato, infatti, che questi parlasse liberamente, liberamente enumerando le lagnanze, i disturbi, che maggiormente lo affliggono e lo preoccupano, con le inevitabili autointerpretazioni ed autodiagnosi, spesso purtroppo frutto di un troppo facile psicologismo ormai imperante dappertutto, fornendo così al medico già degli indizi importanti, non tanto per i contenuti, ma piuttosto per la forma e soprattutto per le priorità con le quali vengono enumerati, il medico porrà a questo punto delle domande prima più generiche e successivamente sempre più specifiche al proprio paziente, tese a confermare, o smentire la sua primitiva ipotesi.
Voglio fin d’ora precisare che queste domande rivolte al paziente, non hanno solamente e si fermano ad uno scopo puramente, diagnostico, ma vanno ad interessare un ambito già più specificatamente terapeutico.
Se l’intuizione del medico è giusta e l’ipotesi è confermata dalla indagine del colloquio e il paziente è realmente affetto da depressione, allora le stesse domande del medico, che spesso prevengono le doglianze del paziente, che fanno riferimento a disturbi specifici minori plausibilmente dimenticati dal paziente nella sua enumerazione di sintomi, perché distolto da altri ritenuti più importanti, che indagano su aspetti privati della sua vita che questi ha tralasciato di toccare, ottenendo, queste domande, presumibilmente, dal paziente una risposta affermativa, se l’ipotesi diagnostica è giusta e corretta, esse domande portano comprensibilmente ad una rassicurazione del paziente stesso, che si sente sempre di più capito e compreso, assicurato e rassicurato, dalla certezza che il suo interlocutore ha piena coscienza delle sue sofferenze, che conosce il suo problema, che è disposto e sa come aiutarlo, che non farà appello come tanti fino ad ora hanno fatto, alla sua buona volontà, che non lo esorterà a farsi forza, a reagire, a non lasciarsi andare, visto che in fondo i suoi problemi non sono poi così gravi e unici, ma sono quelli che affliggono tutta l’umanità, assumendo spesso toni critici e di rimprovero più o meno espliciti, con l’indubbio, brillante risultato di far sentire il paziente sempre più in colpa e aggravare così ulteriormente la sua depressione.
In questo modo il medico esaudisce e compie due fondamentali momenti della sua professione: capire e comprendere, che solo apparentemente sembrano sinonimi, ma in realtà sono entrambi indispensabili, nella loro diversità e peculiarità al suo dovere nei confronti del paziente.
Capire, implica, infatti, un processo intellettuale, logico e deduttivo, analitico che permette al medico di formulare una diagnosi e giungere attraverso questa ad una terapia corretta. Ma il solo capire, non è sufficiente al medico che voglia essere integralmente tale e non voglia, invece, essere solo un tecnico della Medicina. E’ necessario, infatti, un secondo passaggio, di tipo emotivo, umano, affettivo, quello del comprendere il paziente nella sua interezza e non solo come portatore di una malattia, del comprendere il paziente, con la sua malattia, come essere umano sofferente, impaurito, timoroso, in ansia per la sua sorte, debole e fragile, portato a sentirsi in una condizione di inferiorità e di soggezione, verso gli altri, tutti e in special modo verso il medico stesso. Comprendere il paziente nel suo mondo, nella sua famiglia, con i suoi valori, specifici e personali, con le sue debolezze e le sue paure. Questo vale per tutti i pazienti e per i loro medici, ma in ispecial modo per i pazienti psichiatrici e per gli psichiatri che desiderano curarli. Solo in questo modo si supera il divario che separa il paziente come “portatore di malattia” dal paziente come “essere umano ammalato e sofferente”.
A questo punto il compito del medico si accresce e per così dire si complica di prerogative “didattiche” che assolutamente non debbono e non possono essere trascurate, o relegate a poche parole stentate, o ad indicazioni scritte su un foglio di ricettario.
Compito indispensabile del medico, ma dello psichiatra in modo particolare è quello di spiegare ed illustrare con termini comprensibili ed adatti al livello culturale del paziente, la sua situazione e non certo limitarsi a dare un nome alla malattia senza ulteriori spiegazioni.
Questo compito è particolarmente difficile ed arduo per lo psichiatra, perché, è inutile negarlo, la malattia psichica fa sempre paura e si è portati, da parte del paziente e soprattutto dei familiari ad un rifiuto dell’accettazione di questa. Inoltre riesce sempre difficile far comprendere ad un paziente sofferente di problemi psichici che i suoi disagi ed i suoi problemi possono essere espressione di una patologia come tutte le altre. Ma anche è da prendere in considerazione il fatto che problemi psichici, che si esprimono con un disagio ed una sofferenza a questo livello, spesso sono legati a molti fattori, quali la personalità stessa del paziente, il suo mondo di valori, la situazione personale e familiare, l’ambito lavorativo e condizioni socio-economiche. Di tutti questi elementi deve necessariamente tener conto il medico nell’accingersi a curare il suo paziente.
Lo psichiatra, con pazienza, fiducia, ma anche fermezza, deve far comprendere al paziente di cosa soffre, quali sono le cause della sua sofferenza, quali sono gli strumenti per curarle e la possibilità di guarigione.
Giungiamo quindi alla conclusione del nostro iter con l’ultimo compito del medico, quello di curare, conseguente e comprensivo di quanto detto in precedenza e che riguarderà il prossimo capitolo del nostro discorso.

Domenico Mazzullo
http://www.studiomazzullo.com/

lunedì 3 dicembre 2007

Fede e Scienza




"La scienza non salva l'uomo, solo nella fede c'è speranza". In questa apodittica dichiarazione è racchiuso tutto il complesso e dotto pensiero di Papa Benedetto XVI espresso nella sua seconda enciclica "Spe Salvi".


Secondo Papa Ratzinger la speranza viene da Dio, il Dio cristiano, anzi cattolico, per essere più precisi. Naturalmente non è neppure preso in considerazione il fatto che altri uomini possano credere in altre fedi, o che addirittura, horribile dictu, possano essere laicamente agnostici, o atei ed avere tuttavia una propria coscienza personale.


La convinzione del Papa tedesco è che non vi è vero progresso senza etica, non vi è etica autentica senza Dio e il vero Dio ha il volto di Gesù Cristo.


Un discorso ed una convinzione che ad uno psichiatra apparirebbe come paranoica, ma trattandosi del Papa....


P.S. Le foto recuperate da internet rappresentano il Papa tedesco in divisa giovanile, militare e nella attuale divisa.




