venerdì 21 marzo 2008

Chantal

da: Corriere della sera di giovedì 20 marzo 2008
Plombieres-Les-Dijon (Francia) - Chantal non soffre più. Le serrande del suo appartamento, piano terra sul canal de Bougogne, erano tutte abbassate, ieri mattina.
«Ho 52 anni, sono malata da quasi otto. Ho tre figli: Virginie, Vincent e Mathilde. La più piccola ha tredici anni. Mi sono sottoposta a tutte le cure possibili. Mi sono battuta per guarire, ho lottato, ho sperato, ho desiderato riuscirci. Ma ora che vita è quella che mi resta?»
Chantal Sébire è stata trovata morta nella sua casa di Plombieres-lès-Dijon. «Le cause del decesso sono ancora sconosciute. Faremo i prelievi e le analisi», dice il procuratore di Digione Jean-Pierre Allachi. La verità è che lei non voleva più vivere. Affetta da un tumore terribile che le aveva deformato il volto e le procurava dolori tremendi, si era rivolta al Tribunale di Digione per ottenere il suicidio assistito. I giudici lunedì gliel'avevano negato.
«Le mie sofferenze psicologiche potrete immaginarle. I miei dolori fisici sono insopportabili. Allergica alla morfina, non ho modo di alleviarli. I medici propongono di indurmi nel coma farmacologico. Ma che proposta è? Come posso costringere i miei figli a vedermi in queste condizioni?», aveva spiegato Chantal. Era difficile guardarla in faccia. Il tumore che l'aveva aggredita al setto nasale, un neuroblastoma olfattivo, aveva stravolto il suo viso. Lei, già minuta, era smagrita. Non vedeva, non sentiva più i sapori, non riconosceva più gli odori. Ma era viva. «Come si può essere così ipocriti dal negarmi l'iniezione letale, e permettermi invece di rifiutare le medicine, i sedativi, l'alimentazione e l'idratazione artificiale, per morire in dieci-quindici ore, dopo un'agonia terribile per me e i miei figli?», si era sfogata.
«Io domando di essere accompagnata alla morte come se fosse un atto di amore. Vorrei morire nella mia casa, circondata dai miei figli. Non voglio smettere di respirare dentro una stanza anonima di un hotel di Zurigo, né voglio impiegare mezzi che possano mettere a repentaglio la vita di altre persone o traumatizzare la mia famiglia», era stata la supplica di Chantal ai giudici.
Alle sette della sera di martedì, nel condominio basso di rue Weotenga, è entrata anche una ragazza con i capelli neri raccolti, il completo bianco da infermiera, un sacchetto in mano. «Vengo dalla farmacia, ho la medicina», ha detto al citofono. Dentro, Chantal Sébire si preparava a morire.
Riecheggiano nella mia mente le parole recenti di Piergiorgio Welby:
“Morire dev’essere come addormentarsi dopo l’amore, stanchi, tranquilli e con quel senso di stupore che pervade ogni cosa”
e le parole diBruno Bettelheim, psichiatra ottantenne morto suicida in una casa di riposo per anziani:
“Voglio morire con le scarpe allacciate”

Ma quante Chantal Sébire, quanti Piergiorgio Welby, quanti Bruno Bettelheim dovranno ancora morire prima che, a chi chiede di essere aiutato a dare le dimissioni dalla vita, perchè questa gli è divenuta insostenibile, possa essere concesso di morire con dignità?

Domenico Mazzullo

d.mazzullo@tiscali.it

www.studiomazzullo.com

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