giovedì 6 dicembre 2007

Capire e comprendere


Ci siamo lasciati, nella puntata precedente con l’acquisizione che compito del medico è intuire, ipotizzare, capire, comprendere, spiegare, illustrare e curare.
Questi verbi, che solo apparentemente possono sembrare sinonimi ed espressione di una eccessiva ridondanza nello scrivere, in realtà sono momenti diversi e successivi di un processo cognitivo, diagnostico e terapeutico, che credo caratterizzi ogni medico, ma lo psichiatra in modo particolare e precipuo, anche se questi, nel procedere quotidiano ne è inconsapevole, o solo parzialmente consapevole.
Non vorrei essere noioso, ma ritengo opportuno soffermarmi un poco sull’argomento esaminando criticamente i singoli termini.
Al cospetto di un paziente con problematiche di tipo psichico il medico, infatti, lo psichiatra in ispecial modo, per primo intuisce, dalla percezione contemporanea, complessa e immediata di segni, segnali, espressioni del viso e degli occhi soprattutto, movenze, atteggiamenti, abbigliamento, inflessioni della voce e toni di questa, pause ed esitazioni, insomma da un coacervo di “messaggi” inconsapevolmente inviati dalla persona che ha di fronte, l’esistenza di un possibile problema. Sulla base di questa intuizione, prende forma e corpo una ipotesi diagnostica che deve essere approfondita, confermata, o smentita. E’ quanto abbiamo visto avvenire nel colloquio che il medico ha avuto con il nostro paziente, nelle puntate precedenti. Dopo aver lasciato, infatti, che questi parlasse liberamente, liberamente enumerando le lagnanze, i disturbi, che maggiormente lo affliggono e lo preoccupano, con le inevitabili autointerpretazioni ed autodiagnosi, spesso purtroppo frutto di un troppo facile psicologismo ormai imperante dappertutto, fornendo così al medico già degli indizi importanti, non tanto per i contenuti, ma piuttosto per la forma e soprattutto per le priorità con le quali vengono enumerati, il medico porrà a questo punto delle domande prima più generiche e successivamente sempre più specifiche al proprio paziente, tese a confermare, o smentire la sua primitiva ipotesi.
Voglio fin d’ora precisare che queste domande rivolte al paziente, non hanno solamente e si fermano ad uno scopo puramente, diagnostico, ma vanno ad interessare un ambito già più specificatamente terapeutico.
Se l’intuizione del medico è giusta e l’ipotesi è confermata dalla indagine del colloquio e il paziente è realmente affetto da depressione, allora le stesse domande del medico, che spesso prevengono le doglianze del paziente, che fanno riferimento a disturbi specifici minori plausibilmente dimenticati dal paziente nella sua enumerazione di sintomi, perché distolto da altri ritenuti più importanti, che indagano su aspetti privati della sua vita che questi ha tralasciato di toccare, ottenendo, queste domande, presumibilmente, dal paziente una risposta affermativa, se l’ipotesi diagnostica è giusta e corretta, esse domande portano comprensibilmente ad una rassicurazione del paziente stesso, che si sente sempre di più capito e compreso, assicurato e rassicurato, dalla certezza che il suo interlocutore ha piena coscienza delle sue sofferenze, che conosce il suo problema, che è disposto e sa come aiutarlo, che non farà appello come tanti fino ad ora hanno fatto, alla sua buona volontà, che non lo esorterà a farsi forza, a reagire, a non lasciarsi andare, visto che in fondo i suoi problemi non sono poi così gravi e unici, ma sono quelli che affliggono tutta l’umanità, assumendo spesso toni critici e di rimprovero più o meno espliciti, con l’indubbio, brillante risultato di far sentire il paziente sempre più in colpa e aggravare così ulteriormente la sua depressione.
In questo modo il medico esaudisce e compie due fondamentali momenti della sua professione: capire e comprendere, che solo apparentemente sembrano sinonimi, ma in realtà sono entrambi indispensabili, nella loro diversità e peculiarità al suo dovere nei confronti del paziente.
Capire, implica, infatti, un processo intellettuale, logico e deduttivo, analitico che permette al medico di formulare una diagnosi e giungere attraverso questa ad una terapia corretta. Ma il solo capire, non è sufficiente al medico che voglia essere integralmente tale e non voglia, invece, essere solo un tecnico della Medicina. E’ necessario, infatti, un secondo passaggio, di tipo emotivo, umano, affettivo, quello del comprendere il paziente nella sua interezza e non solo come portatore di una malattia, del comprendere il paziente, con la sua malattia, come essere umano sofferente, impaurito, timoroso, in ansia per la sua sorte, debole e fragile, portato a sentirsi in una condizione di inferiorità e di soggezione, verso gli altri, tutti e in special modo verso il medico stesso. Comprendere il paziente nel suo mondo, nella sua famiglia, con i suoi valori, specifici e personali, con le sue debolezze e le sue paure. Questo vale per tutti i pazienti e per i loro medici, ma in ispecial modo per i pazienti psichiatrici e per gli psichiatri che desiderano curarli. Solo in questo modo si supera il divario che separa il paziente come “portatore di malattia” dal paziente come “essere umano ammalato e sofferente”.
A questo punto il compito del medico si accresce e per così dire si complica di prerogative “didattiche” che assolutamente non debbono e non possono essere trascurate, o relegate a poche parole stentate, o ad indicazioni scritte su un foglio di ricettario.
Compito indispensabile del medico, ma dello psichiatra in modo particolare è quello di spiegare ed illustrare con termini comprensibili ed adatti al livello culturale del paziente, la sua situazione e non certo limitarsi a dare un nome alla malattia senza ulteriori spiegazioni.
Questo compito è particolarmente difficile ed arduo per lo psichiatra, perché, è inutile negarlo, la malattia psichica fa sempre paura e si è portati, da parte del paziente e soprattutto dei familiari ad un rifiuto dell’accettazione di questa. Inoltre riesce sempre difficile far comprendere ad un paziente sofferente di problemi psichici che i suoi disagi ed i suoi problemi possono essere espressione di una patologia come tutte le altre. Ma anche è da prendere in considerazione il fatto che problemi psichici, che si esprimono con un disagio ed una sofferenza a questo livello, spesso sono legati a molti fattori, quali la personalità stessa del paziente, il suo mondo di valori, la situazione personale e familiare, l’ambito lavorativo e condizioni socio-economiche. Di tutti questi elementi deve necessariamente tener conto il medico nell’accingersi a curare il suo paziente.
Lo psichiatra, con pazienza, fiducia, ma anche fermezza, deve far comprendere al paziente di cosa soffre, quali sono le cause della sua sofferenza, quali sono gli strumenti per curarle e la possibilità di guarigione.
Giungiamo quindi alla conclusione del nostro iter con l’ultimo compito del medico, quello di curare, conseguente e comprensivo di quanto detto in precedenza e che riguarderà il prossimo capitolo del nostro discorso.

Domenico Mazzullo
http://www.studiomazzullo.com/

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