Domenico Mazzullo


domenica 2 dicembre 2007

Pietà

da: La Repubblica di domenica 2 dicembre 2007
L'ultimo gesto d'affetto è una carezza sul viso all'anziana moglie, 82 anni, malata terminale in un letto di ospedale. Poi le copre il viso con un asciugamano. Tira fuori la pistola. E spara. Un primo colpo in testa. Dopo poche decine di secondi altri due spari, in faccia e al cuore, per porre fine ad un'agonia lunga.
Orrore, ieri pomeriggio intorno alle cinque, all'ospedale «Misericordia è Dolce» di Prato, in una camera del reparto di medicina generale dove sono ricoverate altre cinque donne. Che gridano. «Scusate, ma non ce la facevo più a vederla soffrire, l'ho fatto perché l'amayo» si. giustifica con !'infermiera che accorre dopo il primo sparo e non può impedire che l'anziano finisca la moglie con altre due rivoltellate.
Mara Tani era originaria di Gorizia. Suo marito, Vitangelo Bini, di cinque anni più giovane, aveva lavorato come vigile urbano a Firenze. Vivevano assieme a Prato. Li ricordano come una coppia squisita. Hanno due figli, un maschio sottufficiale in polizia e una femmina vigile urbano. Mara si era ammalata nel 1999 di Alzheimer. La malattia l'aveva consumata giorno dopo giorno, anno dopo anno, uno stillicidio atroce. Ormai era alla fine. Quattro giorni fa era entrata in ospedale, ricoverata al terzo piano nel reparto di medicina generale diretto da Mario Lomi. Lì ieri pomeriggio l'ha raggiunta il marito. Deciso a chiudere una storia d'amore afflitta da otto anni di sofferenza.
Lo hanno fatto entrare fuori dall'orario delle visite, come si fa con i familiari di malati terminali. Nella stanza solo altre cinque degenti, due molto gravi. Lui rimane qualche minuto seduto al capezzale della moglie. Poi l'accarezza, le copre il volto, tira fuori e usa la pistola a tamburo che detiene regolarmente. Un solo colpo alla testa. Poi posa la pistola sul comodino. E chiama la polizia col telefono portatile. Ma l'anziana moglie non è ancora morta, rantola. E quando sulla porta della camera compare un'infermiera, richiamata dal colpo di pistola e dalle urla delle altre pazienti, lui riprende la pistola e spara ancora alla moglie. Un altro colpo alla testa, una terza rivoltellata al cuore.
Un minuto dopo il primo sparo nella camera entrano anche la caposala e poi due agenti di una volante, che si trovano in ospedale per il disbrigo di alcune pratiche. A loro l'anziano ripete la sua disperazione. Lo fa anche più tardi con gli uomini della squadra mobile e della polizia scientifica che lo arrestano e sequestrano l'arma.
«Soffriva troppo, non potevo vederla in quello stato».

Commento. E così un’altra vita è stata spenta in modo tragico ed atroce. A colpi di rivoltella: due alla testa e uno al cuore. In una stanza di ospedale, di fronte ad altre quattro degenti. Il cronista non ci dice se la donna uccisa avesse o meno espresso - nel corso degli otto anni trascorsi in famiglia - la volontà di non voler continuare a vivere in quelle condizioni. La differenza non è di poco conto: nel primo caso sarebbe di fatto - non però di diritto - un suicidio assistito, anche se attuato in modo violento e sanguinario, nel secondo un omicidio vero e proprio, anche se motivato dalla compassione o dall’amore.
Sappiamo però una cosa: anche se Mara Tani non voleva più vivere, anche se avesse messo per iscritto la sua volontà, anche se di fronte ad un notaio, anche se avesse voluto bere una pozione per terminare la sua vita in modo sereno ed umano, ebbene ciò non le sarebbe stato concesso perché in Italia è un reato. Anche in un ospedale ove la "Misericordia è Dolce". Anche grazie a coloro che mentre pontificano “spe salvi”, salvi per la speranza, negano la speranza di morire con dignità. (gps).

Pubblico con molta emozione e commozione la e-mail giuntami questa mattina dalla associazione Libera Uscita della quale mi onoro di far parte e non aggiungo commenti che sarebbero superflui, limitandomi a fornire i recapiti della Associazione:

LiberaUscita Associazione nazionale laica e apartitica per la legalizzazione del testamento biologico e la depenalizzazione dell'eutanasia Via Genova, 24 - 00184 Roma apertura sede: lun-merc-ven. ore 8:30 - 10:30tel e fax: 0647823807sito web: www.liberauscita.it email: info@liberauscita.it

martedì 27 novembre 2007

Pecore nere


In carcere per pedofilia il vice rettore del seminario di Brescia, con l'accusa pesantissima di violenza sessuale su minore e detenzione di materiale pedopornografico, rinvenuto a casa del religioso.
Fedele all'insegnamento illuministico di Cesare Beccaria secondo cui non possa essere considerato colpevole nessuno fino all'ultimo grado di giudizio, mi sembra che il reperimento di materiale pedopornografico nella propria abitazione sia un indizio piuttosto grave e compromettente.
Certo le "pecore nere" ci sono in tutte le famiglie....una pecora nera passi, due anche, tre ancora, ma quando le pecore diventano tante...allora debbono sorgere legittimamente dei dubbi su tutta la famiglia, soprattutto quando i membri di questa si arrogano il diritto ed il compito di indicare e insegnare a noi poveri mortali i principi della morale, quando censurano i nostri atti, quando interferiscono pesantemente nelle decisioni e nelle determinazioni di uno Stato che dovrebbe essere laico per definizione, quando accolgono la confessione dei nostri peccati, quando comminano pene per questi e ci assolvono, se essi non sono troppo gravi, quando negano ad un uomo sofferente i desiderati funerali religiosi, perchè colpevole solo di aver richiesto ed implorato la morte per por fine alle proprie disumane sofferenze, in virtù di un principio ed in dispregio del tanto predicato perdono cristiano.
Se avessi un figlio non lo affiderei volentieri e a cuor leggero ad un istituto e ad una scuola religiosa, timoroso per la sua salute fisica e psichica.
Domenico Mazzullo

venerdì 23 novembre 2007

Melancholia



Nella puntata precedente ci siamo lasciati con un interrogativo: ”Come avrà risposto a tutte queste domande, prima generiche e poi sempre più precise, da parte del medico, il nostro paziente?”, interrogativo al quale è giunto il tempo di dare una risposta.
Con buona probabilità visto che il sintomo della insonnia lacunare e terminale è patognomonico della depressione, il sospetto del medico è fondato e il suo paziente avrà risposto affermativamente a tutte, o circa tutte, le domande rivoltegli dal medico, tese a confermare, o smentire il suo sospetto diagnostico.
Tengo a precisare che gli interrogativi del medico riguardano e toccano argomenti ed aspetti della vita del paziente, ai quali egli stesso forse non ha fatto neppure caso e forse non avrebbe neppure denunciato, richiamato e preoccupato dal sintomo più eclatante e disturbante per il suo equilibrio personale, ossia l’insonnia.
Se torniamo, infatti, per un attimo alla puntata precedente e scorriamo rapidamente i quesiti proposti dal medico, vediamo subito come loro siano rivolti ad investigare aspetti personali della vita del paziente che, se non attivamente e intenzionalmente esaminati, rimarrebbero inosservati, perché ritenuti da questo stesso non particolarmente importanti ed attribuendo egli eventuali modificazioni, variazioni, o disturbi, a fattori normali quali la stanchezza, la monotonia della vita, l’età che avanza, problematiche familiari, la consuetudine di un rapporto coniugale divenuto abituale e stantio, difficoltà sul lavoro e tante altre “cause” apparentemente normali, che il nostro desiderio di razionalizzazione ci porta a considerare responsabili e causali alla genesi del nostro malessere esistenziale, escludendo, o non ipotizzando neppure, la possibilità che essi siano invece da attribuirsi ad una vera e propria patologia, quale appunto la depressione.
E’ molto frequente, infatti, il caso di persone, non ancora pazienti, che vivono con fatica e disagio la propria vita per anni, che trascinano una esistenza dolorosa, piena solo di doveri, ma priva di qualunque piacere, che vivono costantemente e dolorosamente in salita, provando la angosciante sensazione che ogni giorno sia eguale, spiacevolmente eguale all’altro, senza alcuna speranza di novità, se non negativa, con l’unico desiderio che questa pedissequa successione di giorni abbia presto fine, che non immaginano il proprio futuro, che non riescono a proiettarsi nel domani, che non provano più emozioni, che sono perennemente stanchi, sia fisicamente sia psichicamente, che anelano solo a dormire e che tuttavia, dolorosamente, coraggiosamente continuano a vivere, o meglio a trascinare la propria esistenza, senza cedere, arrancando giorno per giorno, lavorando, provvedendo alla propria famiglia, ai suoi bisogni, compiendo silenziosamente il proprio dovere, senza alcuna soddisfazione da esso derivante e che credono che la norma sia questa, ignorando e non sospettando neppure, che invece sono affetti da una malattia seria, subdola, insidiosa, misconosciuta e spesso ignorata, cattiva nella sua invadenza sottile e destabilizzante, la depressione, appunto.
E’ frequente il caso di studenti prima brillanti, o discreti, che ad un certo punto vedono inspiegabilmente calare il proprio rendimento, che si rinchiudono in se stessi, che rinunciano alla compagnia degli amici, che hanno frequenti sbalzi di umore, passando incomprensibilmente da una smodata allegria ad una tristezza profonda, che rinunciano ai divertimenti prima abituali, che assumono atteggiamenti protestatari e di contestazione, a volte violenti, che si alimentano smodatamente aumentando rapidamente di peso, che assumono smodatamente e occasionalmente alcool, soprattutto in compagnia degli altri, che consumano abitualmente droghe cosiddette “leggere”, ma che interrogati riferiscono che tutto va bene e che si sentono normali.
Dietro questi stili di vita adulti sofferti e dolorosamente portati avanti, dietro questi segni tangibili di disagio giovanile, c’è spesso, non sempre naturalmente, una patologia depressiva che, se non riconosciuta e diagnosticata, può rimanere a lungo ignorata e non curata, insinuandosi lentamente nella vita della persona e modificandola dall’interno, fino a che questa non raggiunga, spesso dopo lunghi anni, una gravità tale da essere a quel punto evidente nel suo aspetto patologico.
Da non dimenticare e sottovalutare altresì i risvolti negativi che tali situazioni di vita esistenziali riversano sui familiari i quali vivono assieme e vicino a chi si trova a percorrere, spesso per anni, questo doloroso cammino di vita. Il più delle volte il coniuge di chi è ammalato assiste impotente e inconsapevole alla involuzione dell’altro, al suo cambiamento, al mutare dei suoi rapporti affettivi, con lui, in ispecial modo, e con gli altri, alla apparente anaffettività e disinteresse di un compagno di vita, che per anni è stato un affettuoso interlocutore, alla attribuzione a lui stesso, di responsabilità e di colpe inesistenti, o inconsistenti. A volte famiglie si sfasciano, rapporti di amicizia si interrompono, opportunità di lavoro si perdono e si vanificano, improvvisamente, incomprensibilmente, se non si ipotizza, se non si capisce, che la responsabilità di tutto questo può essere da ascrivere ad una patologica depressione, subdolamente e silenziosamente instauratasi.
Compito del medico è intuire, ipotizzare, capire, comprendere, spiegare, illustrare e curare.

Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it www.studiomazzullo.com

mercoledì 21 novembre 2007

Vergogna




I Savoia battono cassa. "Lo Stato ci risarcisca per i beni confiscati".
Carlo Alberto abdicando pronunciò, al cospetto del Maresciallo Radetzky, la frase storica riportata su tutti i libri di scuola:"Casa Savoia conosce la via dell'esilio, ma non quella del disonore".
Mai smentita è stata più vera, più cruda e più crudele.
Cara Savoia ha conosciuto entrambe le vie, ma mentre la prima è stato un fatto assolutamente personale, la seconda è stata gravida di tragiche conseguenze per gli italiani tutti.
Basti pensare ai drammatici eventi che colpirono l'Italia e gli italiani all' indomani dell'8 settembre, con la vergognosa, vile, squallida fuga di S.M. il Rè d'Italia Vittorio Emanuele III e dei suoi degni compari, con in testa la meschina figura del Maresciallo Badoglio, fuga che lasciò gli italiani privi di un comandante e di ordini, alla mercè di nemici, fino al giorno prima amici ed ufficialmente ancora amici, secondo il proclama dello stesso Badoglio,emesso mentre questi comandanti eroicamente preparavano la fuga vergognosa, rendendosi responsabili di tutto ciò che ne è conseguito, compresa la guerra civile tra italiani.
I Savoia, giustamente costretti all'esilio, così ripagano gli Italiani che generosamente e non si capisce in virtù di quali meriti, li hanno riammessi in Italia e visto che "buon sangue non mente", Vittorio Emanuele, nipote dell'omonimo Rè, si è reso prima responsabile dell'omicidio di un giovane tedesco,e poi da poco rientrato in Italia ha conosciuto le patrie prigioni, seppure per pochi giorni, indagato per un giro di sfruttamento della prostituzione e innocente, o colpevole che sia, si è espresso con una terminologia ben poco regale nei confronti dei compatrioti, ma questi sono particolari marginali.
Mi chiedo cosa accadrebbe, se gli italiani ed in primis i familiari dei martiri di Cefalonia, chiedessero ai Savoia, il risarcimento per i caduti a causa delle loro responsabilità.
Domenico Mazzullo

martedì 20 novembre 2007

Quale coerenza?

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Dalla stampa di ieri, martedì 20 novembre 2007:

Confessa in TV: "Sono gay". E il prete lo caccia dal coro.

USA, missionari pedofili anche tra gli eschimesi.
I gesuiti pagano i danni.
Mi astengo, per misericordia, da ogni commento.

Domenico Mazzullo

lunedì 19 novembre 2007

Valori


E' voce comune ed anche mia opinione, che il tempo attuale e la nostra società sia vittima, consapevole e responsabile, di una disperante assenza di valori, dei valori che avevano costituito il pilastro ed il caposaldo del vivere civile. E' un fenomeno, quello attuale, che ha già avuto precedenti storici illustri nella vita dell'umanità e che ha puntualmente rappresentato il preludio di una guerra.
In questo desolante panorama si salvano però piccole isole felici nelle quali i valori tradizionali sopravvivono nonostante gli attentati che mirano a distruggerli e a farci credere che ormai non ci sia più speranza.
E invece una speranza ancora c'è fino a che, in qualche parte, questi valori ancora sopravvivono, seppur nascosti, ma mai dimenticati.
E' quanto ho avuto modo di poter conoscere, sperimentare e ammirare io, nell'ultimo fine settimana, quando sono stato invitato dagli Alpini di Ramon di Loria a partecipare al loro raduno.
E' stata per me una esperienza unica, emozionante, commovente ed entusiasmante, come raramente capitano nella vita di qualcuno ed io ho avuto la sorte e la fortuna di conoscerla.
Senza timore di apparire retorico posso dire e affermare che fino a che esistono persone, uomini di questa specie, che nella loro modestia e semplicità sono capaci di incarnare e difendere valori così profondi, così sentiti, così universali, quali la solidarietà, l'amicizia, il rispetto, la fedeltà ai propri ideali e alla parola data, il senso del dovere, lo spirito di sacrificio, in silenzio e con umiltà,fino a che esistono uomini così, l'Umanità è salva.
Con gli Alpini ho avuto anche l'occasione e l'onore di visitare le trincee del Monte Grappa, i "Luoghi della memoria", i luoghi eroici ove si combattè la I Guerra Mondiale, i luoghi ove tanti giovani persero la vita per difendere la Patria.
Ai giovani di oggi che ingaggiano odierne battaglie urbane, sotto le bandiere della propria squadra di calcio, consiglierei una visita in questi luoghi, per capire di più e meglio sulla vita.
Domenico Mazzullo

martedì 6 novembre 2007

Forse perchè della fatal quiete...


Immaginiamo che il nostro medico, dopo un preciso ed approfondito esame di coscienza, abbia stabilito di sentirsi in grado di procedere autonomamente e quindi senza ricorrere all’ausilio di uno specialista, nella diagnosi e cura del suo paziente che, come rammentiamo, a lui si è rivolto denunciando una spiacevole, quanto insostenibile insonnia, che ora possiamo, a tutto diritto chiamare insonnia lacunare e terminale. Esperite le indagini di rito e necessarie ed avendo escluso l’esistenza di patologie organiche, che di questa potrebbero essere responsabili, il medico si è orientato a sospettare una sindrome depressiva, ma il suo sospetto deve trasformarsi in una certezza diagnostica, per procedere poi verso una terapia.
Il paziente stesso si è rivolto, come abbiamo visto, al medico, con un certo personale imbarazzo in quanto, pur soffrendo ed accusando questa insonnia, ormai da qualche tempo, non lamenta altri sintomi particolari e purtuttavia non si sente bene come prima, accusando un senso di malessere generale che però lui stesso non è in grado di definire più precisamente ed attribuisce, per quel desiderio implicito in ognuno di noi, di razionalizzare ciò che ci accade, alla carenza di sonno, il suo diffuso malessere.
A questo punto il medico, teso come deve essere a formulare una diagnosi e non piuttosto a confermare i propri sospetti, o le proprie intuizioni, deve procedere con molta cautela, per non influenzare, con domande troppo specifiche ed evidenti, le risposte del paziente. Non dovrà mai per esempio chiedere, sic et simpliciter, se questi si sente depresso, se ha notato in sé una caduta del tono dell’umore, se si scopre a piangere spesso e per situazioni che prima non hanno mai comportato tale reazione, ma dovrà invece lasciare libero il paziente di parlare, di sfogarsi, dicendo tutto ciò che a lui sembra importante, ma che potrebbe invece non esserlo per il medico.
Solamente quando questi avrà esaurito i suoi argomenti e le sue lamentele, allora il medico potrà porre delle domande che dovranno necessariamente all’inizio essere generiche e non direttive, rivolgendosi alle abitudini ed alla vita del suo paziente, per valutare se ora esse sono cambiate e si sono discostate dalle originali e se sì, da quanto tempo.
Si preoccuperà quindi dell’appetito e delle altre funzioni fisiologiche, della sua vita familiare, del rapporto con gli altri membri della famiglia, della frequenza dei rapporti con il proprio partner e del piacere da questi tratto, del desiderio sessuale, del lavoro e del rendimento in questo e della soddisfazione tratta, dei rapporti con i colleghi, delle amicizie e della frequentazione con queste, del piacere tratto e delle modalità con cui trascorre il tempo libero e se qualcosa è cambiato in queste, se ha degli hobby e passioni e se li pratica con lo stesso interesse di prima, se trae godimento o piacere dalla presenza degli altri, o se questa lo infastidisce, o disturba, differentemente da prima, se è divenuto irritabile e insofferente, se è portato a preoccuparsi maggiormente, per cose che prima non lo preoccupavano, o non così intensamente, se si sente apatico, svogliato, se anche piccole incombenze, o piccoli doveri, gli appaiono oggi giganteschi e simili a montagne da scalare, se si annoia facilmente e gli sembra che il tempo non passi mai, o scorra più lentamente di prima, se anche piccole scelte, o decisioni lo gettano nella angoscia e nell’incertezza, lasciandolo nel baratro paralizzante della indecisione, se improvvisamente, da che era piuttosto trascurato, si occupa e si preoccupa intensamente della propria salute, se ha un po’ meno cura di se stesso, se si cambia meno di sovente di abito e pone meno attenzione ai particolari, se rifugge dalle occasioni di vedere altre persone, a meno che non sia assolutamente indispensabile e comunque lo fa sempre con un certo sforzo e riluttanza, se quando è costretto, a malincuore a essere con gli altri, si isola e si disperde nei propri pensieri, se al mattino gli pesa il pensiero di avere tutta la giornata davanti a sé con tutte le sue incombenze e se aneli e desideri la venuta della sera, quando finalmente la giornata con le sue necessità è terminata, se abbia sempre l’impressione che gli altri si aspettino qualcosa da lui e si senta come un assediato che debba perennemente difendersi dagli attacchi e dalle richieste degli altri, se abbia sempre la sensazione di dover fuggire, se pur soffrendo la solitudine aspiri a stare solo, ad isolarsi, a cambiare strada, quando in lontananza vede qualcuno che conosce, per non dover essere costretto ad intrattenersi con lui, se a volte prova la sensazione strana e difficilmente comprensibile e descrivibile che tutta la realtà che lo circonda e prima a lui familiare, gli sia divenuta inspiegabilmente estranea e non più familiare come prima, se prova un malessere diffuso e non definibile, se prova un malumore e una malinconia non comprensibile e non derivabile dalle sue vicende di vita, se prova una stanchezza ed una astenia fisica, non giustificabile dal suo impegno nella giornata, se gli è divenuto difficile concentrarsi e prestare attenzione a lungo, se si distrae facilmente, se non ha più voglia di leggere, di andare al cinema, di guardare la televisione, se rinuncia volentieri a radersi quotidianamente, cosa che invece prima gli era particolarmente gradita, se dimentica facilmente ed è diventato particolarmente distratto, se non ride mai e quando lo fa, ciò avviene per pura convenienza, se rifiuta gli inviti di amici, inventando scuse più o meno credibili, se non riesce più a proiettarsi e ad immaginare il futuro, se non in negativo e se ha l’impressione di vivere in un continuo, gravoso presente, se rimugina spesso sul passato e sui propri errori, sulle occasioni mancate e quindi sfumate, se si sente perennemente in colpa per qualcosa e verso qualcuno, se è afflitto da una perenne inquietudine e ansia continua, se aborrisce i rumori la luce eccessiva e predilige, in casa una confortevole e malinconica penombra.
Come avrà risposto a tutte queste domande, prima generiche e poi sempre più precise da parte del medico, il nostro paziente?
Lo sapremo alla prossima puntata.

Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it www.studiomazzullo.com

lunedì 5 novembre 2007

Perchè tutto è sempre depressione?


Ieri su tutti i giornali e questa mattina in una conversazione quotidiana che un odierno "opinionista", per usare un termine che aborrisco,tiene di primissimo mattino alla radio, si parlava ampiamente del "dramma della follia" vissutosi a Guidonia e che ha visto come protagonista un ex capitano dell'Esercito, Angelo Spagnoli, che salito sul tetto della propria casa, avendo indossato una tuta mimetica e armato di pistola e fucile di precisione, ha iniziato a sparare sui malcapitati passanti, uccidendo due persone e ferendone sette.
Per tutti, giornali al completo ed opinionista, la ragione, la causa, la ratio della tragedia era da cercarsi nella "depressione" che da tempo affliggeva l'ex capitano.
Ancora una volta questo è un ennesimo esempio della superficialità e della ignoranza con la quale si diffondono notizie e si esprimono pareri, con una faciloneria mista a prosopopea che non fa certo onore a chi si considera un professionista della informazione.
Vero è che quando si discetta di psiche, di psicologia, di inconscio, di subconscio ( è più chic) di ragioni che stanno dietro i nostri comportamenti, tutti si sentono in grado ed in diritto di esprimere il loro illuminato parere di sedicenti psicologi alla stregua di chi risponde alla "posta del cuore" dei giornali.
Questo indigna ed è tanto più pericoloso quando dai consigli e dalle interpretazioni psicologiche o pseudopsicologiche di buon senso si passa a discettare con pericolosa e censurabile faciloneria di malattie e questo è il caso in questione.
Con troppa, deprecabile superficialità si attribuiscono alla depressione comportamenti che con la depressione non hanno nulla a che vedere, commettendo un errore di informazione, ma soprattutto e ciò è molto più grave, offendendo chi veramente soffre di depressione e gettando nel panico e suscitando sconcerto nei suoi familiari.
Chi soffre di depressione, a volte e non sempre per fortuna, mette in atto dei comportamenti violenti, ma autolesivi e mai lesivi degli altri, con l'unica eccezione delle madri affette da depressione post-partum che si suicidano assieme ai propri figli. Qualcosa di ben diverso dalla tragedia di Guidonia in cui un uomo è salito sul tetto della propria casa in tuta mimetica e ha cominciato a sparare sui passanti. Mai nessun paziente depresso avrebbe fatto ciò. Casomai si sarebbe gettato dal tetto.
Da quanto leggo dai giornali, con tutta la difficoltà di esprimere un parere senza conoscenza diretta dei fatti e delle persone, sarei più portato a pensare si trattasse non certo di depressione, ma piuttosto di schizofrenia paranoide, se è vero che l'ex capitano obbligava i suoi familiari a pranzare in assoluto silenzio per paura di essere ascoltati dal nemico che avrebbe infestato di microspie la casa.
Ci sarebbe stata la possibilità di evitare o prevenire la tragedia?
Certamente, se si fosse dato il dovuto peso a delle "stranezze", chiamiamole così, del paziente, quale quella citata in precedenza, o altre quali riempire la casa di sacchetti di sabbia trasformandola in una trincea, o montare sul terrazzo delle lastre di acciaio, munite di feritoie dalle quali sparare su ipotetici nemici, o munirsi di un vero e proprio arsenale bellico, compresi due lanciafiamme di produzione artigianale.
In trenta anni di professione come psichiatra, non ho mai visto un paziente depresso agire così.
Mentre la persona in questione si comportava così, minava la propria casa e tutte le sere compiva un giro di perlustrazione attorno al fabbricato per valutarne la difendibilità, trasformando la casa in un fortino, i suoi familiari cosa facevano? Non vedevano, non capivano? Si piegavano acquiescenti alla sua volontà di pranzare e cenare assieme in assoluto silenzio, per non essere ascoltati dal nemico? Perchè non hanno denunciato questi comportamenti a dir poco strani.
E a proposito di denuncie, visto che le armi che hanno ucciso erano regolarmente denunciate e quindi detenute, è mai possibile che il medico che ha stilato il certificato necessario ad ottenere il porto d'armi non si sia accorto di nulla?
Ma noi continuiamo tranquillamente a parlare di depressione e ad ipotizzare sulle ragioni "psicologiche" che hanno portato al folle gesto.

venerdì 2 novembre 2007

Giovanna Reggiani

Ierisera è morta, senza aver mai ripreso conoscenza Giovanna Reggiani, la donna aggredita a Roma e uccisa da un rumeno.
Credo che la notizia non abbia bisogno di ulteriori commenti.
Tutte le morti sono dolorose e creano sconcerto in chi rimane, ma questa, se possibile, ancora di più.
Voglio solo, da questa pagina, esprimere ai familiari della Signora Giovanna tutta la mia solidarietà e la mia vicinanza.

giovedì 1 novembre 2007

Ancora voglia di sorridere?


Giovedì 1 Novembre 2007 dalla stampa: "In mezza Calabria non c'era un posto in ospedale, una sala operatoria in grado di ricoverare ed operare un ragazzo di 12 anni entrato in coma dopo una banale caduta da una giostra. Non c'era posto nè a Reggio Calabria, nè a Cosenza, nè a Catanzaro e non c'era neanche un'ambulanza disponibile per poterlo trasferire da Polistena in un altro ospedale. Ci sono volute quattro ore prima che si trovasse l'ambulanza ed un posto nell'ospedale di Reggio Calabria dove Flavio Scutella, 12 anni, è stato poi sottoposto ad un inutile intervento chirurgico forse perchè compiuto con tantissimo ritardo. Il ragazzo è morto".
Il Presidente Prodi e il ministro Livia Turco hanno ancora voglia di sorridere?
Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it www.studiomazzullo.com

Ricongiungimento familiare


Da Domenica 28 Ottobre la nostra famiglia formata da Tiziana,la giovane cagnetta Eleonora e me si è accresciuta di un nuovo membro, il fratellino di Eleonora, Camillo.
La signora che lo aveva adottato, non poteva più tenerlo e così noi abbiamo compiuto, con tanta gioia, questo "ricongiungimento familiare tra fratello e sorella.
Benvenuto a Camillo nella sua nuova famiglia

Segreto professionale


Ha suscitato grande impressione, almeno in me medico e psichiatra la notizia che un mio collega psichiatra, abbia deciso di violare il proprio segreto professionale denunciando un suo paziente che nel corso della visita gli aveva rivelato di aver violentato delle bambine, mi sembra sue nipoti.Si tratta di una circostanza specifica, che suscita gravi problemi etici, drammatici per noi medici.
Premetto che come psichiatra sono assolutamente solidale con il collega, che con grande coraggio si è assunto la responsabilità di denunciare il suo paziente pedofilo e al suo posto io avrei fatto esattamente lo stesso, ma altrettanto ritengo che questa sia una delle situazioni più critiche, nelle quali noi medici possiamo trovarci.
Il rispetto del segreto professionale è per noi medici cosa sacra e, molto prima di essere sancito dalla Legge, è obbligato dal Giuramento di Ippocrate, che noi pronunciamo al momento di iniziare la professione. "Tutto ciò che vedrò e ascolterò nell'esercizio della mia professione, o anche al di fuori della professione, nei miei contatti con gli uomini, e che non deve essere riferitoad altri, lo tacerò considerando la cosa segreta"
Il rispetto assoluto del segreto professionale è uno dei pilastri fondamentali della nostra professione ed è garanzia per il paziente di potersi confidare liberamente con noi, sicuro che quanto detto rimarrà un segreto tra lui ed il medico. La Legge però ci dice che il medico può venir meno al rispetto del segreto per una "giusta causa", lasciando però alla coscienza morale del medico, in ultimo, la valutazione di quale sia una "giusta causa".
In questo caso specifico, ritengo che la "giusta causa" sia rappresentata dal dovere di tutelare la salute di terze persone, bambini, nel caso specifico, ma credo che "giusta causa" sarebbe anche il caso di un paziente affetto da AIDS che si rifiutasse, nonostante l'imperativo pressante da parte del medico, di rivelare al proprio partner la propria condizione di malattia e continuando ad avere rapporti sessuali con lui.
Anche in questo caso, o simili, la "giusta causa" sarebbe, a mio parere da ravvisarsi nel dovere di difendere la salute del partner.
Si tratta però di casi sempre drammatici e che mettono a dura prova la coscienza morale del medico.
Grazie.
Domenico Mazzullo

martedì 30 ottobre 2007

Il Papa e i farmacisti


"L'obiezione di coscienza è un diritto che deve essere riconosciuto alla vostra professione, permettendovi di non collaborare direttamente o indirettamente alla fornitura di prodotti che hanno per scopo scelte chiaramente immorali come per esempio l'aborto e l'eutanasia". Lo ha detto ieri mattina papa Benedetto XVI ricevendo in Vaticano i farmacisti cattolici convenuti a Roma in occasione del loro Congresso mondiale dal titolo 'Le nuove frontiere dell'atto farmaceutico'.
Queste le testuali parole pronunciate dal Capo della Chiesa cattolica ai farmacisti cattolici, esortandoli, proprio in virtù del fatto di essere cattolici, esplicitamente alla disobbedienza, dimenticando(?) che cattolici, o no, i farmacisti sono comunque professionisti soggetti alla Legge dello Stato italiano, uno stato sovrano, pur se ospita nel suo territorio uno Stato straniero, quale è il Vaticano, libero per bocca del suo Capo di esprimere il proprio parere su questioni di ordine morale e religioso, ma non libero di interferire e contrastare le Leggi di uno stato sovrano, qual è quello italiano.
Vorrei ricordare a Benedetto XVI le parole limpide e molto chiare di Camillo Benso conte di Cavour: "Libera Chiesa in libero stato".

venerdì 26 ottobre 2007

Medico e paziente





Facendo seguito a quanto detto nella puntata precedente riguardo alla opportunità, da parte del medico non specialista in psichiatria, che sospetti nel suo paziente una patologia di ambito psichico, di valutare attentamente con se stesso, l’opportunità di seguire in prima persona il suo paziente, o di affidarlo ad uno specialista di sua fiducia, mi permetto, approfittando della opportunità offertami da questa occasione, di fare un discorso, per me specialista, molto serio ed importante, al presente, ma soprattutto per gli sviluppi a venire che questa decisione comporterà, sul futuro del paziente, soprattutto quando questi è un paziente plausibilmente depresso.
Mentre infatti è fuori di dubbio che una patologia “maggiore” come per esempio una psicosi, sia essa schizofrenica, o maniaco depressiva, o una depressione endogena monopolare, o una temibile depressione post partum è di stretta e unica competenza specialistica, per quanto riguarda le forme depressive “minori” cosiddette reattive, secondo una terminologia in disuso, ma per me sempre valida ed esaustiva, le forme depressive che si manifestano prevalentemente con sintomatologia psicosomatica, le depressioni cosiddette “mascherate”, dette così non certo perché si sviluppano prevalentemente nel periodo di carnevale, ma piuttosto perchè in esse manca, o non è così evidente il sintomo cardinale della depressione, l’umore depresso, o deflessione negativa del tono dell’umore, ma esso è piuttosto sostituito, o sopravanzato da sintomi che in genere fanno corteo al sintomo principale, ma in questo caso sono isolati, o prevalenti, o richiamano maggiormente l’attenzione del paziente e quindi anche del medico, “equivalenti depressivi” secondo una felice denominazione, in questi casi, dicevo, ci troviamo in quella sottile linea di confine, non troppo definita e definibile che separa le competenze del medico di famiglia da quelle del medico specialista.
Se infatti queste forme depressive cosiddette minori sono relativamente facili da diagnosticare, con l’unica eccezione delle depressioni “mascherate”, non altrettanto si può dire per la terapia che richiede competenze specifiche e conoscenze altrettanto specifiche della psicofarmacologia, ma non solo di questa, essendo a volte opportuna piuttosto una psicoterapia, o altre volte una associazione delle due terapie.
Spetta quindi alla capacità professionale del medico, ma anche soprattutto alla sua sensibilità morale il compito non facile, di fronte ad un paziente per il quale abbia formulato una diagnosi di depressione “minore”, chiamiamola così per brevità e facilità, di decidere se sia opportuno prendere in cura personalmente il paziente, consapevole delle responsabilità materiali, ma soprattutto morali che questa scelta comporta, oppure affidare da subito il suo paziente ad uno specialista di sua fiducia.
Nel caso in cui decida di seguire personalmente il paziente, quali sono i rischi ed i problemi cui il medico deve prestare attenzione?
Il primo e più importante è quello, ovviamente diagnostico, per una patologia che a prima vista può sembrare facile da riconoscere, ma che può essere invece infida, ingannevole ed irta di trabocchetti.
Conseguente a questo ed a questo consequenziale è il problema terapeutico, come prima accennavo, che già nella scelta della sola psicofarmacologia, comporta una competenza ed una conoscenza specifica, nonché dimestichezza con gli psicofarmaci, farmaci non pericolosi, ma delicati da maneggiare e purtroppo gravati dal peso di pregiudizi, frutto di disinformazione e cattiva informazione e per questo poco graditi dai pazienti portati ad ipervalutare gli eventuali effetti collaterali, per giustificare un rifiuto della assunzione di questi, dopo una brevissima e conflittuale assunzione.

Un terzo rischio, molto frequente purtroppo e gravido di pesanti conseguenze è specificatamente medico e consiste nella prescrizione di questi, per un criterio di malinterpretata prudenza, o di mancata dimestichezza con questi, con posologia inadeguata, o inferiore a quella terapeutica, ottenendosi così, nella migliore delle ipotesi, il risultato insufficiente di un miglioramento clinico, ma mai di una completa guarigione. Analogo al precedente e per gli stessi motivi il rischio di una terapia corretta nella scelta del farmaco e della posologia, ma interrotta troppo precocemente, con il risultato spiacevole di una guarigione solo apparente, ma non consolidata e la ripresa della sintomatologia depressiva, alla prima difficoltà esistenziale.
Si viene in tal modo ad avvalorare equivocatamente la leggenda falsa della depressione, come malattia inguaribile e dalla quale, una volta entrati, non si esce più.
Per ultima una considerazione di ordine psicologico, a mio parere molto importante: Quando il medico si assume il compito di seguire un paziente depresso deve essere consapevole che si tratta di un impegno gravoso e che dovrà essere condotto personalmente fino alla fine.
Non vi è nulla di peggio per un paziente affetto da depressione, dopo un primo tentativo terapeutico instaurato dal proprio medico ed alla luce dell’insuccesso di questo, vedersi affidato ad un altro medico, uno specialista, per una terapia più appropriata. Può risultare devastante.

Domenico Mazzullo
d.mazzullo@tiscali.it www.studiomazzullo.com

giovedì 18 ottobre 2007

“Lucia s'addormentò d'un sonno perfetto e continuo".


“Lucia s'addormentò d'un sonno perfetto e continuo.
Ma c'era qualchedun altro in quello stesso castello, che avrebbe voluto fare altrettanto, e non poté mai”

Con queste parole Alessandro Manzoni introduce la notte insonne dell’Innominato, la sua notte tragica in cui, come nell’animo di qualunque paziente depresso e insonne, passa di tutto, financo l’idea del suicidio come liberazione da questa sofferenza indescrivibile ed inimmaginabile per chi non l’abbia provata.
Ci siamo lasciati con il medico che, avendo ascoltato le lamentele riguardanti il sonno espresse dal nostro paziente immaginario ed avendo concluso non esserci alcuna patologia organica, come plausibile responsabile dell’insonnia, messo sull’avviso dalle caratteristiche stesse del disturbo del sonno, quali sono state descritte dal paziente e quindi definibile come una insonnia lacunare e terminale, ma anche insospettito dalla sintomatologia vaga ed aspecifica, multiforme e variegata da questi denunciata, senza per altro averla messa in relazione con il problema riguardante il suo sonno, inizia a sospettare che il suo paziente stia soffrendo di una forma iniziale di depressione, non ancora conclamata ed evidente, ma purtuttavia presente e già fortemente disturbante la sua esistenza.
Come abbiamo detto in precedenza e per questo motivo sarebbe un grave errore ed una pericolosa leggerezza somministrare al paziente, sic et simpliciter un ipnotico, una benzodiazepina, in genere, che raggiungerebbe certo lo scopo, rapido e apparentemente soddisfacente di permettere al paziente di dormire una notte dopo tante insonni, ma che agendo come solo sintomatico, non risolverebbe certo il problema nella sua eziologia, lasciando incurata la causa e quindi condannerebbe il paziente a soffrire di nuovo di notti insonni, nel momento stesso in cui la benzodiazepina venisse sospesa, o, al contrario e come purtroppo nella maggior parte dei casi accade, ad essere condizionato ad un uso continuo e costante di ipnotici serali, pena di nuovo, in caso contrario, la ripresa dell’ insonnia, come e peggio di prima.
Si otterrebbe così una sequela di molteplici errori e di conseguenze negative per il paziente: prima fra tutte che la depressione iniziale e non ancora conclamata, resterebbe così non riconosciuta e non diagnosticata, rimanendo così, di conseguenza non curata, fino a quando, inevitabilmente, spesso dopo anni, si manifesterebbe in tutto il suo fulgore, venendo quindi finalmente solo allora e tardivamente riconosciuta; in secondo luogo purtroppo avremmo condannato il nostro paziente ad un bisogno ed un conseguente uso continuativo ed inalienabile di ipnotici, divenuti indispensabili per conseguire il risultato di una notte di sonno soddisfacente, per ultimo, ma non meno importante si verrebbe a creare ed avvalorare il falso mito della temuta e paventata dipendenza dai farmaci, divenuta ormai un pregiudizio ed un luogo comune diffusissimo e difficilmente eradicabile, con il risultato di allontanare e tenere lontano da terapie necessarie, indispensabili ed utili, moltissimi pazienti che ne avrebbero bisogno e se ne gioverebbero, ma vi rinunciano per paura, per cattiva conoscenza, per disinformazione, per pregiudizio, di cui spesso siamo noi medici inconsapevoli responsabili ed artefici, con una condotta terapeutica purtroppo superficiale e solo sintomatica.
Cosa deve fare, a questo punto il nostro medico? Prima di tutto e come sempre una diagnosi precisa, indispensabile per una corretta ed adeguata terapia.
Abbiamo visto che il paziente si è da lui recato per una incoercibile insonnia, ritenendo questo il suo disturbo fondamentale che gli arreca grande disagio e dal quale vorrebbe giustamente essere liberato, ma assieme all’insonnia ha denunciato vaghi malesseri, difficilmente definibili e altrettanto difficilmente riconducibili ad una patologia specifica, sintomi che isolati hanno scarso significato clinico, ma che associati ad una insonnia lacunare e terminale, assumono un valore ed un peso specifico ben superiore e debbono necessariamente suggerire nel medico il legittimo sospetto che siano riconducibili alla depressione.
A questo punto il medico, messo sull’avviso deve procedere con estrema cautela nell’indagine, ponendo delle domande specifiche, che non possano e non debbono in alcun modo influenzare, con la loro formulazione, le risposte del paziente, muovendoci in un ambito delicato ed irto di difficoltà, ben diverso da quello dell’indagine clinica in ogni altro ramo della Medicina, ambito in cui nulla vi è di definito ed assoluto, in cui ci si muove per sfumature di significato e per sensazioni soggettive, per nulla quantificabili ed obbiettivabili. Ciò rende la dimensione della psiche così complessa e ardua, ma anche così affascinante e mai per nulla noiosa e scontata.
Se il medico non psichiatra, per sua attitudine e sensibilità si sente disponibile ad investigare questo campo, forte anche della sua esperienza umana, della conoscenza personale e familiare del paziente, e quindi della sua fiducia ed affidamento, può certo anche procedere autonomamente, ma se solo ha il sospetto di non essere adeguato, allora è bene ed opportuno che fin da ora e non dopo, successivamente e tardivamente, si rivolga e chieda aiuto ad uno specialista al quale indirizzare il suo paziente per una valutazione specifica ed una eventuale terapia specifica, sempre nell’interesse del suo assistito.
Nulla di peggio, in questi casi che prescrivere una terapia solo sintomatica, aspecifica, in assenza di una diagnosi molto precisa, terapia che fallendo il suo scopo, sarà inevitabilmente responsabile dell’insorgenza nel paziente di sfiducia e scetticismo, verso le terapie in genere e la possibilità di guarire.
Come procedere allora? Lo vedremo nella prossima puntata.

Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it www.studiomazzullo.com

Pane amore e....sanità


Vorrei proporre al Presidente del Consiglio Romano Prodi e al Ministro della Salute Livia Turco, assieme accomunati nella presentazione della nuova pubblicità, che magnifica la condizione della Sanità in Italia, di presentarsi assieme e distribuire personalmente ai cittadini ed utenti di questa meravigliosa Sanità pubblica, nelle sale di attesa degli ambulatori pubblici, agli sportelli delle USL ove ci viene comunicato che dobbiamo attendere mesi per un esame urgente, nei Pronto soccorso degli ospedali, ove i pazienti abbandonati su fatiscenti barelle attendono ore il loro turno prima di essere visitati, ai familiari della paziente deceduta dopo che le era stato asportato un rene sano, per uno scambio di cartelle cliniche, per citare solo l'ultimo caso di cronaca, la pubblicità suddetta commissionata, chissà perchè proprio ad Oliviero Toscani, ed ascoltarne i commenti....
Forse potrebbe loro essere utile per comprendere meglio il Paese che pretendono di amministrare e ...curare.

mercoledì 17 ottobre 2007

Politica e passera


Politica e passera
Mauro Zennaro

"Oggi mio figlio quindicenne, entrando a scuola, ha ricevuto questa cartolina.

Non intendo perdere tempo con inutili chiacchiere tipo "immaginatevi la sorpresa" eccetera. E sia chiaro che, di fronte a tale dimostrazione di miseria mentale e pessimo gusto, nonché imbecillità politica, non intendo nemmeno adottare un linguaggio politicamente corretto.
Nemmeno voglio esprimere una protesta in chiave politica. Spero che lo farà qualche donna al posto mio, se lo riterrà opportuno"
Ho letto questa lettera firmata che un genitore scandalizzato e adirato ha pubblicato su un blog.
Concordo pienamente con l'opinione espressa dal genitore scandalizzato e, pur senza figli, sono scandalizzato anche io nell'apprendere che il neonato Partito (cosiddetto) Democratico utilizzi tale sottospecie di propaganda, ma soprattutto sono indignato per il fatto che questa pseudopropaganda venga effettuata nelle scuole, che, almeno nelle intenzioni, dovrebbero fornire l'esempio di cultura.
Spero che i giovani elettori cui è destinato il messaggio sappiano trarre insegnamento e provvedano conseguentemente.

felicità

"Crea tutta la felicità che sei in grado di creare: elimina tutta l'infelicità che sei in grado di eliminare: ogni giorno ti darà l'occasione, ti inviterà ad aggiungere qualcosa ai piaceri altrui, o a diminuire qualcosa delle loro sofferenze. E per ogni granello di gioia che seminerai nel petto di un altro, tu troverai un raccolto nel tuo petto, mentre ogni dispiacere che tu toglierai dai pensieri e sentimenti di un'altra creatura sarà sostituito da meravigliosa pace e gioia nel santuario della tua anima".
Jeremy Bentham

giovedì 11 ottobre 2007

La notte dell'Innominato






Ci siamo lasciati, la volta precedente, con il medico di famiglia che ascolta le lamentele di un suo vecchio paziente il quale, improvvisamente, ha iniziato a soffrire, da qualche tempo di una spiacevole, ingravescente e preoccupante insonnia, come lui stesso l’ha definita.
Il suo medico ascolta, annota e al termine esordisce con una domanda precisa: “ma lei, al mattino come si sente? Riposato, nonostante tutto, o stanco? Perché –aggiunge -se al mattino, pur avendo dormito poco, lei si sentisse bene, allora nonostante tutto, non si potrebbe parlare di insonnia, in quanto quest’ultima si definisce come la sensazione soggettiva di non aver ben dormito, o di aver dormito male e in maniera insufficiente. Il suo caso mi sembra purtroppo faccia parte di questa ultima eventualità”.
A questo punto e come è naturale, il medico si preoccuperà di accertare e necessariamente escludere la presenza di ogni altra patologia organica che possa giustificare l’insonnia, ad esempio un ipertiroidismo, una cardiopatia, un problema respiratorio ecc.
Escluse queste ipotesi organiche, il medico commetterebbe un grave errore ed una colpevole leggerezza, se concludesse l’indagine con la prescrizione di un farmaco ipnotico, generalmente una benzodiazepina, come purtroppo ahimé spesso ancora succede.
L’insonnia infatti è un sintomo e non una patologia a se stante, e come tale deve essere accuratamente indagata ed inquadrata clinicamente.
Prima di tutto ci si dovrà chiedere come e da quanto tempo è insorta, nonché come essa si manifesti e venga descritta dal paziente.
Classicamente noi distinguiamo una insonnia iniziale, caratterizzata da una difficoltà nell’addormentamento per cui il paziente, che spesso si addormenta sul divano davanti alla televisione, appena si corica a letto, non riesce a prendere sonno, in preda a pensieri assillanti e spesso all’ansia di non riuscire ad addormentarsi, peggiorando ovviamente la situazione.
Ben diverso è invece il caso prospettato dal nostro paziente al suo medico, in quanto il sonno giunge subitaneo e gradito, nonché desiderato, ma viene interrotto puntualmente ad ore fisse, da risvegli improvvisi quanto angosciosi, seguiti da difficoltà ad addormentarsi di nuovo.
In questo caso parliamo di insonnia lacunare.
Spesso associata a questa, ma ancora più spesso isolata è l’insonnia terminale, per la quale il paziente, che si è facilmente e precocemente addormentato, altrettanto precocemente si risveglia, quasi sempre anche in questo caso ad ora fissa e molto in anticipo rispetto al risveglio programmato. Il risveglio purtroppo non è un dolce risveglio, ma al contrario per lo più di soprassalto, frequentemente dopo un brutto sogno e con un intenso stato di ansia o angoscia, in perfetta e totale lucidità.
Il paziente che cerca, invano, di riaddormentarsi è subito, o poco dopo il risveglio, assalito da pensieri angosciosi che, come una nuvola nera che rapidamente si addensa, si incentrano tutti sulle difficoltà della giornata che ancora una volta dovrà affrontare e sopportare. Va da sé che lo stato d’animo del nostro malcapitato amico non sarà certo dei migliori e questo inizio non sarà un viatico gradito per una giornata che non sarà certo felice o solo semplicemente serena.
Perché è importante per il medico questa apparentemente scolastica distinzione?
I tre tipi di insonnia summenzionati hanno una eziologia distinta e sono sintomatici di quadri clinici differenti, o meglio la prima, l’insonnia iniziale è sostanzialmente diversa dalla seconda e terza, spesso associate e accomunate da una medesima origine.
Mentre la prima infatti, l’insonnia iniziale è caratteristica delle persone ansiose ed è comunque legata a stati d’ansia che possono essere anche occasionali e transitori, quali ad esempio la prossimità di un esame, di un incontro importante e coinvolgente, ma anche di accadimenti felici, quali la prossima partenza per le vacanze agognate, o per un bambino la attesa di Babbo Natale o della Befana, con i loro immancabili doni, l’insonnia lacunare invece e l’insonnia terminale, spesso associate assieme in uno spiacevole quanto angosciante connubio, sono patognomoniche e caratteristiche della depressione, sia essa una depressione reattiva, o una più grave ed impegnativa depressione endogena.
Un esempio letterario insuperabile nella descrizione del quadro clinico e del vissuto esistenziale dell’insonne è rappresentato dalla famosa “Notte dell’Innominato” dei Promessi Sposi.
Si evince quindi facilmente quanto sia importante ed imprescindibile una attenta valutazione del sintomo insonnia, assolutamente da non sottovalutare perché è spesso l’unico, precoce ed isolato campanello di allarme, di una patologia, la depressione, subdola ed insidiosa, cattiva e temibile, che richiede sempre di più, una diagnosi precoce ed una precoce terapia, allo scopo di liberare il paziente il prima possibile da una sofferenza che può essere insopportabile.
Come deve procedere il medico? Il seguito alla prossima puntata.

Domenico Mazzullo d.mazzullo@tiscali.it www.studiomazzullo.com

lunedì 8 ottobre 2007

Eleonora


Da Domenica scorsa la nostra famiglia si è accresciuta di un nuovo membro molto importante: Eleonora, una cagnetta di meno di due mesi che cercava una casa e l'affetto di due genitori.
L'ha trovato con noi e noi abbiamo trovato lei con grande gioia.
Eleonora, il nome che le abbiamo dato è in memoria e in onore di Eleonora Piementel Fonseca eroina e martire della Rivoluzione Partenopea del 1799.

martedì 2 ottobre 2007

Preti gay



Non sono d’accordo. Non sono d'accordo con l'articolo di Renato Farina "Se un prete gay filmasse Ilaria a letto" pubblicato su “Libero” di Domenica 30 Settembre e riferito alla trasmissione tv "Exit", che sarebbe stata messa in onda il martedì successivo,primo ottobre, da LA7. Ho resistito all'impulso di scrivere domenica stessa, per assistere prima alla trasmissione, come ieri sera ho fatto, credo e spero assieme a tanti italiani come me che vogliono e cercano di essere liberamente documentati su quanto avviene attorno a loro, per poi formulare una opinione libera e personale e scrivo solo ora.
Come medico e come psichiatra sono a contatto pressoché quotidiano con persone omosessuali, uso intenzionalmente il termine persone e non pazienti, in quanto l'omosessualità non è una malattia, ma un modo di esprimere la propria sessualità, accanto e allo stesso diritto e dignità della eterosessualità. Si è omosessuali, rispetto agli eterosessuali, come si è mancini rispetto ai destrimani e per fortuna sono finiti i tempi in cui i mancini venivano incolpati di essere stati toccati dal diavolo e ancora recentemente a scuola li si costringeva a scrivere con la destra. Come medico e come psichiatra sono, per motivi professionali, consapevole della omosessualità presente tra membri del clero. Sono solidale con le persone omosessuali, che spesso vivono con sofferenza la loro condizione; sono in particolar modo solidale con i membri del clero, omosessuali, che vivono con ancora evidente maggior disagio e in totale clandestinità, la loro condizione di membri, non laici, di una Chiesa, che sotto le mentite spoglie di una apparente liberalità, è sempre, purtuttavia, fortemente omofoba.
Premesso questo, non sono assolutamente d'accordo con l'articolo di Renato Farina, che suona come una difesa d'ufficio, non dei singoli preti omosessuali che vivono in solitudine la loro condizione cui, ribadisco, va tutta la mia solidarietà, ma della Chiesa in toto, con argomenti pretestuosi, di fronte ad una evidente incoerenza e contraddizione; cito le sue parole: "Perchè non ci mettiamo a filmare i peccati dei giornalisti, a piazzare telecamere nelle toilette delle redazioni, o negli archivi delle televisioni?...Forse i preti sono in buona parte gay, ma non credo siano più della percentuale di gay che c'è tra i panettieri e i commessi."
Non conosco le statistiche sulla percentuale di gay nelle varie professioni e considero per buona la stima di Farina, ma vorrei fargli notare che i giornalisti, i panettieri, i commessi, non pretendono di dare, a noi laici e peccatori, lezioni di morale, di comportamento e di vita e di assolverci, o condannarci per i nostri peccati.

Domenico Mazzullo
d.mazzullo@tiscali.it www.studiomazzullo.com